1)
UFOs VENGONO SEGNALATI NELLA STESSA AREA (che poi sarà teatro
dell’abbattimento del DC-9 Itavia)
DUE GIORNI PRIMA CHE SI VERIFICHI IL TRAGICO
EVENTO IN QUESTIONE.
Già il 25 giugno 1980 gli operatori radar avevano segnalato la presenza nella zona del
basso mar Tirreno di velivoli non identificati, in gergo “zombi” o UFOs che dir si voglia
(vedi “Roma” del 7 luglio 1980, pag. 12). Ora, per quanto riguarda gli OVNI[8] segnalati il
25 giugno, se fosse vera l’ipotesi secondo cui il jet dell’Itavia sarebbe stato coinvolto in
un’azione di guerra internazionale - non dichiarata - nei confronti del leader libico
Gheddafi, è ovvio che, essendo questa un’azione improntata alla sorpresa, non poteva
trattarsi assolutamente di “prove di scena” dell’attacco che poi sarebbe stato sferrato 48
ore dopo.
2)
DOPO IL DECOLLO DA BOLOGNA, DUE OVNI SI ACCOSTANO E INIZIANO A
SEGUIRE, MOLTO DA VICINO, IL DC-9 ITAVIA.
Il volo IH-870 della società ITAVIA parte da Bologna alle ore 20:08, con due ore di ritardo
sull’orario previsto. Una volta salito in quota ed al di sopra della Toscana, secondo la
ricostruzione fatta dai periti in base ai tracciati radar di Roma Ciampino, la traccia radar del
DC-9 appare spuria, ossia sovrapposta a quella di un altro aeromobile (o forse due, vedi
“la Stampa” del 19 giugno 1997, pag. 5) viaggiante nelle immediate vicinanze del jet civile;
in altre parole, come se qualcosa (che noi riteniamo essere uno o due UFOs a tutti gli
effetti) volasse di conserva - ossia si fosse disposto poco sopra, sotto o in coda - con detto
cargo allo scopo (almeno secondo la versione ufficiale) di occultare la propria presenza
confondendosi nel cono d’ombra radar del DC-9. Intanto, quest’ultimo procede lungo
l’aerovia civile denominata Upper Ambra 13 alfa, senza potersi rendere conto di una tale
presenza “estranea”.
2/a)
LE CONDIZIONI METEREOLOGICHE DELLE VARIE ZONE SITUATE SULLA
ROTTA DEL DC-9 ITAVIA.
Le condizioni meteorologiche lungo la rotta seguita dall’aereo erano sostanzialmente
buone, con una visibilità di oltre 10 km. Il mare, però, a causa di un vento teso, era mosso,
localmente agitato con un moto ondoso di forza 4-5. A Ponza, il cielo era sereno o poco
nuvoloso, con un vento da nord-ovest che spirava a 25 nodi. Condizioni meteo simili a
8
quelle presenti ad Ustica. A Palermo Punta Raisi c’era cielo quasi sereno e vento debole.
Sulla costa campano–calabra il cielo era nuvoloso ma senza pioggia. A Capo Palinuro
c’era cielo nuvoloso con vento di 20 – 25 nodi (vedi “il Tempo” del 28 giugno 1980, pag. 1,
cronista G. D’Av.).
3)
LA PRESENZA, A DISTANZA OPERATIVA UTILE DAL TEATRO DEGLI EVENTI, DI
UN AEREO RADAR TIPO AWACS.
Nel frattempo, un aereo Awacs (un velivolo USA dotato di un sofisticato e potente radar
sul dorso in grado di guidare altri aerei militari), ha sotto controllo una missione i cui scopi
sono tutt’oggi rimasti top-secret e, a questo scopo, sorvola in circolo l’Appennino Tosco-
Emiliano (vedi “Corriere della Sera” del 1° settembre 1999, pag. 9).
4) UN PRIMO AEREO MILITARE (FORSE UN CACCIA) SI AVVICINA E SEGUE IL JET
DELL’ITAVIA.
Nel breve tratto tra Bologna e Siena il traffico aereo intorno al DC-9 diviene intenso. Una
volta sulla Toscana, il DC-9 viene affiancato da un aereo con sigla militare LG-461
proveniente dalla Liguria. Tale “manovra d’inserimento” avviene praticamente davanti al
muso di due della squadra composta da tre F-104 italiani decollati dalla base aerea di
Grosseto intorno alle ore 20:00 del 27 giugno 1980 (vedi “la Stampa” del 19 giugno 1997,
pag. 5).
5) IL “RUOLO TATTICO” DEI CACCIA ITALIANI DECOLLATI DALLA BASE DI
GROSSETO.
Tali due caccia F-104 sono pilotati da Mario Naldini e Ivo Nutarelli i quali, quando
incrociano il DC-9 ed il suo “accompagnatore fantasma”, per ben tre volte lanciano il
codice di allarme ai radar di terra, per poi far rientro alla loro base. Inoltre, viene da
chiedersi se, mentre erano in volo, i piloti in questione abbiano ascoltato eventuali
messaggi radio provenienti dal DC-9, dagli altri velivoli militari presenti in zona o dai
comandi di terra, e quale possa essere stato il contenuto di tali eventuali comunicazioni
radio.
In effetti, la presenza sulla scena dei due o tre caccia italiani potrebbe essere stata del
tutto casuale; non si spiega altrimenti, difatti, il ruolo pratico di questi ultimi nell’ambito del
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presunto “complotto internazionale”, del tutto vago ed inconsistente dal punto di vista
tattico data la presenza, nell’area, di un velivolo Awacs e del velivolo militare proveniente
dalla Liguria. Inoltre, se la loro azione fosse stata effettivamente pianificata in precedenza
- secondo la tesi “dell’agguato premeditato” - perché lanciare, per ben tre volte, l’allarme ai
radar di terra?
Resta il fatto che, alcuni anni dopo, nel 1988, i due piloti in questione vennero uccisi -
simulando un incidente - durante la manifestazione aerea di Remstein, in Germania (in
cui, peraltro, perirono numerosi innocenti spettatori), appena qualche giorno prima, guarda
caso, della data in cui gli stessi avrebbero dovuto essere ascoltati quali testi in causa dal
giudice Rosario Priore (vedi “il Mattino” del 24 dicembre 1993, pag. 5).
6) ALTRI CACCIA MILITARI SI ACCOSTANO E SEGUONO IL DC-9 ITAVIA.
Ritornando a descrivere il nostro scenario tra Roma Ciampino e Ponza, quattro velivoli
(probabilmente caccia USA) volano parallelamente - poco arretrati e disposti due a destra
e due a sinistra del DC-9 Itavia, quasi lo “scortassero”, forse con lo scopo di sorvegliare il
suo “compagno fantasma” (si è poi stabilito che i “compagni fantasma” fossero due,
secondo noi due UFOs a tutti gli effetti), per cui i quattro velivoli avrebbero potuto volare in
quel modo per scortare e/o costringere questi “accompagnatori” ad abbandonare la loro
posizione (vedi “la Stampa” del 19 giugno 1997, pag. 5).
7) RAPPORTO SULL’AVVISTAMENTO DI UN VELIVOLO SCONOSCIUTO AL LARGO
DELL’ISOLA DI PONZA ALLE ORE 20:37; VENTUNO MINUTI PRIMA, CIOÈ, CHE IL DC-
9 ITAVIA SCOMPARISSE DALLO SCHERMO RADAR DI ROMA CIAMPINO.
Il seguente stralcio della conversazione telefonica tra il centro radar di Martina Franca e
quello di Licola, fa parte dei nastri registrati, acquisiti e messi agli atti del procedimento
sulla strage di Ustica dal giudice Rosario Priore (vedi “Corriere della Sera” del 7 ottobre
1991, pag. 13).
Ore 23:46 del 27 giugno 1980:
“Eh, sono il maresciallo Di Mico (dalla stazione di Licola, n.d.A.)”.
“Capitano Patroni Griffi, mi dica”.
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“Senta, le dico una notizia così”.
“Sì”.
“Che penso non abbia nessun valore, i carabinieri di Pozzuoli…”.
“Sì”.
“Hanno visto… hanno avuto notizia che un velivolo a largo di Ponza veniva verso di noi
(ossia verso Licola, n.d.A.), poi non l’hanno visto più, le ripeto la notizia nuda e cruda così
come me l’hanno dato i nostri carabinieri”.
“E a che ora questo?”
“Questo sarebbe successo alle ore otto e trentasette alfa (ossia le ore 20:37, n.d.A.), ma
non ci dovremmo trovare”.
Ora, che tipo di velivolo noto, sia esso militare o meno, è in grado di “scomparire” in modo
tanto repentino? Che a noi risulti, nessuno… a meno che, ovviamente, non si pensi ad un
UFO di origine allogena.
8) LE DIFFICOLTÀ DELLE COMUNICAZIONI RADIO TRA IL DC-9 ED IL CENTRO
D’ASCOLTO DI ROMA CIAMPINO.
Ore 20:46:00
Il volo IH-870 dell’Itavia è sulla A/BEAM, cioè sulla verticale del radiofaro di Ponza. Il
comandante Domenico Gatti tenta ripetutamente, ma invano, di comunicare via radio sulla
normale frequenza di 133,25 mega cicli con il Centro Regionale d’Ascolto di Roma
Ciampino. Finalmente, usando una frequenza radio diversa, riesce a mettersi in contatto.
Quindi dice testualmente: “Qui è un cimitero. Non si riesce a comunicare né a sentire
niente” (vedi “l’Occhio” del 29 giugno 1980, pag. 3 e del 3 luglio 1980, pag. 6).
9) ALTRI CONTATTI RADIO TRA IL JET CIVILE ED IL CENTRO CONTROLLO DI
ROMA.
Ore 20:50:00
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Il DC-9 Itavia giunge sul punto A13A dell’aerovia civile AMBRA 13 BRAVO, il penultimo
punto di riporto (ossia controllo radio) prima che l’aereo entri nell’area servita dal Centro
d’Ascolto di Punta Raisi. A causa della forte turbolenza in quota prodotta dal vento, il
comandante Gatti richiama il centro di Roma Ciampino. Il controllore, pertanto, autorizza il
cargo civile a scendere a quota 250 - ossia 25.000 piedi (pari a 8000 Mt.). Il comandante
Gatti risponde “Ok” (vedi “l’Occhio” del 29 giugno 1980, pag. 3).
10) NUOVA INTERRUZIONE DEL CONTATTO RADIO TRA IL DC-9 ED IL CENTRO
D’ASCOLTO DI ROMA CIAMPINO.
Ore 20:54:00
Il DC-9 sorvola il successivo punto di riporto denominato Condor. Il pilota del cargo civile
tenta di comunicare con il Centro d’Ascolto di Roma Ciampino, ma ogni suo tentativo è
vano. A sua volta, anche il controllore richiama il volo IH-870 dell’Itavia, senza alcun
risultato (vedi “l’Occhio” del 29 giugno 1980, pag. 3). L’aereo civile in questione proseguirà
regolarmente il suo volo ancora per circa 6 minuti, prima che un evento esterno lo faccia
precipitare e scomparire dallo schermo del radar Marconi di Roma.
Qual è la causa che rende difficili tutti i contatti radio, fino a produrre il totale black-out
degli stessi? Una “contromisura elettronica” messa in atto per coprire “un’operazione di
guerra”? “Distorsioni del campo” prodotte di frequente dall’intenso campo elettromagnetico
(legato al sistema propulsivo) di uno o più UFOs presenti in quell’area[9]?
Allo stato attuale delle cose, dal nostro punto di vista, non essendoci una risposta certa ed
inequivocabile, un’ipotesi vale l’altra.
11) LA PRESENZA DI ALTRI CACCIA DISLOCATI, FORSE, SU DI UNA PORTAEREI E
LA PRESENZA (CONTROVERSA) DI TALI UNITÀ NAVALI NEL MEDITERRANEO.
Alcune serie di plots (tracce radar), attribuite alla presenza di caccia militari, danno
l’impressione che questi ultimi emergano improvvisamente dalla superficie marina in un
tratto di mare a nord di Olbia, ossia in uno specchio d'acqua antistante la Corsica, dove
poi, successivamente, fanno ritorno (vedi “la Repubblica” del 11 dicembre 1997, pag. 23).
Ciò potrebbe essere spiegato sia con il fatto che, inizialmente, tali velivoli militari volassero
a quote molto basse per non essere intercettati dai radar, che con la presenza di una o più
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navi portaerei nelle acque del Mediterraneo. A questo proposito, gli USA, con il libro di
bordo alla mano, dimostrarono che, la sera del disastro del DC-9 Itavia, la portaerei
Saratoga era alla fonda nel porto di Napoli. Ma, dai risultati di una perizia su tali registri di
bordo, ordinata dal giudice Rosario Priore, risultò che mancavano le minute originali dei
turni di copertura a bordo relative ai giorni a cavallo della strage (vedi “Corriere della Sera”
del 6 maggio 1993, pag. 13). Inoltre, secondo James Flatley, che aveva il comando della
Saratoga, questa aveva - guarda caso - tutti i radar spenti. A dimostrare l’assoluta
incoerenza tattica di una simile circostanza, fu l’allora responsabile dei nostri servizi
segreti ammiraglio Fulvio Martini. Quest’ultimo, difatti, convocato nel 1990 dalla
Commissione Stragi, a proposito della “cecità” della Saratoga, dichiarò testualmente:
“Non hanno visto nulla? Non ci credo: ho comandato una portaelicotteri e so benissimo
che è da irresponsabile lasciare un mezzo da guerra senza la possibilità di sorvegliare i
cieli circostanti” (vedi “il Mattino” del 18 luglio 1991, pag. 5).
[Commento:
A questo proposito noi riteniamo che, qualora fosse vera la dichiarazione di Flatley (ma
senza dubbio non lo è
sarebbe la dimostrazione di come la disfatta subita a Pearl Harbor,
non abbia insegnato nulla agli americani.]
Sempre a detta delle autorità statunitensi, la portaerei Forrestal era alla fonda nel porto di
Palermo, ma non è stata mai ben chiara la sua dislocazione e quindi il suo “alibi” (vedi “il
Mattino” del 18 luglio 1991, pag. 5).
[Commento:
Ma qualcuno si è mai chiesto per quale assurdo motivo (anche qualora fosse stata alla
fonda nel porto di Palermo) anche questa importante unità navale USA avesse, per pura
coincidenza, i radar spenti? Questa deduzione deriva dal fatto che dal comando della VI
Flotta Americana non è mai pervenuta nessuna informativa. Per tali unità navali, come
abbiamo ampiamente dimostrato, è strategicamente insensato avere disattivati i radar.]
Per quanto riguarda, invece, la portaerei francese Clemenceau, le autorità d’oltralpe,
senza mai esibire alcuna documentazione (che comunque sarebbe stato possibile
falsificare, come è stato rilevato nel caso della Saratoga), dichiararono semplicemente che
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era rientrata nel porto di Tolone all’alba del 27 giugno (vedi “il Messaggero” del 20 giugno
1997, pag. 9).
Sempre a quest’ultimo proposito, il 13 novembre 1998 il generale Mario Arpino, convocato
dal giudice Rosario Priore, dichiara che una portaerei nel Mediterraneo occidentale c’era
ed era inglese (vedi “Corriere della Sera” del 1° settembre 1999, pag. 9).
12) ALMENO OTTO CACCIA MILITARI SI TROVANO INTORNO AL DC-9 QUANDO
QUEST’ULTIMO SI TROVA ALL’ALTEZZA DELL’ISOLA DI PONZA.
Tra le ore 20:40 e le ore 20:57 (fino a due minuti prima del disastro del DC-9) sul Mar
Tirreno, all’altezza dell’isola di Ponza, il radar individua otto tracce “associabili, che
intercorrelano con la traiettoria del DC-9”. Ciò si rileva dalla perizia tecnica firmata dai
professori Enzo Delle Mese, Roberto Tiberio e dal Colonnello dell’Aeronautica Franco
Donali (radarista NATO) inserita negli atti dell’Istruttoria depositata in Cassazione dal
giudice Priore (vedi “Corriere della Sera” del 19 giugno 1997, pag. 5).
13) DALLA CORSICA DECOLLANO DIVERSI CACCIA FRANCESI, UNO DEI QUALI,
PRESUMIBILMENTE, INTERSECA LA ROTTA DEL DC-9 ITAVIA. VA DETTO, PERÒ,
CHE LA PERIZIA TECNICA DELL’NTSB USA INDICAVA QUESTE STESSE TRACCE
RADAR, COME QUELLE RELATIVE AD UN “OGGETTO VOLANTE SCONOSCIUTO”.
Intanto, dalla base aerea di Solenzara in Corsica decolla una squadriglia aerea composta
da 7 o 8 caccia francesi. Quando il DC-9 Itavia, procedendo sempre sul basso Tirreno,
sorvola l’area tra Ponza ed Ustica, una “traccia fantasma” (identificata nella perizia del
giudice Priore, come la probabile traccia radar di uno dei caccia francesi staccatosi dalla
formazione sopra menzionata), seguendo una traiettoria curvilinea orientata da ovest
verso est e cioè con il sole alle spalle, quindi praticamente invisibile ai piloti ed ai
passeggeri del DC-9 Itavia, si avvicina al cargo civile con un angolo di circa 90° rispetto
alla sua direttrice di volo (vedi “Corriere della Sera” del 1° settembre 1999, pag. 9).