Credo un po' tutti i frequentatori di questa sezione abbiano almeno una volta pensato di pubblicare qualcosa. Un romanzo. Un saggio. Magari una raccolta di poesie.
Il problema è che alla presentazione di un testo a un editore, per quanto uno abbia magari una splendida idea, un ottimo stile e un'incredibile prosa e si trovi fra le mani un ottimo testo, c'è il rischio di trovare il proprio lavoro completamente coperto da strane righe rosse. Anche se siete convinti di aver scritto correttamente, probabilmente per gli standard redazionali non è vero.
E' normale per esempio che i non addetti ai lavori non trovino al volo i tre refusi che ho infilato in questa frase, perchè generalmente sono cose di cui non ci si preoccupa (grazie a Dio, aggiungerei) .
Questa dunque vuole essere un'informale guida alla stesura di un testo che segua determinate regole formali, al fine di avvicinare il vostro lavoro a quello che potete visionare in un qualsiasi libro di qualità.
Non seguirò un particolare filo logico, semplicemente nel tempo aggiungerò – sempre che l'idea sia gradita – consigli che potranno spaziare dall'utile al per lo più banale. Sono graditissime aggiunte da parte di utenti che abbiano già avuto esperienza con i demoni che, gobbi davanti a pile di manoscritti, pasticciano con i testi altrui. Tipo me, che mi guadagno la pagnotta (a dir la verità piuttosto striminzita) lavorando come redattore per una minuscola casa editrice fiorentina.
Prima di pastrocchiare consigli, ci tengo a fare alcune premesse:
- Ciò che scriverò si basa totalmente sulla mia esperienza personale, tutto sommato ancora limitata.
- Le norme redazionali, ovvero le regole di uniformazione dei testi, sono diverse per ogni casa editrice. Quindi non vi stupite se magari differiscono da quelle che conoscete o affermano addirittura l'esatto contrario. Ciò non toglie che molte di quelle che segnalerò siano piuttosto comuni e spesso le uniche storicamente “italiane”.
- Non è necessario che vi prendiate la briga di seguire i miei consigli, è solo un modo per fare una buona figura e per imparare ad avere una buona sensibilità per gli aspetti formali di un testo. Un'opera di qualità verrà comunque scelta, a prescindere da tutto. Al massimo sentirete me piangere sommessamente in qualche angolino.
1) Non avrai altro spazio all'infuori che il primo.
Lo spazio in editoria è un carattere, non un buco vuoto invisibile. Come ogni carattere, si usa quando si deve. Come due virgole suonano brutte vicino, anche lo spazio non ama molto la compagnia dei suoi simili. Preferisce di gran lunga altri caratteri, decisamente più sexy. Questo vale per ogni cosa, anche per i rientri. Insomma, in ogni caso bacchettatevi le mani se premete più di una volta la barra spaziatrice. O fatevi bacchettare, se siete quel genere di persone.
2) I puntini di sospensione non sono tre punti.
Anche il punto condivide con gli altri caratteri un certo imbarazzo a stare accanto a un suo gemello. I tre puntini di sospensione sono un carattere a sé stante. “...” è sbagliato. “…” invece ci piace molto di più.
I puntini sono seguiti da uno spazio se all'inizio (… E poi venne la notte) e non preceduti da spazio se in fondo (E poi venne la notte…).
3) Ogni volta che usate il grassetto, un gattino muore.
Un testo si scrive normalmente in tondo, esattamente come gran parte di questa pagina. Il grassetto è visivamente considerato volgare, carica eccessivamente di nero la pagina e non dà tutta quella visibilità alle parole chiave come si penserebbe. Per i titoli è meglio usare il maiuscoletto e per il corpo testo il corsivo.
Parliamo comunque di testi scritti, a video fa tutto un altro effetto e io stesso uso il neretto con una certa regolarità.
4) Gerarchia delle virgolette, questa sconosciuta.
È uno dei punti meno universali di questa guidaccia. Però fra gli editori della scuola torinese, considerati i migliori, la regola che segue è spesso la più usata.
Per citare brani o singole parole si usano le virgolette basse o sergentine (« »).
Per citazioni parafrasate, citazioni nelle citazioni, modi di dire e parole con un rilievo particolare si usano le virgolette alte (“ ”).
Per i casi in cui le altre virgolette sono state già sfruttate si usano i singoli apici (‘ ’).
Almeno che non siate americani, potete tranquillamente evitarvi i trattini lunghi (—) per i discorsi diretti. Che fra l'altro sono un inferno da gestire.
5) Se qualcuno riesce a usare questa regola alla prima, ha la mia stima.
Nel caso di citazioni, se la frase inizia dopo un punto, si inserisce il punto finale della citazione dentro le virgolette.
Andammo a casa. «Non si può entrare in questa stanza. Puzza.» Allora decidemmo…
La faccenda si complica quando la citazione è collegata precedentemente o successivamente da un'altra frase.
Andammo a casa: «Non possiamo entrare in questa stanza. Puzza».
Come vedete il punto è passato all'esterno della citazione. Nel caso di punto esclamativo, punto interrogativo o puntini di sospensione, si inserisce il segno di interpunzione sia dentro che fuori dalla citazione.
Andammo a casa: «Non possiamo entrare in questa stanza. Puzza!».
Ci sono anche altre combinazioni, giusto per rendere la cosa più divertente.
Il dottor Bubebbe invece propose una teoria interessante «Il sedere tendenzialmente ha un odore sgradevole» ma il dottor Gian Pepildo…
6) L'accento si trova spesso in una grave situazione [alla quinta battuta triste potrete percuotermi con porcospini su bastoni, se volete].
In italiano generalmente si usano soltanto accenti gravi (cioè, parlò, pulì, più), eccetto che nel caso della vocale “e” in cui si distinguono una “e” acuta (perché, perdé, sé, né) e una grave (è, caffè).
Gli accenti in parole non tronche si segnalano soltanto nel caso in cui si possano confondere due termini con la stessa ortografia. Per esempio "dei" e "dèi", "da" e "dà" o "principi" e "princìpi". Mi raccomando: do si usa molto più frequentemente come prima persona presente del verbo dare che come nota musicale. Lasciate quel dannato accento a casa sua, che ci ruba anche il lavoro (il mio tempo lo ruba sicuramente spesso).
Come già detto in un mio intervento nella discussione, l'apostrofo non è un accento nemmeno nelle maiuscole. Esistono i glifi appositi per le lettere maiuscole accentate. In un forum si può benissimo sopportare l'“E'”, in un manoscritto provoca tanta tanta tanta tenerezza.
Se avete un dubbio sulla giusta inclinazione di questi benedetti accenti, c'è un sito meraviglioso che contiene l'ortografia e la pronuncia corretta di un discreto numero di parole. Se poi siete così fortunati da trovare un DOP, un dizionario troppo buono per essere ristampato, avrete la pronuncia e l'ortografia di Dio.
7) Semplicità è leggibilità.
Un carattere leggibile e semplice è sempre la giusta scelta. I Serif – detti anche aggraziati – sono i più indicati. Un esempio è il sempreverde Garamond. Anche un'elegante Sans-serif può funzionare, come l'Helvetica o un suo clone open source.
Non state a incasinarvi con duecento tipi di carattere diversi, considerato che poi sarà il grafico editoriale a scegliere quello definitivo.
Ah, piuttosto che usare Comic Sans, Times New Roman o Arial soffocate bambini nella melassa. Sul serio, sono di una bruttezza ineguagliata e ineguagliabile. Ci sono molti siti che contengono ottime e sobrie font gratuite.
8) Prima regola sull'impaginazione per autori: non c'è alcuna impaginazione da fare.
Si parla sempre dello stesso principio barboso e ricorrente: semplicità.
Una buona presentazione del vostro manoscritto a livello estetico può sembrare a primo acchito un'ottima idea per promuovere il contenuto del testo. Probabilmente è davvero un'ottima idea, ma bisogna prima imparare a farlo e avere fra le mani i programmi giusti. Perché complicarsi la vita inutilmente? Siete intellettuali, mica un maledetto e puzzolente grafico editoriale che guadagna a progetto il doppio di me.
Sigh.
Piuttosto, con un pizzico di umiltà, trasformate il vostro manoscritto in un san Francesco cartaceo.
Fate finta di battere la vostra opera con una macchina da scrivere, usando insomma solo quello che permetterebbe quel romantico strumento meccanico. Eccezion fatta della scelta del carattere e i suoi stili.
Titolo, pagina vuota, testo. Niente di più e niente di meno. Le eventuali note aggiungetele numerate in fondo e i riferimenti nelle pagine sottolineateli con un banale numero fra parentesi(1), senza usare l'opzione presente in word che spesso fa più danni che guadagni. Lo stesso principio vale anche per l'indice e la bibliografia.
Non solo eviterete di perdere tempo, ma, nel caso il vostro lavoro venga accettato, l'impaginatore potrà tranquillamente esportare tutto il vostro lavoro senza nominare invano tutti gli archetipi divini che conosce.
9) Curiosità: che cos'è esattamente l'interlinea?
È la distanza che intercorre fra due linee di base. Non saprei spiegarlo meglio, causa congenita stupidità. Diciamo che si può visualizzare come la distanza fra due “o” posizionate su due righe di testo adiacenti, dalla pancia superiore di una alla pancia inferiore dell'altra. Come per il corpo del carattere, si calcola in punti tipografici. Potreste quindi chiedervi: «come mai invece su Word viene chiamata “singola” o “doppia”?». Bella domanda, sul serio. Credo che quel giorno alla Microsoft avessero sniffato troppa colla di pesce. O forse consideravano gli utenti troppo stupidi per calcolare l'interlinea aggiungendo il 10/20% ai punti tipografici del corpo carattere.
Avvertimento: se userete l'interlinea doppia in un manoscritto vi cadrà il naso nella cacca di un cavallo, probabilmente con precedenti problemi di costipazione.
9) PERCHÉ VI SEMBRA PIÙ LEGGIBILE COSÌ?
Il tutto maiuscolo da tastiera è una delle più grandi disgrazie che l'uomo debba sopportare nella sua triste vita, insieme all'entropia dell'Universo e il numero finito di Ringo dentro una confezione. Tutta la punteggiatura è stata disegnata per essere sfruttata per il minuscolo; interlinea e corpo del carattere sono calcolati anch'essi sul tondo minuscolo. Inoltre, seppure di primo acchito sembra attiri meglio l'attenzione, è meno leggibile di quanto si potrebbe supporre. Il maiuscolo sembra il cugino grosso, ritardato e deforme del minuscolo, perciò usiamolo soltanto quando la lingua italiana lo richiede. E lo richiede meno spesso di quanto si possa pensare. Nel caso di un titolo o di una parola urlata dentro una citazione, al posto del maiuscolo piazzateci l'adorabile maiuscoletto. Seppure simile esteticamente alle lettere capitali, mantiene la giusta proporzione con il resto del testo. Insomma, mai e poi mai usare il maiuscolo per più di una lettera. Anche nel caso di acronimi o sigle.
10) Il corsivo ama solo le cose d'autore.
Il tondo come già detto è sempre la regola per lo stile del testo, mentre il corsivo è una dolce e simpatica eccezione da usare in pochi e selezionati casi.
Per la precisione:
- titoli di pubblicazioni, sia articoli di giornale che libri
- opere d'arte con un titolo preciso (mi raccomando, preciso) dato dall'autore
- opere musicali
- opere teatrali
- brevi espressioni o parole straniere declinate («Ci sono un sacco di fan dell'Arsenal» o «Ci sono un sacco di fans dell'Arsenal»).
I nomi dei giornali vanno invece segnalati fra virgolette basse, non in corsivo. Non mi chiedete il perché, francamente non l'ho mai particolarmente capito. Diciamo che mi adeguo sulla fiducia.
11) Oh, come ci piacciono i trattini.
Miei cari, sembra incredibile, ma abbiamo in tipografia la bellezza di tre trattini diversi. Visto che ci piace farci del male, ogni trattino ha un suo specifico utilizzo. Guai a sbagliare! La fatina dei dentini verrà altrimenti con un martello a girare con voi il remake di Old Boy.
- Il trattino piccolo (-) divide date e parole composte. Non è seguito né preceduto da spazio, tranne quando le parole unite dal trattino sono composte. In quest'ultimo caso si inserisce uno spazio prima e dopo il trattino (New York - Los Angeles).
- Il trattino medio (–) si usa negli incisi preceduto e seguito da spazio.
- Il trattino lungo (—) si usa per i discorsi diretti preceduto e seguito dallo spazio. Anzi, si userebbe. Abbiamo detto che è brutto, puzza ed è spiccatamente anglofono. E ci dobbiamo fare insegnare l'editoria da un popolo che correva nudo per le brughiere mentre noi già accoltellavamo Giulio Cesare?
12) Iniziale maiuscola e/o minuscola: l'odio verso le lettere capitali si espande. Parte prima.
L'iniziale maiuscola si usa quando richiesta dalla punteggiatura, oltre che in presenza di nomi propri.
Negli altri casi non esistono regole, ma semplici convenzioni redazionali. In genere, per quanto possibile, si cerca di “abbassare” il più possibile. Se si usassero iniziali maiuscole a ogni piè sospinto, certi saggi sarebbero semplicemente illeggibili.
Cercherò di spiegare come mi approccio io (e molti altri) a questa particolare fissazione da deviati nella redazione del testo.
Di norma possiedono l'iniziale maiuscola:
- I soprannomi (Alessandro Magno, Lorenzo il Magnifico, Gigi la Trottola).
- Le espressioni antonomastiche, cioè chiaramente riferite a una specifica persona o cosa (il Flagello di Dio, la Grande Guerra).
- I nomi dei secoli (Cento,Trecento) e dei decenni del XX secolo (anni Settanta, anni Novanta).
- Particolari avvenimenti storici, diventati unici per la loro eccezionalità. Nel caso siano formati da un nome e un aggettivo, l'aggettivo ha iniziale minuscola (Rivoluzione francese, Patti lateranensi, Crisi editoriale).
- Le festività religiose e civili (Natale, le Ceneri, Primo Maggio).
- Gli aggettivi sostantivati che indicano specifiche regioni geografiche (Vicentino, Napoletano, Carrarino).
- I nomi dei pianeti e dei satelliti quando citati in un contesto astronomico.
- Il nome degli apparati paratestuali (Indice analitico, Prefazione, Appendice).
- I termini di cui si vuole sottolineare l'uso nel suo significato più alto e nobile (l'Arte, la Storia, la Giustizia, la Gnocca).
Di converso, si preferisce usare l'iniziale minuscola con:
- I nomi dei mesi e dei giorni della settimana (suppongo di non dover fare esempi in questo caso).
- I termini via, piazza, viale e simili. Vale anche per i termini corrispondenti nelle altre lingue, tranne nel caso dell'inglese.
- Le cariche amministrative, religiose e militari, sia quando seguite dal relativo nome proprio, sia quando citate da sole in sostituzione di esso. Ovviamente la regola non vale per le espressioni antonomastiche, come per esempio “il Re dei Re” o “il Papa Buono”.
- Movimenti politici, filosofici, religiosi e relativi adepti (marxismo e marxisti, stoicismo e stoici, umanesimo e umanisti).
- Il nome generico nelle denominazioni di scontri e accordi politici (prima guerra mondiale, pace di Versailles, concilio di Trento).
- Gli appellativi signore, signora, dottore, ingegnere, don, professore ecc.
- I nomi di creature mitologiche divenute termini comuni (elfi, gnomi, folletti, sirene, centauri). Non vale nel caso la creatura mitologica sia unica (Medusa, Cariddi, Baba Yaga).
Lentamente (molto lentamente) continuerò ad aggiornare l'open post con ulteriori consigli. Sentitevi liberi di proporre nuovi punti per questa guida.
Se avete qualche curiosità specifica sull'argomento, provo volentieri a rispondervi.