Titolo: Soul Calibur
Produttore: Namco
Anno: 1998 (coin-op), 1999 (Dreamcast)
Piattaforma: Coin-op, Dreamcast (versione esaminata)
Genere: Picchiaduro 3d
Giocatori: 1-2 (vs.)
Screen:
Descrizione:
Vi erano un tempo gli arcade perfect, e gli sforzi - talvolta titanici - degli sviluppatori per ridurre al minimo il grado di approssimazione fra la versione casalinga e l'originale da sala dell'ennesima, attesissima conversione.
Poi, arrivò Soul Calibur. Apparso su Dreamcast a pochi mesi dal lancio giapponese dell'ultima console made in Sega, il picchiaduro 3d Namco sconvolse il mondo videoludico settando de facto il nuovo standard. Eravamo di fronte alla prima conversione fedele al 110%.
La versione DC superava di gran lunga ed in ogni aspetto la versione da sala: mole poligonale incrementata, texture dettagliatissime, effetti di luce splendidi e diversificati, anti-aliasing e chi più ne ha più ne metta. Il tutto mosso con fluidità e sicurezza disarmante dal gioiellino della casa di Sonic. Menzione particolare per gli sfondi, un misto tra 3d e 2d capace di lasciare ancora oggi di stucco.
E le migliorie non si fermarono al comparto grafico. Oltre a presentare le modalità tipiche da sala, il gioco venne "ingrandito" con l'aggiunta di un lungo e avvincente quest/story mode (in cui era possibile sbloccare personaggi, stage, modalità, ecc), due modalità time attack, due survival, theatre mode, exhibition mode, ed addirittura una modalità per modificare lo splendido opening.
Dal punto di vista del gameplay il picchiaduro all'arma bianca targato Namco si distingue per il sistema di controllo denominato 8-way run system, che permette di muoversi in completa libertà all'interno dell'arena 3d, per un giusto equilibrio tra tecnicismo e tendenza button-smashing.
Successore dell'ottimo Soul Edge/Blade e capostipite della fortunatissima e tutt'ora viva serie, Soul Calibur è un capolavoro senza tempo. A voler essere pignoli, i pochi difetti sono da ricercare nella presenza di alcuni personaggi “doppioni” e in alcuni stage poco ispirati.
Possedere un Dreamcast e non avere una copia di Soul Calibur rappresenta un freddo atto di crudeltà autolesionista.