Posso? E' il primo contest a cui partecipo per cui per lo meno non siate volgari nelle critiche!
Non ha un titolo. (si può usare come titolo).
La guardo ignara dormire seminuda. Seppure il sole non sia ancora ben deposto la stanchezza di un lavoro troppo pesante per piedi troppo piccoli ha preso il sopravvento.
Mi sembra la mia Ale, quella di sempre. Ale versione estiva, Ale braccia impolverate e gambe gonfie.
Le due righe nere delle palpebre strette, bocca dischiusa e petto intermittente. Mi sembra non sia cambiato niente, la vedo tenera, inerme, delicata e terribilmente fragile.
La tivù frigge le solite immagini. Tiggì uguale a quello di ieri. Mi siedo sul divano vicino ai suoi piedi. Ha un leggero sussulto, apre un occhio, mi mette a fuoco e senza un alito mi sorride da un angolo della bocca rimanendo addormentata. Non sa nulla ma presto dovrà. Stavolta devo.
La sera si rinfresca dalla finestra in sala. Il vociare di vicini troppo vicini sale sino a noi. Un altro sussulto, un fastidio stavolta. Aggrotta la fronte impercettibilmente. Dio, le vedo i pensieri!
In quindici anni di pensieri glie ne ho visti parecchi, e li ho visti sbiadirsi col tempo, col cessare dell'illusione del principe azzurro. Ho visto la rassegnazione di una vita vissuta come gli altri han voluto, senza ma e senza se. Ho visto una bambina, piedi piccoli, troppo piccoli, ammazzarsi per un lavoro che ne ha lacerato le carni con vesciche ed escoriazioni. Ho visto ed ho lasciato che fosse.
Le dico un ciao, il solito di sempre, stanco come non mai. Non risponde, si limita a vibrare leggermente. Butto un occhio in cucina avviandomi in camera. Mi toccherà far da mangiare.
Di fronte al letto mi slaccio la cravatta, sbottono il colletto e mi soffermo. Ad occhi chiusi annuso la spalla della camicia prima di toglierla, prima di nasconderla in fondo al cesto dei panni che domani mi affretterò a portare a far ripulire dalle vergogne. E' tardi terribilmente tardi e non posso far altro che lasciare i pensieri nello stesso cesto insieme alla camicia. Mi avvio scalzo ed in mutande a mettere su l'acqua. Non ho fame e con riluttanza esamino il frigo vagliando le scatolette di sugo, ne piglio una praticamente a caso. Anzi no. E' verde.
Una bottiglia, due bicchieri, quattro piatti, due forchette, niente pane. Si è dimenticata di prenderlo, ed io pure. Un minuto prima di scolare ritorno in sala e la guardo ancora una volta. Cristo quanto è fragile. Come posso fare ciò che sto facendo? La sveglio. “E' pronto” le dico.
Apre gli occhi si siede un istante, mi guarda con quello sguardo di chi non vede volentieri la luce ad incandescenza del lampadario e si trascina dietro me in cucina. Con automatismo da catena di montaggio accende la tivù. Nessuno se la fila ma ciò nonostante continua a dire la sua, noiosa e imperterrita. La cena interrotta solo da qualche televendita procede silente. Nessuno ha voglia di dire qualcosa, troppa stanchezza. Le sorrido timido e accenno un paio di sentenze sul come la giornata è riuscita miracolosamente a portar la serata e di quanto prossime siano le ferie. Lei non ha voglia di sorridere. “Io lavoro” mi dice, “anche questo ferragosto”. Decido di proseguire sulla via del silenzio, giusto per non evocare altre disgrazie.
Aspetto un paio di minuti dopo che si è alzata per tornare a sonnecchiare sul divano.
Sparecchio e metto i piatti nel cesto della macchina salvafamiglie. Non la accendo, evitando una sgridata dato che la si accende solo a pieno carico, nel pieno rispetto delle disposizioni ecologiche e di risparmio sui consumi elettrici. Me ne sbatterei felice se potessi, ma per il quieto vivere ho deciso che lei ha deciso così.
Mi incammino anch' io in salotto. Mi lascio cadere pesantemente in poltrona. Un sussulto. Dalla camera sento arrivare la vibrazione del mogano del mobile. Cassa acustica, sembra voler scacciare i tarli tanto è udibile. Modalità silenziosa! Sorrido preoccupato.
Nulla, palpebre chiuse, neanche una piega, un cipiglio, nulla. Sospiro e tolgo il blocco tasti con ansia.
Messaggio arrivato da CLA. Decido di aprirlo. “Glie lo hai detto?”.
Alzo lo sguardo verso il soffitto. No, Claudia, non ancora. Ma lo farò domani. Stasera è troppo piccola per sopportare anche questo.