Già, capisco
Ho visto
Dolls, di Takeshi Kitano.
Molto, molto di classe. Benchè presenti tre storie tragiche, lo fa in maniera molto sobria, i momenti in cui il sentimento si fa esplicito sono davvero pochi e tutto si basa sulla delicatezza delle storie e della regia.
Le storie trattate nel film sono tre, tutte e tre che hanno a che fare con amori assoluti, che vanno contro ogni razionalità. Partiamo da quella che mi ha preso meno: un giovane evidentemente non molto intelligente ha una fissazione per una cantante pop. Costei ha un incidente in auto che la sfigura, e da quel momento si ritira a vita privata. Il giovane allora, pur di stare a contatto con lei, si cava gli occhi e va a trovarla. Alla storia non è dedicato tantissimo tempo, e per quanto tenero nella sua ingenuità il giovane protagonista non riesce a catturare più di tanto le simpatie dello spettatore.
Decisamente migliore la storia di uno yakuza, che da giovane ha abbandonato una bella ragazza con cui ogni sabato mangiava su una panchina al parco. Da vecchio, in un impeto di rimembranze tristi, decide di tornare in quel parco e ritrova su quella esatta panchina la sua vecchia fiamma, che ancora porta il pranzo in attesa del fidanzato. Più ancora che la fedeltà della donna mi ha colpito il senso di rimorso e nostalgia che permea ogni inquadratura del vecchio. C'è una cosa bellissima a un certo punto: parte un flashback che ci fa vedere i due nella giovinezza, nel parco in mezzo alle foglie d'autunno, e lui che le fa il discorso per scaricarla. Quasi alla fine della sequenza, essa viene brevemente interrotta da un primo piano del vecchio, che ha uno sguardo triste e perso nelle sue memorie. Poi si torna in mezzo alle foglie autunnali. Quel primo piano improvviso è fantastico, è una perfetta rappresentazione di questo genere di ricordi. La miglior scena spetta però alla terza storia, quella a cui viene dedicato più tempo.
Un giovane abbandona la sua bellissima ragazza per sposarsi con la figlia del presidente dell'azienda per cui lavora. Non lo fa di sua volontà, ma lo fa. Il giorno del matrimonio però viene a sapere che la ragazza che ha mollato ha tentato il suicidio, non riuscendoci ma rimanendo mentalmente lesionata. Non riconosce più nessuno, e non ragiona. Sembra una bambina. Lui allora abbandona il matrimonio, va a prenderla all'ospedale, e inizia a vivere insieme a lei. All'inizio vivono in un albergo, ma poi quando i soldi finiscono vivono in macchina. A un certo punto, per evitare che lei scappi, lui la lega al sedile con una corda rossa. Lei, in piedi fuori dalla macchina, tenta di camminare, si blocca per via della corda e si ferma. E così via, per tanto tempo. Lui scende dalla macchina e rimane un po' a guardarla. Poi scoppia a piangere e la abbraccia. E' una scena emotivamente fortissima, peccato che venga tagliata dopo pochi secondi. Se fosse durata di più, tipo 10 o 20 ore, non mi sarei annoiato a guardarla. I due poi iniziano a camminare e camminare e camminare, legati insieme da questa corda rossa, simbolo del loro amore. In questa passeggiata che va avanti per tutta la seconda metà del film Kitano fa un po' di accademia, con inquadrature furbe e colori meravigliosi, ma a noi piace così.
Come se non bastasse, tutto questo è inserito nella cornice di un kabuki\bunraku, tipico spettacolo teatrale giapponese fatto con delle marionette (le Dolls del titolo). Se da una parte questo vuole giocoforza dire che a noi miseri occidentali determinati riferimenti sfuggono, vedere come l'idea stessa di spettacolo teatrale alla fine venga capovolto è eccezionale. I due amanti legati dal filo rosso si trasformano nei soggetti del bunraku, mentre le marionette osservano e piangono insieme a noi del loro triste destino. Tutto ciò trasporta la loro storia in un piano d'eternità che eleva il film all'ennesima potenza. Da semplici amanti diventano un mito, i "leashed beggars", come i sottotitoli inglesi li chiamano.