Quedex
Decine di persone potrebbero descrivere più approfonditamente di un collaboratore esterno cosa è significato scrivere per GMC ma io, a distanza di oltre un decennio, ricordo ancora perfettamente il giorno in cui incontrai parte della redazione. Avevo accompagnato Ugo Laviano, che era appena entrato a far parte della combriccola, ad un pranzo nel classico baretto da pausa pranzo, e tra una pasta fredda e un bicchiere di birra, chiesi a Paglianti se per caso avesse bisogno di qualcuno che dedicasse un po’ di spazio alle domande dei lettori impantanati nei problemi tecnici. Paolo e Claudio Tradardi mi risposerò che si, in effetti quella sezione della rivista andava un po’ allargata, così mi ritrovai a scrivere subito due pagine di risposte a domande rivolte a Nemesis. Le scrissi senza particolare timore, supponendo che l’esperienza acquisita su PC Zeta mi avrebbe permesso di gestire facilmente il lessico mainstream di GMC, la rivista “dedicata alla massa” che non si lanciava in termini astrusi ma cercava la massima semplificazione. Le mie due pagine furono letteralmente sbranate, prima da Paolo e poi da Max, in una serie di telefonate in cui capii subito di non aver compreso una beneamata. Perché quello che, questi due pistoni di un motore capace di trascinarsi dietro una carovana di persone appassionate, hanno sempre richiesto a chi scrive per GMC è stato quell’ulteriore passo, quel box aggiuntivo tralasciato dalla concorrenza in una assillante recensione di 35.000 caratteri scritta in notturna, con gli occhi arrossati e affondati in una marea di screenshot ancora da scremare alle 4 del mattino, quando magari la sveglia per il lavoro è destinata a suonare da li a poco.
Chiunque abbia scritto per GMC, PSM, XMU, NRU, Videogiochi e Gamesvillage ha speso anni a prendere voli aerei ad orari improbabili, ha trascorso ore al telefono con il Paglianti che voleva una limata, un triplice controllo, una schermata migliore. Ha scritto articoli usando portatili progressivamente sempre più piccoli sui sempre angusti sedili della classe economica, ha letteralmente corso tra i corridoi della redazione durante un torrido Luglio per completare uno speciale Hardware rivelatosi un trappola mortale di benchmark e motherboard fotografabili da ogni angolo. E nel farlo ha visto, in uno specifico periodo all’inizio del decennio, popolare le stanze delle redazioni di personaggi difficilmente dimenticabili. Perché andare “al lavoro” tra il 2001 e il 2005 presupponeva incrociare Beretta impegnato nella descrizione dettagliata della battaglia delle Ardenne, vedere il Maderna impegnare Skulz, Ualone, Alegalli e Ravanelli in tornei infiniti a PES, osservare storditi Spinelli che provava qualche RPG giapponese dai menu incomprensibili, beccare il Laviano che legiferava tra i Pikmin, spiare la sempre maggiore somiglianza tra Rusconi e il quarterback dei Dallas Cowboys, ridere delle interazioni trovate dal Falchi tra i DSP e gli effetti psicotropi. Per una breve parentesi le visite in via Asiago resero anche possibile frequentare quel “paese dei balocchi” che era la redazione di Maximum PC, sempre inondata di schede madri, video, audio e case e animata da Alberto, Carletto Barone e Sebastiano Pupillo. Senza dimenticare le più recenti cene dal Bortolotti, le analisi approfondite di Mosè Viero e Chianese e il tocco femminile della Leanza.
Scrivere per GMC ha significato sfogliare la rivista e stupirsi della qualità dei tuoi scritti, per poi scoprire che Max aveva limato un pensiero, ricordandoti che in fondo era solo una rivista di videogiochi, o ne aveva elaborato uno, ricordandoti che non era solo una rivista di videogiochi. Scrivere per GMC ha significato per anni spedire un .doc e un archivio compresso di bitmap e stupirsi ogni volta di come Luca Patrian aveva trasformato il tuo lavoro in qualcosa di bello e colorato. Ha significato ricevere, per un certo periodo, 200-300 mail al mese di problemi tecnici, quando nelle pagine mensili ce ne potevano stare una decina. Ha significato spendere decine di mail nel tentativo di scovare il problema di un lettore, irrisolto dalla risposta su carta. Ha significato atterrare a Dallas, Londra, Francoforte e, davanti al murales di riviste posto nel corridoio della tua software house preferita, trovare la copertina in cui era strillato il tuo articolo, mostrandola vittorioso ai tuoi “colleghi” tedeschi, inglesi, americani, scandinavi e spagnoli, che facevano lo stesso entusiasti.
Non sempre ho scritto la cosa giusta, non sempre siamo riusciti a distinguerci nonostante l’impegno. Non sempre il tempo speso è stato speso saggiamente, mentre il mondo passava dalle lettere francobollate (ne ricevevo ancora una decina all’anno nel 2006-07) ai tablet, o alcuni miei coetanei sfruttavano le stesse energie per fare carriera nel loro serissimo lavoro in ufficio.
Anche oggi, davanti all’ultimo numero, non riesco ad essere triste. Perché scrivere per GMC è stata una figata di quelle che determinano la gioventù.
E guardando questo ultimo numero, rifarei tutto.
Un grazie a tutti i lettori e alla comunità di GV.