La versione originale è impostata in maniera diversa, tanto per cominciare c'è una voce narrante stile film noir anni '40 (che a molti da fastidio ma a me piace) e inoltre manca il sogno dell'unicorno, rendendo quello che nella final cut è uno scontro tra replicanti uno scontro tra un umano ridotto a macchina per uccidere (Deckard) e delle macchine fin troppo umane e dando un sottotesto da relazione interrazziale alla storia tra Deckard e Rachel.
Il finale poi è meno ambiguo e questo ha portato molti a definirlo "sdolcinato" cosa che sinceramente non mi è parsa, anzi la voce narrante durante il finale ha un tono abbastanza fatalista.
Per il resto però è sempre un fim molto riflessivo, quindi non so quanto di più ti possa piacere rispetto alla final cut.
Ultima modifica di Det.Bullock; 16-02-2012 alle 17:18:37
"People assume that time is a strict progression of cause to effect, but *actually* from a non-linear, non-subjective viewpoint - it's more like a big ball of wibbly wobbly... time-y wimey... stuff." - The Doctor
"I pity the poor shades confined to the euclidean prison that is sanity." - Grant Morrison
Melancholia
Si insomma, finalmente l'ho visto. Non so dove voglia andare a parare di preciso Von Trier, perchè nonostante si evinca chiaramente il dualismo tra il modo di accettare la fine da parte del depresso e del non-depresso, il punto focale sta nel fatto che è tutto narrato terribilmente male.
Mi dispiace, ma in sintesi la Dunst non mi è sembrata nulla di eclatante, nel cercare il profondo fattore introspettivo della sua (di Justine) condizione depressiva Von Trier si perde in una prima ora (e prima parte) che è comunque TROPPO alogica, improvvisa, frammentata e spesso superflua, nel suo compito di cercare di presentare Justine e la sua condizione commette un semplice errore: non lo fa. Non in maniera credibile.
E sì, l'ho capito che solo tu, che sai cos'è la malinconia e la depressione riesci a capire o a trasdurre realmente le sensazioni che quella parte del film vuole trasmettere, perchè noi in fondo non potremmo mai capirla al cento per cento, però ecco, così non si fa, un pò di criterio ci vuole anche in questo.
Invece è tutto molto superficiale e superfluo e no, non siamo noi che non capiamo, lo è e basta.
Seconda parte più godibile, ottima l'interpretazione della Gainsbourg che forse è proprio ciò che rende godibile la seconda ora. Però restiamo lì, un film che si ferma alla superficie con l'intenzione di voler apparire più introspettivo e complesso di quello che in realtà è.
Per concludere, non sto a dire che sia un brutto film, non fraintendetemi. Non ritengo meriti tutti questi riguardi particolari che ha ricevuto. Buona la fotografia, le musiche, la Gainsbourg, ma basta così. Non so voi ma è stato l'atteggiamento che il film ha voluto assumere a darmi un pò fastidio. Molto forzato.
Shadows di John Cassavetes
Opera prima del regista. Molto indie, molto low budget, attori alle prime armi, e scritta finale che dice "quella che avete visto è stata una improvvisazione". Un film sulla beat generation, molto jazz, cool. Tre fratelli, molto diversi. Lelia, bella e giovane, cerca l'amore ma rimane scottata. Hugh, musicista sempre in difficoltà economiche. Benn, giovane e senza troppe idee per la testa, ciondola di qua e di là, sembra depresso.
Particolare con quei primi piani che rimepiono lo schermo e il montaggio sfalsato (tipico di Cassavetes). New York è sempre bella.
Bella questaFaces di John CassavetesCassavetes girò il film due volte, una prima volta nel 1957 e di nuovo nel 1959. La seconda versione è anche quella preferita dal regista; la prima versione fu comunque proiettata, ma si persero poi le tracce dell'unica copia della pellicola originale, che per decenni fu creduta persa o distrutta. Nel 2004, dopo anni di ricerche, Ray Carney, professore della Boston University e studioso di Cassavetes, ne annunciò il ritrovamento in una scatola abbandonata sulla metro, insieme ad altri oggetti smarriti con cui era probabilmente stata acquistata
Un'altro capolavoro. Uomini e donne sotto la lente implacabile di Cassavetes. Tradimenti di entrambi i sessi, serate in allegria. Richard è un riccastro invaghito di una prostituta, Jeannie. Non si cura affatto della moglie, non ha vergogna o ripensamenti su quello che fa. idem i suoi "colleghi". Maria, la moglie, dopo che lui gli chiede il divorzio, passa una serata fuori con le amiche. Si portano a casa un uomo. Qui è tutto il contrario. Paura, continui pensieri ai mariti, vergogna e imbarazzo. Fuga. O peggio.
Cassavetes fa delle radiografie, non dei film. E quanti dialoghi fiume, quante scene infinite che mettono sempre a disagio lo spettatore, rinchiuso tra quelle quattro mura con i protagonisti. E' un genio.
Adoro John Marley e sempre di più Gena Rowlands.
Ultima modifica di Coney Island Queen; 16-02-2012 alle 23:14:43
Ingannevole è il cuore più di ogni cosa
Ingannevole è il cuore più di ogni cosa, e insanabilmente maligno; chi potrà conoscerlo? [Ger, 17:9]
E davvero è ingannevole il cuore, se il piccolo Jeremiah, pur di aggrapparsi all'amore malato di mamma Sarah / Asia Argento, è pronto a cadere con lei in un abisso di abusi, violenza, droga, prostituzione.
Com'è l'inferno visto dagli occhi ingenui di un bambino? E' un viaggio senza fine e senza speranza, che ha il sapore di un trip in acido, in un mondo abitato da creature grottesche. Dai nonni oscurantisti religiosi ai cowboy camionisti violenti, dalle "lucertole da parcheggio" (come la sregolata Sarah) ai pedofili incalliti, passando per assistenti sociali esauriti e spacciatori professionisti, non c'è nessuna umanità nella quale riporre fiducia, nessuno che possa salvare Jeremiah: come potrebbero, se non riescono nemmeno a salvare loro stessi?
Certo che l'ho visto, e mi è piaciuto molto.
Ora non sto a scrivere il papiro, ma le differenze? Malick forse è un tantino prolisso in alcuni tratti del film, esasperando il concetto che vuole trasmettere al pubblico ma va detta una cosa. Per quanto lunghe, apparentemente sconnesse e "superflue" possano sembrare alcune sue scene, sono tutte estremamente oltre che belle da vedere in modo disarmante, ma sopratutto lasciano qualcosa. Sono un arricchimento, continuo. E certo, non sempre gli arricchimenti sono necessari, ma nel suo caso sono comunque qualcosa che rendono più ricca appunto la visione del film, più dettagliata, sfaccettata. Non è insensato, non è sconnesso, è un più, ma un più "appropriato", alla fine.
Insomma, alla fine Malick al punto ci arriva. E' come una sorta di discorso da oratore: Malick ti parla per ore e ore del suo tema, ti analizza tutti i dettagli a esso collegato e quando finisce te lo espone in tutta la sua complessità, con grande tatto e introspezione, a volte esagerando ma sempre CON COERENZA nei confronti di ciò del quale parla.
Von Trier inizia a parlare, poi ti dice qualcosa a cacchio non necessariamente importante a potenziare l'effetto che vuole darti esponendo il suo di tema, e alla fine di butta davanti in sintesi quello che vuole raccontarti così, direttamente. Così con The Tree of Life ti rendi conto che tutta quella complessità è servita, perchè altrimenti non ti avrebbe lasciato la stessa sensazione addosso, l'esperienza non sarebbe stata la stessa, mentre in Melancholia semplicemente no.
Per me sono imparagonabili, TTOL è anni luce avanti a Melancholia.
The Illusionist.
Non mi ha fatto impazzire. Un film discreto che si lascia guardare con un buon cast e una buona regia.
Norton fa il suo come al solito e più che altro è da lodare Giamatti che recentemente mi piace non poco.
Dello stesso filone ho apprezzato molto di più The Prestige. Ecco, quello si che è un film sulla magia.
Comunque la fine rimane comunque confusa e non viene spiegata la provenienze delle "anime".
Forse perchè i trucchi di un mago nond evono essere svelati?
The Illusionist è un film completamente diverso da The Prestige, gli è andata male di uscire nello stesso periodo.
The Illusionist è una specie di favole romantica dove il protagonista deve salvare la principessa e punire il cattivo, mentre The Prestige è un noir sull'ossessione per il palcoscenico di due prestigiatori rivali.
A me sono piaciuti molto entrambi, per ragioni diverse ovviamente.
"People assume that time is a strict progression of cause to effect, but *actually* from a non-linear, non-subjective viewpoint - it's more like a big ball of wibbly wobbly... time-y wimey... stuff." - The Doctor
"I pity the poor shades confined to the euclidean prison that is sanity." - Grant Morrison
Non sapevo W. Craven avesse mai girato una cosa del genere. E' epico!
Ora guarderò con terrore ad ogni ragazzino con in mano un pallone da basket.
"The killer inside me" di M. Winterbottom.
Mi è piaciuto poco. Le premesse erano anche interessanti ma la loro resa su schermo lascia un po' a desiderare. C'è comunque da dire che non siamo di fronte ad un completo disastro e gli aspetti positivi non mancano. Tra questi va annoverata la performance di C. Affleck che ben si muove nei panni del vicesceriffo/killer Lou Ford, i cui sguardi e le cui movenze fanno spesso trapelare l'enorme oscurità che aleggia dentro di lui. Oscurità che emerge in tutta la sua potenza nelle scioccanti scene di violenza che spesso vengono mostrate (quella con J. Alba è una cosa realmente disturbante).
Detto questo, si può passare alle note dolenti. Se le intenzioni del regista erano le stesse dell'autore del libro - ovvero tracciare un ritratto di un serial killer annidato in una persona di cui mai si sarebbe sospettato - fallisce. Insomma non basta qualche qualche passaggio accompagnato dalla voce del protagonista, qualche fotografia di una donna legata e maltrattata e qualche incontro con una prostituta mosochista per giustificare il perché dei suoi atti. O qualche diapositiva immaginaria per rendere conto della sua pazzia. Il fatto poi che tutto sia sulle spalle di C. Affleck (per quanto in stato di grazia) non aiuta: gli altri personaggi sono semplici macchiette prive di spessore, oltre che interpretati in qualche modo. E anche la sceneggiatura è a conti fatti priva di mordente, dimostrandosi molto semplicistica, là dove si intendeva dipingere un noir con qualche valido intrigo. L'atmosfera poi è la classica del Texas dei primi anni '50 ma avrei gradito conoscere meglio i suoi effetti sulle personalità dei personaggi. In questo caso infatti tutto viene liquidato all'inizio con una frase relativi al solito "Nelle piccole cittadine tutti pensano di conoscere tutti".
Da M. Winterbottom era lecito attendersi di più.
Jacksonville's on the map...
Hmmm, ho visto The Village.
Ai suoi tempi mi pare fosse stato stroncato a destra e a manca, ma a me non è dispiaciuto.
Bisogna partire dal presupposto che in effetti il tutto è decisamente poco credibile, e soprattutto che NON si tratta di un horror, mandati giù questi due fatti secondo me è un film godibilissimo, con dei colpi di scena assolutamente inaspettati e una realizzazione ottima, tra musiche, cast, ricerca linguistica che richiama la parlata del New England di primo '800, e una gran bella atmosfera.
Certo, bisogna lavorare parecchio sulla sospensione d'incredulità, e accettarla come una favola dall'animo romantico.
Temo di far parte di quella massa , all'epoca ero andato al cinema a vederlo pensando di trovarmi davanti un horror, inutile dire il film deluse le mie aspettative. Sarà perché già all'epoca l'avevo trovato un po' noioso, sarà perché non mi piace particolarmente Shyamalan, ma non l'ho mai rivisto. I vostri commenti però mi stanno stuzzicando, quasi quasi lo riguardo
Ho visto, finalmente, Drive.
Signori, che film. Mi aspettavo molto da questa pellicola (soprattutto leggendo i vostri commenti) e devo dire che non ha per niente deluso le aspettative.
Devo essere franco, e dire che questo film non lo avrei mai conosciuto se non fosse stato per voi (si ho letto qualche commentino tra siti e giornali qui e li ma niente di deciso).
Comunque un Ryan Gosling in grandissima forma e, come non plaudire la fantastica colonna sonora electro-pop 80's style. Bello bello bello.
Non e' un paese per vecchi
Lo vidi prestandoci poca attenzione qualche tempo dopo la sua uscita e rimasi colpito positivamente, piu' che altro per la buona dose di violenza. L'ho rivisto ieri e le buone impressione sono rimaste tutte. Interpretazione superba di Javier Bardem, che veste i panni di un killer folle e silenzioso. Le scene che lo vedono protagonista mettono molta tensione, alimentata anche dall'atmosfera "desertica" che e' stata creata. Ottimi anche gli altri personaggi, lo sceriffo ormai stanco del degrado dei suo tempi, il reduce del vietnam e la moglie, che come tutti i personaggi del film dovranno fare i conti con la follia e il destino