Fuori concorso
«E mi coinvolge l’eterno gocciolare
e il tempo sopra il viso di un passante
e il chiedermi se nei suoi occhi appare
l’insulto di una morte o di un’amante…»
(Francesco Guccini, Vite)
La differenza tra chi sceglie di oscurarsi e chi è oscurato dagli eventi è nel numero di conati di vomito che la sua storia provoca. Una nausea mi pervade.
Un disordine nel cuore: ho rovistato nella mia memoria, ho trovato vite insignificanti e onnipresenti, volti grigi, facce spente, circostanze. E poi vite sbagliate, lampeggianti, stanze chiuse senza via d’uscita: vite intermittenti, buio su luce, eventi su vite.
La tela nera di un dipinto funesto.
Tra queste ombre mi dimeno in cerca di un barlume di luce. Qualcuno spegne le proprie candele, altri le trovano già spente.
La colpa, il merito.
La scelta, l’obbligo.
Casualità.
La tela si tinge di una macchia rossa.
Coito interrotto, un piacere che non può sublimarsi. C’è chi trova il tragitto sbarrato e chi decide di tornare indietro perché non se la sente. C’è chi rischia e chi è travolto, lo sfacelo è lo stesso.
Questa macchia rossa sulla tela è sangue.
Una corda al collo, due lividi ogni sera e un’auto contro un albero: ogni tumulto è uguale all’altro, non lascia che disgusto.
Troppo buio intorno a voi. Se trovassi un nitore tra queste tenebre potrei indicarvi la via. E se la luce ci accecasse? Se fosse troppo innocente?
Quando tutto è illuminato il buio fa più paura. Abituarsi alle luci spente fa apparire illusoria l’alba. Chimera.
Sulla tela c’è un graffio.
Il mio riflesso allo specchio è un fantasma che arriva dal passato e mi sussurra di voi. Un’ombra avvelenata e marcia che non può redimersi.
Piume contaminate da ricordi che diventano massi.
Il graffio è uno squarcio.
Confronto, identificazione, sdoppiamento.
Rimarrò al buio.
Osservo piuttosto che agire. Soffro del dolore altrui. Potrei accorgermi di esistere da un momento all’altro.