Contest letterario #5 - Abbandono - Pag 2
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Discussione: Contest letterario #5 - Abbandono

Cambio titolo
  1. #16
    Utente Didier L'avatar di WolfandKing
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    02-07
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    A casa
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    Citazione Frank Drummer
    (Il treno)

    Questo è il mio treno,
    Ti chiamo appena arrivo,
    Ciao! Piove
    Lo sportello s’apre,il treno è aperto
    Ci entro da un buco qualunque
    Perché lo sportello s’apre comunque
    Ci entro da un buco,scelgo quello più bello
    Ma sono molti,tanti,è difficile scegliere

    Hai visto la partita,ieri? Si,l’ho vista!
    Chi ha segnato? “Verdi”
    Scelgo te più verde,trasparente,con gocce
    S’accende una sigaretta
    Di fuochi che ardono,di fumi che saltano,
    Scelgo te di più verdi prati e verdi fiumi
    E non so chi mi presta i criteri,i pensieri
    E non so cosa dico a me,cosa devo dirmi
    Frocio,ridammi il biglietto! Crepa!
    Quando io non m’ascolta?,non m’ascolta
    Ma è meglio così!,quel bastardo
    Mi tratta sempre come un bambino!.
    Ed io dove mi siedo?.
    Din don,il capostazione è morto,
    Vi ricordiamo che il pasto
    Non verrà servito perché siete froci,
    Grazie,e buon viaggio.
    Guardo il paesaggio statico
    Della stazione,e l’ormone del viaggio
    Il Rumore d’uccello
    Sale, grida, urla,si fa sentire!
    Guardo una vecchia foto.
    Mamma sembra di volare!,
    Vado veloceeeeeeeeeee! Fa silenzio!
    Il paesaggio è mio padre,anche gli alberi sono froci,
    Sempre più veloci sono il treno,il corvo e Dio.
    Oggi mia madre è silenziosa,
    Forse perché è morta.
    Mi scusi,ha 5 minuti?
    No,non ho più tempo,
    Il corvo mi ha rapinato,indisturbato,quando
    Ma chi scrive queste frasi sui finestrini?
    Aiutai i froci a spaventarlo,salvandoli
    Da fine certa. Un po’ come mio padre,
    Che diceva:Scemo chi legge,se muore
    Il capostazione chiedi aiuto agli alberi,
    E porta loro il cibo alle radici,così che
    Il corvo,quando giungerà,avrà di che mangiare!
    E non ti preoccupare,ti sarà utile!,
    Ti daranno una ricompensa,ti indicheranno
    La strada di casa!,e Dio ti salverà!.
    !
    (Fine di cosa?)
    Capolavoro. Complimenti.
    Occhio per occhio, ed il mondo diventa cieco.

  2. #17
    .MVA. L'avatar di elettrodado
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    non dove vorrei.
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    2.082
    Citazione Frank Drummer
    (Il treno)

    Questo è il mio treno,
    CUT
    (Fine di cosa?)
    Sempre più ammirato.
    Notevole.

    I miei giochi
    FORZA SPAL!

  3. #18
    .MVA. L'avatar di elettrodado
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    2.082

    L'ultimo incontro.

    Il fumo grigiastro della sigaretta contribuiva ad appannare il parabrezza. L'abitacolo era intriso di vari odori tutti sgradevoli: una commistione di catrame, sudore, arbre magique e paura. Nervosamente al posto di guida se ne stava con la sigaretta in un angolo della bocca, le mani strette al voltante e lo sguardo fisso oltre il vetro. La notte attorno a lui tentava invano di penetrare nell'abitacolo sigillato.
    Il sudore scendeva dalla fronte appannando il vetro dall'interno e celando la visuale agli sguardi indiscreti di un parcheggio poco affollato. Un parcheggio, quello solito. Il parcheggio di quando si andava "da nessuna parte" e ci si lasciava andare a carezze eccitate.
    Un lampione poco più in la illuminava le sagome di una coppia di giovani all'interno di un altro abitacolo sigillato. Posando lo sguardo su di loro si trovò a sorridere pensando a mani incerte fruganti nel buio. Parlò ad alta voce: "ti ricordi? anche noi un tempo venivamo qui come loro, per amarci". Rise, ne uscì uno schiocco isterico. "Era così bello..".
    Si accese una nuova sigaretta col mozzicone della vecchia consunta.
    Sbuffò due, tre, quattro volte. Sbuffava succhiando nicotina dal filtro immaginando che fosse la morbida protuberanza di un seno a lui familiare. Un fruscio dal sedile posteriore lo interruppe. "Stai scomoda?" disse guardando dallo specchio rivolto verso il retro dell'auto. Non ricevette risposta e si lasciò andare nuovamente ai ricordi. "Quando tua madre mi diede quello schiaffo? Non sono mai piaciuto ai tuoi, ero troppo "inadeguato" a ciò che volevano per te.".
    "Sicuramente ti stanno guardando, stanno vedendo che fine ha fatto la loro principessa". Dicendolo automaticamente posava lo sguardo su una pagina aperta a metà di un quotidiano adagiato sul sedile a fianco. Era una pagina di cronaca del giorno prima. Parlava di un ritrovamento di due cadaveri semi sepolti in una fossa scavata in fretta nel giardino degli stessi e della caccia all'omicida in fuga.
    La “principessa” se ne stava accucciata con la testa poggiata e le gambe stese ad occupare i tre posti del sedile posteriore. Le mani schiacciate dietro la schiena ed una corda che la abbracciava troppo stretta solcandone i polsi, e il seno denudato. Un ciondolo con una piccola croce di argento o più probabilmente di acciaio le penzolava segnandone le forme con gli spigoli appuntiti. Lo sguardo fatto di occhi nerissimi era impaurito e comunicava il disagio della consapevolezza che qualcosa non stava andando come sarebbe dovuto. Lo guardava fisso, lacrimante, col trucco sfatto sulle guance ed un fazzoletto ficcato per buona metà all'interno della bocca. Cercava di chiedere aiuto a quello che ricordava essere stato il suo amorevole compagno per undici anni, incerta se riconoscerne ancora le sembianze. Singhiozzava per quanto riusciva avendo occluse le narici dal sudore e la bocca dal bavaglio. Singhiozzava fra un respiro e l'altro senza capire fino in fondo cosa stava accadendo ma impaurita al punto da non poter controllare alcune raffiche di convulsioni che la facevano sobbalzare ad intervalli costanti.
    La guardò così, senza il coraggio di sfidarle lo sguardo. Tremava lui più di lei. "Non è colpa mia sai? no, sei tu che ti sei ficcata da sola in questo guaio". Ampi aloni di sudore sulla camicia slacciata al colletto si erano formati a causa delle quindici lunghe ore trascorse in auto. La cravatta ancora annodata al collo ormai madida. Si sentì opprimere. La svolse con isterica angoscia lasciandola cadere sopra al giornale a fianco a lui. "Me l'hai regalata tu ricordi?"."Neanche mi piacque. Ma erano così rari i tuoi regali che mi sembrò bellissima.". Il monologo sconnesso passava dai ricordi di momenti teneri ad elucubrazioni sul perché fosse finita. "Pensaci. Non sono stato io a rovinare tutto". "Se tu non l'avessi fatto.. Se non mi avessi lasciato, se anche tu avessi creduto in noi, come me, non saremmo qui ora, e non ci sarebbe la polizia a cercarmi.". I pugni chiusi stretti come morse fuori controllo.
    "E' un incubo. Non è la realtà.. ora mi sveglio con mamma a coccolarmi e la colazione pronta fumante in cucina". Disperata cercava di darsi una scappatoia inesistente. Pensava fra se quasi a voler scacciare il folle ormai irriconoscibile che si agitava sul sedile di fonte. "E' domenica e fuori fa troppo freddo per non lasciarsi andare alla lettura in salotto". Abbandonata a questi pensieri trovò un momento di conforto smettendo di mugugnare ed arrestando le convulsioni soggiogata dalla consapevolezza della fine. Con un folle pensiero guardò l'orologio sopra lo specchio al centro dell'auto. 0:32. "Chissà a che ora sarà il preciso istante del mio decesso.".
    La carenza di ossigeno iniziava ad annebbiare i pensieri, tutto si confondeva, le parole, i suoni, gli odori.. Stava iniziando a lasciarsi andare tramortita.
    La vedeva morire, la guardava allontanarsi una seconda volta. Disperato: "Svegliati! Svegliati!" urlava "non te ne puoi andare! rimani con me! Non abbandonarmi ancora!". Erano urla stridule miste a pianto. Era un delirio ormai senza senso.
    Un pugno contro il soffitto dell'auto, la sensazione di frustrazione a causa della assenza di reazioni di quel corpo tanto conosciuto quanto distante.
    Si ritrovò con un balzo fuori dall'auto lasciandosi investire da una folata di aria umida, piacevole a confronto dell'inferno tra lamiera e pelle sintetica. Si asciugò con la manica il sudore e le lacrime. Fece un lungo respiro vedendo in lontananza i primi bagliori blu dei lampeggianti. Si affrettò a risalire, stavolta sul sedile dietro, a fianco a lei. Un ultima volta. Un ultimo bacio. Nuovamente abbandonato si slacciò i pantaloni tentando di iniettare vita in un corpo ormai spento.
    Ultima modifica di elettrodado; 5-09-2007 alle 13:12:41

    I miei giochi
    FORZA SPAL!

  4. #19
    Mvesim
    Ospite
    E' un brano diviso in quattro pezzi, l'ultimo andrebbe quasi cantato.

    Inganno Negazione Ragione Immolazione


    L’abbandono dell’amico

    In cielo, unica spettatrice, la Luna, una bianca presenza sola e distante.
    Attorno, le stelle, miriadi e miriadi di piccole luci che lottano per raggiungere il cuore del cielo.
    Sulla terra, il fruscio del vento, quasi un silenzioso e tenebroso pianto.
    Un soffio che muove lentamente, senza rabbia, l’erba e i rami degli alberi in una solitaria danza creata apposta per lui.
    Poi, salendo sulla collina, ecco l’albero: un rinsecchito, abbandonato, lurido pezzo di legno che domina la vallata.
    Sotto di esso trenta piccole monete argentante giacciono illuminate dall’astro notturno.
    Sopra di esso l’unica persona che aveva amato il suo maestro come un amico invece che come figlio di Dio, muore.
    Sola.
    Suicida.

    L’abbandono del popolo

    <<Tu eri con lui! Con quell’uomo preso dai soldati romani! Per quell’uomo miriadi di persone creeranno crociate, per la salvezza delle anime, ignoranza, per la speranza di un domani, morti, per la difesa di un’ideale, stati, per la salvaguardia terrena della fede, malattie, per la protezione del seme e della vita umana, solitudine, per la gloria della verginit&#224;. Tu eri con lui! Non negarlo!>>

    <<No! Non ero con lui. Io odio le guerre, portano all’odio, io abiuro l’ ignoranza, la scienza &#232; l’unica via, io rifuggo la morte, &#232; la conclusione di un universo, io distruggo lo stato, il regno di Dio &#232; senza confini, io temo le malattie, non esistono miracoli per salvarsene, io scappo dalla solitudine, ho troppo amore per il prossimo. Come potrei apprezzare un uomo del genere?>>

    <<Ma anch’io ti ho visto! Eri con lui! Ascoltavi semplici parabole che saranno dipinte su quadri meravigliosi e costosi, ammiravi il Nazareno con virt&#249; e devozione come lo ammireranno nei secoli e nei secoli i suoi fedeli in Chiese monumentali e gloriose, gridavi con forza il suo nome con il fanatismo di preti, vescovi, papi e cardinali. Tu eri con lui! Non negarlo!>>

    <<Sbagli! Non ho ascoltato per i soldi, essi andrebbero donati ai miseri. Non ho ammirato il Nazareno con devozione, esso andrebbe osservato con semplice umilt&#224;. Non ho gridato con forza il suo nome, esso dovrebbe essere pronunciato con calma e ragione. Come potrei essere stato al suo fianco?>>

    <<Eri l&#224;! Ne sono sicuro! Eri con quell’uomo che parlava di un regno dei cieli pi&#249; grande del mondo. Eri l&#236; ad ascoltare di un Dio che non vuole la libert&#224; del nostro popolo, ma vuole la pace dell’umanit&#224;. Eri con lui, a sperare in un mondo senza guerra e che giunger&#224; prima o poi sotto forma di apocalisse. Tu eri con lui! Non negarlo!>>

    <<Smettetela! Un regno dei cieli non ha senso finch&#232; il dolore umano &#232; incatenato alla terra. Il nostro popolo, Ebreo, avr&#224; prima o poi il suo stato, ma anch’esso sar&#224; percorso da guerre e razzismi perch&#233; Dio non pu&#242; la pace nell’umanit&#224;. Un mondo senza guerra, grazie a Cesare, gi&#224; esiste: perch&#233; aspettare l’Apocalisse?>>

    Poi il gallo cant&#242; e Pietro s’accorse d’aver abbandonato il suo Dio.
    Pianse.

    L’abbandono della giustizia

    Io sono la giustizia, la democrazia e la potenza.
    Io sono la gloria, la pace e la guerra.
    Io sono la dominatrice dei popoli e del mondo.
    Io sono Roma e sono qua, rivolta voi, per giudicare, assolvere o condannare.
    Proponetemi il vostro caso, esponetemi le vostre ragioni, l’Impero &#232; a vostra disposizione.
    Chi avete portato alla nostra presenza?
    Un uomo? Un banale uomo vestito di stracci e sabbia?
    Erode Antipa non riesce a giudicare quest’uomo? Il sommo sacerdote Caifa non ha gi&#224; trovato giudizio? Anna non l’ha aiutato a trovare la giusta risoluzione? L’intero sinedrio &#232; stato sconfitto da quest’insieme di stracci?
    Dimmi, Ges&#249; di Nazareth, sei veramente tu il figlio di Dio, il Messia, il Cristo, il re dei Giudei, colui che porter&#224; la pace in questo mondo?
    Non credi che, per questo, il nostro Impero non garantisca gi&#224; abbastanza?
    Nelle nostre terre vige la pace, nei nostri domini regna la gloria, nelle nostre citt&#224; cresce la cultura.
    Ges&#249; Nazareno, perch&#233; Roma deve giudicarti?
    Perch&#233; l’Impero deve guardarti con occhio di sfida?
    Perch&#233; Cesare deve assecondare il tuo destino?
    Che sia il tuo popolo, re dei Giudei, a giudicare: che siano i Giudei a giudicare te.
    Popolo d’Israele, Roma, per Pasqua, vuole darvi l’onore di giudicare e di liberare uno di questi due uomini.
    Chi scegliete ordunque: Barabba, l’omicida, o Ges&#249;, il salvatore?
    Voi, scegliendo Barabba, condannate un innocente, un umile, una nullit&#224;.
    Roma sa che state sbagliando ed errando; Roma &#232; conscia della bont&#224; di quest’uomo, ma Roma &#232; giusta e democratica e si atterr&#224; al vostro volere: cosa volete che ne facciamo di quest’uomo?
    Che sia crocifisso allora!
    Ma l’Impero se ne laver&#224; le mani; mai una sola goccia di quest’uomo sia versata in nome di Roma.
    Il re della Giudea non muore per Roma, muore per voi.
    Non &#232; la giustizia ad abbandonare l’innocente, &#232; il vostro amore che lo abbandona.

    L’abbandono di Dio

    Che cos’ho fatto, mio Dio?
    Ti ho seguito, mio Dio.
    Son condannato su questa croce
    A guardarti dal basso in alto
    Con un assassino che mi guarda
    E un altro che si salva
    Che cos’ho fatto, mio Dio?
    Ti ho venerato, mio Dio.
    Nell’ebbrezza della Pasqua
    Mi hai dato ai tuoi nemici
    L’odio puro e l’inganno
    Il peccato originale
    Queste osse andate a male
    Dal mio sangue rinasceranno
    Che cos’ho fatto mio Dio?
    E ora guarda, mio Dio
    Sono qua che sto morendo
    Soffocando e sperando
    In un tuo sguardo quasi umano
    Io ti prego, ti scongiuro
    Poni fine a questo duro
    Mio dolore immacolato
    Che cos’ho fatto mio Dio?
    La tua parola comunicai
    Per te padre e per me stesso
    E per lo spirito santo
    Diedi il sangue come vino
    Diedi il corpo come pane
    Ma ora guarda, ora senti
    Dove sei finito Dio?
    Io ti voglio, io ti bramo
    Dio mio, mi hai abbandonato.

    Elo&#236;, Elo&#236;, Lam&#224; Sabact&#224;ni?

    Ultima modifica di Mvesim; 5-09-2007 alle 11:14:01

  5. #20
    ~Quante scoppole (cit.) L'avatar di Maggotts
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    Citazione Frank Drummer
    (Il treno)


    Ci entro da un buco,scelgo quello più bello
    Ma sono molti,tanti,è difficile scegliere
    -
    Ti daranno una ricompensa,ti indicheranno
    La strada di casa!,e Dio ti salverà!.
    -
    !

    (Fine di cosa?)
    Le parti più belle, mi è piaciuto molto leggerti.




    /lo blocca

  6. #21
    Villano L'avatar di Jurambalco
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    DLIN! LIN! Lin…
    I sonaglietti piazzati sopra la porta di vetro suonarono quando essa si apr&#236;. All’interno del negozio erano entrati un paio di giovani, erano nel pieno dell’adolescenza: tra i sedici e i diciassette anni. Lei aveva lunghi capelli castani e liscissimi: le scendevano fino alle scapole. Sul viso invece erano stati tagliati a formare un vistoso frangettone. Non meno vistosi erano i due occhiali “a goccia” e i due enormi orecchini tondeggianti. Mentre masticava una gomma con la bocca socchiusa incedeva ancheggiando con i fianchi scoperti a causa della cortezza della maglietta bianca e della vita bassa dei jeans. Si intravedeva un po’ di mutanda azzurra, coperta qua e l&#224; dall’enorme cintura nera e argento. L’altro giovane avanzava pi&#249; sicuro e ogni due passi il corto pinocchietto calava verso terra di mezzo centimetro. Per fortuna, a coprire le sacre intimit&#224;, c’era una lunga maglietta a strisce (orizzontali) rosa e nere che, infilata nei pantaloni, tenacemente combatteva contro la forza di gravit&#224;.
    Al banco il commesso non li vide arrivare; dava loro infatti la schiena. Mentre riordinava un tabellone con le date di alcuni concerti messo dietro al banco, i suoi lunghi capelli legati in un codino scendevano nell’incavo delle scapole. Indossava una semplice maglietta nera e un pantalaccio dello stesso colore.
    Quando si volt&#242; chiese ai due cosa volessero. Il maschio rispose:”Dobbiamo regalare un CD”.
    Quello era in effetti un negozio di Musica.
    “Di che genere?” chiese il commesso.
    Il ragazzo dai pantaloni gravitazionali ebbe un attimo di sussulto. Mentre la giovane si guardava attorno con aria un po’ assente e sonnacchiosa, lui si riprese e rispose:” Mah, questo nostro amico ascolta roba un po’ strana, tipo rock…”
    Il giovane negoziante cap&#236; di avere di fronte un’ardua impresa. Tuttavia, fiero della missione da portare a termine non si lasci&#242; intimorire!
    “Hm… seguitemi, andiamo a vedere nel reparto se troviamo qualcosa.”
    Usc&#236; da dietro al banco e prosegu&#236;, seguito dagli altri due giovani, verso il fondo del negozio.
    Tra gli scaffali ricolmi delle sgargianti immagini dei CD Si trovavano solo loro ed un altro paio di persone. Superarono una persona ben vestita e sulla cinquantina che passava in rivista il reparto della musica napoletana e si fermarono di fronte al reparto “Nuovi suoni”. L&#236; un ragazzo, avr&#224; avuto un venticinque anni, stava gi&#224; osservando l’offerta. Portava dei capelli lisci e semilunghi, indossava una maglietta bianca e azzurra e dei jeans grigi. Portava degli occhiali e da sotto a questi lanci&#242; uno sguardo al commesso e agli altri due che gli si erano appena avvicinati. Dur&#242; un attimo e torn&#242; a guardare i CD.
    Dunque il commesso parl&#242;: “ Penso che qui troverete ci&#242; che vi interessa. Date uno sguardo e richiamatemi quando avete trovato qualcosa”
    I due ragazzi stettero qualche secondo in silenzio, poi lui mormor&#242; un “ok” e si voltarono a scorrere su e gi&#249; lo scaffale con lo sguardo. Il commesso stava per allontanarsi quando si sent&#236; afferrare per il polso. Si gir&#242; di scatto pronto a reagire ma per quanto insistesse non riusc&#236; a liberarsi dalla presa. Guard&#242; davanti a se e, contornato dagli scaffali trasbordanti suoni repressi, vide il volto del ragazzo con gli occhiali. Era fermo ed inflessibile, ed anche gli occhi, fissi su quelli del commesso dal lungo codino, riflettevano la stessa solidit&#224;. Per secondi che parvero minuti il negoziante ebbe modo di indagare il viso di colui che lo immobilizzava: era una carnagione piuttosto chiara ma non pallida. Alcuni segni di una vecchia acne butteravano un po’ le guance del viso tondeggiante ma ci&#242; che pi&#249; attirava l’attenzione era la barba dell’uomo. Essa era tenuta rada, quasi un finto incolto, ma si vedeva chiaramente che non era nera come i capelli del suo padrone bens&#236; rossa. Anzi, si accorse il commesso, pi&#249; che rossa era ramata, come i disegni delle stampe antiche. L’uomo all’improvviso ruppe il silenzio e disse: “Prendo questo”, e alz&#242; il braccio sinistro dove teneva stretto un CD. Lasci&#242; andare il polso che aveva stretto fino a quel momento, ma l’altro si sentiva ancora come incatenato dall’inflessibile sguardo. Non si sentiva pi&#249; padrone di se stesso, era come se assistesse come spettatore ad una scena lontana, in cui il suo corpo rispondeva all’uomo dalla barba rossa un “va bene” e lo guardava allontanarsi fino ad uscire indisturbato dal negozio. Si riebbe qualche attimo dopo, anche se si sentiva estremamente confuso: l’uomo che aveva raggiunto da poco allo scaffale “Nuovi suoni” era effettivamente scomparso ed erano rimasti solo lui, il cinquantenne delle canzoni napoletane ed i due giovanotti. Nessuno sembrava essersi accorto di nulla. Scosse la testa e torn&#242; al bancone.
    “Genny, se continuiamo cos&#236; non concludiamo nulla” disse la ragazza dai capelli lisci al suo amico “Prendiamo questo qui e andiamocene” ed indic&#242; un cd dalla copertina totalmente nera a parte la sagoma rossa di un uomo col volto coperto da una kefia.
    Si trovava sotto la lettera “kappa”.
    “Come mai proprio quello?” Domand&#242; il ragazzo.
    “ Boh, &#232; quello che ha scelto il tizio che stava prima qui accanto. Tanto un cd vale l’altro: ad Andrea basta che sia musica strana e gli piace”
    “Si si, hai ragione. Prendiamolo e andiamocene”
    Presero il cd e ripercorsero il negozio fino al bancone; l&#236; pagarono e se ne uscirono.
    Quella sera andarono entrambi a casa dell’amico Andrea di cui era il compleanno e che aveva organizzato una festa. Si scambiarono baci e abbracci e gli consegnarono il regalo.
    Dopo la festa il giovane Andrea entr&#242; in camera sua e, col cd in mano, guard&#242; una pila di altrettanti dischetti appesi alla parete. Estrasse dal cumulo un altro cd, esattamente uguale in forma, immagini e scritte (ed anche contenuti) a quello che gli avevano regalato quella sera. Lo guard&#242; un poco e lo rimise da dove lo aveva preso. Poi guard&#242; il cd che aveva in mano.
    Esclam&#242; un “Bah…” e lo scaravent&#242; in un sottoscaffale dove rimase per almeno cinque anni buoni ad impolverarsi.

  7. #22
    Utente Didier L'avatar di WolfandKing
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    Interessante, i racconti vengono postati ad un ritmo notevole. Fino ad ora li ho letti tutti.
    Occhio per occhio, ed il mondo diventa cieco.

  8. #23
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    Ho apportato alcune modifiche al mio lavoro.
    What can change the nature of a table shaped like a table?

  9. #24
    Ontologicamente polare L'avatar di Spug_Na
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    Ragazzi, mi avete messo in crisi... Avevo pensato ad un racconto, ma si attesta su un registro TOTALMENTE diverso dai vostri... Devo ripensare tutto... So che potrei partecipare anche con la mia vecchia idea, ma mi avete messo soggezione... Tutto da rifare!

  10. #25
    Ocelot L'avatar di Assurbanipal
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    Chiudo gli occhi.
    Suoni. Suono di una mosca che ronza, madida di sterco, attorno ad una briciola di pasticcino lasciata a terra rigurgitata da un cane.
    Suono di una lavatrice che ripete s&#233; stessa come un vecchio disco rotto di Neil Sedaka, rombando insistentemente fuori e dentro la mia mente. Il mio cervello subisce la centrifuga rotazione della lavatrice e mi trovo in un water a ruotare con lo sciacquone nella spirale di una rotatoria stradale dove un piroscafo prende la via della croce accompagnando un cristo ormai stanco di essere lodato mentre raggiunge la casa di bacco. Ad aspettarlo c’&#232; Minosse con in braccio suo figlio, incredibilmente bello, con il volto di calabrone che prende a volare presso un fiore di loto. Dal fiore, un vortice di polvere e polline strattona un airone appollaiato su una ‘600, mentre una farfalla strappa gli ultimi brandelli di carne attorno ad un osso di seppia.
    Il mio cervello continua a centrifugare e tra un universo ed un altro, tra una canzone ed una sedia, tra un libro ed un pelo di gatto, si posa ruotando sulla parola sacra di sapere della quale non pu&#242; sapere. L’anagramma sacro che solo il coniglio che corre veloce verso la selva maledetta senza paura di brandire armi per uccidere i demoni pu&#242; sentire, ma non ricordare.
    Il disco gira sul piatto pieno di pasta al sangue cotta all’osso, mentre mangio parte del mio cervello alla ricerca di quella parola, di quell’immagine. Ma l’unica cosa che vedo &#232; solo un elefante.
    La luce del bagno illumina fioca e fredda una chiazza di vomito sputata da una vecchia di 18 anni mentre cercava di scacciare l’anima dal suo giovane corpo, finendo per rinunciare alla sua maternit&#224;.
    La musica conduce il cervello verso un’altra strada, che porta in un corridoio giallo, acceso, d’una luce oscura, dalla difficile comprensione per la sua semplicit&#224; elementare. Un do maggiore strappa ad un si minore il giunnes del primato di sci alpino mentre continuo a mangiare il mio cervello che sa di plastica e vetro, mentre la ruggine si stacca dalle scure pareti di una brutta stanza d’albergo fluorescente nella notte come il sottile fegato di una lucciola.
    Il frigorifero pu&#242; trovare la risposta, capire il senso del caldo nella sua mancanza di movimento e nel sibilo lento e continuo di una sirena da guerra che trae Ulisse in inganno verso una casa di riposo in un angolo di strada poco illuminata. Il sangue di capra ricopre la porta di Edipo che chiede aiuto a Joyce nel tentativo di scacciare via il male dalla mente di sua madre, dalla sua mente, e giocando col mio cervello insieme con Mengele cerca di capire quale sia la corda dello sciacquone. Salgo per la spirale, ad accompagnarmi in viaggio un piccolo pinguino che ascolto con attenzione mentre con una mano sfioro il dorso di un cadavere di uomo. Disgusto e piacere di bign&#232; alla crema nell’arte della retorica, disgusto di cervello rosa e soffice, di nervi duri e callosi.
    Fermo la lavatrice. Non io, lui. Ma il cervello &#232; finito.
    Peccato non mi sia servito a nulla.
    Simon Pietro disse loro: <<Maria deve andare via da noi! Perché le femmine non sono degne della vita>>.
    Gesù disse: <<Ecco, io la guiderò in modo da farne un maschio, affinché ella diventi uno spirito vivo uguale a voi maschi. Poiché ogni femmina che si fa maschio entrerà nel Regno dei Cieli>>.

    Vangelo di Tomaso, loghion 114

  11. #26
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    Mi sono decisa a postarlo, è un racconto vecchiotto, lo posto così com'era e com'è ancora adesso.

    Etereo


    Tesso ragnatele d’illusioni. E’ bizzarro, ma resistono al vento e alla pioggia. Si rompono presto, ma ho la pazienza di ricostruirle. Fondate sul nulla, eteree ed evanescenti.

    Mi sono svegliato cercando il modo di sopravvivere ancora, anche per poco, solamente il tempo necessario per osservare di nuovo quegli occhi verdi, dolci e innocenti. La vita si allontana sempre più, ho solamente la forza di pensare. Non ho voglia di chiedere perdono a Dio, non credo cancellerà le mie colpe e io sono pronto per l’inferno. Spero che non me ne vogliano quegli occhi verdi, se non sono riuscito a guardarli un’ultima volta. Chissà come cresceranno quegli occhi, o quel corpo acerbo, chissà se i riccioli ora biondi cambieranno d’aspetto e somiglieranno più ai miei.

    Tesso ragnatele di sogni.

    Fuggo il mondo terreno, con le sue debolezze e malignità, e la mia speranza morirà dopo di me.

    I fiori sul tavolo mi ricordano Nadia, forse per via del loro aspetto fragile e delicato.
    Quando l’avevo tra le braccia sembrava quasi di stringere il nulla, e non perché non percepissi il suo contatto fisico, ma perché era distante anni luce con lo spirito. Anima vagante perfettamente equilibrata con il suo contatto terreno.
    Aveva degli occhi grandi e chiari, e non era possibile conoscere i suoi pensieri, li celava tutti dietro sguardi malinconici. A volte si fermava ad ammirare il cielo, e guardandola, non riuscivo mai a capire cosa ci vedesse lei, in quel cielo.
    Allora mi fermavo anch’io, fissavo il cielo e aspettavo.
    Mi perdevo nei miei pensieri, e forse lo faceva anche lei celandoli divinamente.
    La amavo con tutto me stesso, eppure, non sono mai riuscito a comprenderla veramente, e forse avremmo vissuto felici se non l’avessi incoraggiata a prendere un’altra strada.


    ***

    I riccioli d’oro rincorrevano il vento, spinti dall’allegria dell’infanzia, e gli occhi verdi, curiosi, scrutavano attenti la campagna, in attesa di scorgere qualche inatteso movimento..
    La vita le scorreva dentro le vene con un vigore quasi innaturale, eppure lo faceva in maniera discreta, dipingendo un capolavoro sul volto di Elisa.
    Scrutava la pianura con occhi felini, ed erano giorni che attendeva in silenzio l’arrivo di sua madre. Ci avrebbe pensato lei, si diceva, a sistemare ogni cosa, a prendersi cura di lei, ad abbracciarla e rassicurarla con il suo buon profumo, ci avrebbe pensato lei a guarire papà.
    L’attesa non era il suo forte, e l’ultima cosa che avrebbe voluto era tornare dentro casa, in mezzo a tutta quella gente sconosciuta che le faceva domande, sempre le stesse, e percepire l’odore delle medicine, della malattia, della morte.
    I bambini hanno un modo particolare di vivere la loro solitudine, riescono a vincere la noia o a renderla meno pesante, e magari non se ne accorgono neppure, resi ciechi dal desiderio di Vivere e giocare, nella pura e genuina semplicità.
    Correva, Elisa, ululando parole senza senso, in attesa di prendere il volo, finendo invece distesa per terra, stanca ma pienamente soddisfatta.

    ***




    Non riconosco più la mia casa.
    Un tempo era fatta di colori, di quadri, di ispirazione, e adesso mi guardo allo specchio e vedo tutto il Male che mi pervade, i miei occhi sono vuoti.. vitrei. Le parole risuonano flebilmente nella stanza, vorrei poter rimanere da solo.
    Non ho permesso ad Elisa di vedermi in questo stato, eppure mi manca quella sua risata così energica, in grado di contagiarmi. Ho difficoltà a ricordare la mia, di risata.. persa in chissà quale stanza della casa, in chissà quale stanza dell’universo..
    A volte ho l’impressione di essere in mezzo ai campi, con i colori del mondo nella mente, a gettare l’anima sulla tela.

    ***

    Sedeva su una piccola poltroncina, immersa nella malinconia dei ricordi che spesso la coglievano nei momenti di riposo. I suoi occhi grandi erano affollati da ombre e troppi pensieri le offuscavano la mente.
    Teneva tra le mani un fazzoletto verde.
    Il dolore riaffiora con la precisione di sempre, punge, si ritrae e serra lo stomaco.. gli occhi non vedono più.
    Il dolore e Nadia.
    -Tornerà – sussurra a sé stessa.
    -Tornerà
    Scoppiò in un pianto improvviso, reggendosi il volto tra le mani, singhiozzando forte.
    Lontano, profumo di gelsomino.
    Un attimo.
    Un pensiero inatteso attraversa la mente, stimolato da un’inezia, e si è svuotati, con una morsa nello stomaco, inutili, fragili, e Soli.
    C’era qualcosa in lei, che la faceva apparire fragile e allo stesso tempo eccezionale, grande in mezzo agli altri, e qualunque cosa facesse era semplicemente straordinaria, sbocciata dalla sua semplicità, dalla sua spontaneità.
    Una donna e il suo dolore.
    Abbandonata in una calda giornata di Maggio.

    ***

    Oggi, al mio risveglio, ho scoperto che Elisa aveva dormito nel mio letto. Era così bella nella luce del mattino, mi ha ricordato sua madre, così simile a lei, così Viva.
    Solamente ieri mia moglie ha saputo della mia malattia, solamente ieri ha saputo che potrei morire.
    Verrà a prendere Elisa, la porterà con sé in giro per il mondo, e vivranno una vita felice. Questo pensiero mi rasserena, e imparo ad accettare la mia sofferenza, cercando di non coinvolgere nessuno nella mia rabbia, nel mio dolore.
    A me rimane l’incertezza del futuro, l’incertezza del presente, e quella certezza, che non ho mai desiderato, del passato che non si può cambiare.
    Mi resta l’impotenza, il non poter fare nulla di fronte ad avvenimenti che mi travolgono, senza darmi la possibilità di scegliere nulla, senza darmi la possibilità di agire per evitare ciò che non voglio.
    Non voglio dire Addio al mondo.
    La mia vita è stato un susseguirsi di errori, di amori che sono durati mesi, o settimane, o giorni, o baci, o carezze, o sguardi.

    ***

    Le mani eleganti si richiusero a pugno e bussarono lievemente alla porta di legno.
    Avanti
    La voce era un sibilo, quasi raccapricciante, ombra di quella che era una volta.
    Sono io.
    Ciao Gioia.
    Ciao Tancredi.
    Sapevo che saresti venuta, hai fatto bene, anche se non desideravo mostrarmi in questo stato.
    Hai sempre un aspetto forte, lo sei sempre stato, non credo ti arrenderai, e poi mi devi ancora un quadro.
    Seguirono minuti di silenzio, caldi, accoglienti, complici.
    Ti ho rivisto in giro per il mondo…
    Ti ho rivisto nelle mani di un pianista, negli occhi dei passanti, molte cose mi ricordavano te. Il nostro è stato uno strano amore, è durato troppo poco, volato via come foglie al vento, ma non abbiamo nulla da rimproverare a noi stessi, tra noi non c’è rancore, e il ricordo che serbo di noi è molto dolce.
    Sono felice che tu sia qui, Elisa lo sarà ancor più di me. Mi è molto mancata la tua sensibilità e la tua capacità d’osservare con acutezza ogni cosa… Non esiste persona che riesce a scavare più profondamente nel mio animo, e mi sono sempre affidato ai tuoi occhi, per ogni cosa.
    Non è un addio.
    Forse.
    Un bacio sulla fronte, una madre al suo bambino per augurargli la buonanotte, il profumo dei capelli biondissimi, gli occhi di un azzurro intenso. Il rumore, lievissimo, dei passi che si allontanano, petali di rosa.

    ***
    La pioggia era appena percettibile, silenziosamente delicata si posava sul capo delle persone dirette in chiesa.
    Manto cupo in un universo di luce.
    Un uomo. La sua tomba. La vita che non è più.
    La vita che sarà, o non sarà.
    E tutte intorno, le persone che lo amavano, composte, rigide, impassibili.
    Il dolore e la pioggia, silenziosamente delicati.
    Un uomo. La sua tomba. La vita che non è più.
    Vuoto ovunque.


    ***
    La stanza era buia, opprimente.
    Credevo non saresti più venuta
    Nulla poteva impedirmi di arrivare da te
    Un momento come un altro, due amanti di un tempo si incontrano forse per l’ultima volta. La fierezza di lui e la fragilità degli occhi di lei.
    La vita è bizzarra. Procede per stramberie e non è mai giusta.
    Scivola via lentamente, provocando affanno… Distrugge, Crea, e continua a scorrere in altre membra.
    Lo sguardo vitreo sarà Vivo, mentre i riccioli biondi schiariranno la bruna chioma.
    Morte e Vita.
    Sai cosa ti sto per chiedere, vero Nadia?
    La fragilità di lui e la fierezza degli occhi di lei.
    Sono venuta per questo, e farò ciò che desideri
    Allora fai ciò che devi, adesso



    Fine



    1 Tancredi, Significato: consigliere saggio, che medita le decisioni.
    2 Nadia, Significato: Speranza
    3 Elisa, Significato: Il mio Dio è perfezione
    4 Gioia, Significato: Che è piena di gioia

  12. #27
    Ren
    Ospite
    Cut Scene


    La notte.
    Seduta di psicanalisi con me stesso, il mio migliore amico.


    "Anche stanotte non riesco a dormire, la stessa acidit&#224; di stomaco di sempre.
    Sono le tre e quaranta del mattino...ma poi perch&#232; si dice cos&#236;? Guardo fuori dalla finestra e mi sembra ancora notte; non c'&#232; un solo raggio di luce ad illuminare il Borges Park, o forse &#232; il Ficciones Park? Nel buio le cose sembrano tutte uguali, allora esistono soltanto di giorno?

    Ieri mi ha telefonato Trevor, erano mesi che non sentivo nessuno. Mi ha detto che sta bene, che ha risolto i suoi casini con la moglie; sono davvero contento per lui. Trevor &#232; il mio migliore amico, mi telefona una volta l'anno e non l'avevo mai sentito cos&#236; depresso come l'anno scorso.
    Bella donna la moglie di Trevor, forse troppo; lo far&#224; impazzire prima o poi, la gelosia lo divorer&#224;.
    Trevor non parla molto per la verit&#224;, ma ieri sera era cos&#236; felice, sembrava un'altra persona al telefono. Gli ho parlato della mia insonnia, del fatto che non riuscissi a dormire da giorni; mi ha risposto che secondo lui qualcosa mi sta chiamando, che qualcuno vuole che io resti sveglio per qualche motivo. Mi continuava a ripetere di ascoltare la voce, di ascoltarla bene, perch&#232; sicuramente avrei risolto i miei problemi. Non ho capito a quale voce si riferisse per&#242;, &#232; un po' di tempo che sento soltanto gli echi stanchi della mia.

    Sono qui, affacciato alla finestra. In lontananza mi sembra di vedere una fonte di luce che si accende ad intermittenza, forse un lampione che non si &#232; spento insieme agli altri. Un solitario, un insonne...proprio come me.
    Il mio sport preferito &#232; parlare con me stesso, il mio hobby invece &#232; guardarmi allo specchio. E' incredibile come il volto di una persona possa essere diverso ogni secondo che passa; un muscolo si tende, per qualche strano caso, in modo impercettibilmente diverso dal solito ed ecco una faccia nuova. Beh, resta sempre la tua, ma sembra essere stata disegnata da qualcun altro in quell'occasione.
    A volte quando mi osservo stento a riconoscermi anche io.

    Che ore saranno? Le tre e quarantacinque. Un quarto d'ora, &#232; passato soltanto un quarto d'ora dall'ultima volta che ho guardato l'orologio.
    Devo ricordarmi di farmi la barba, stamattina. Ieri il capo mi ha richiamato, la seconda nota disciplinare in una settimana; alla terza si viene sospesi per un giorno e la mia condizione economica di impiegato statale pagato il minimo sindacale, non mi permette di perdere un giorno di stipendio a causa del mio stato confusionale, prodotto dalla carenza di sonno.
    Verso le due del pomeriggio, ogni giorno, mentre sono al computer a controllare stupidi contocorrenti e bollette non pagate, il mio cervello sembra addormentarsi per un paio d'ore, anche se il mio corpo resta apparentemente sveglio.

    Qualche giorno fa ho sentito parlare di alcuni animali, insetti mi pare, che riescono a dormire con gli occhi aperti. Magari il mio io insettoide si sta palesando; potrei svegliarmi una mattina trasformato in un grosso e disgustoso insetto, come succedeva in quel libro, come diavolo si chiamava? Non me lo ricordo...e comunque non mi era piaciuto quel libro, o forse non l'avevo capito. In verit&#224; anche questa opportunit&#224; di svolta per la mia vita &#232; da escludere; come faccio a risvegliarmi insetto se neanche mi addormento?

    Apro il bloc notes, scrivo.
    5.00 a.m. Smettere di cercare di dormire
    5.30 a.m. Doccia. Veloce e gelida.
    6.00 a.m. Colazione. Caff&#232;.
    7.00 a.m. Uscire di casa.
    8.30 a.m. - 2 p.m. Ufficio.

    Chiss&#224; perch&#232; continuo a scrivere ogni mattina, avr&#242; accumulato centinaia di fogli, scritto le stesse cose per anni, ripetute, circolari, sempre uguali, in un loop eterno come le mie notti; ripetute, circolari, sempre uguali."

    L'alba.
    Lucciole e fuochi fatui, ingannevoli luminescenze di una mattina di agosto.

    La camera di Joshua era illuminata da un'unica fonte di luce, una lampada dal design contorto che si avvolgeva su se stessa, proiettando il suo occhio luminoso al di l&#224; della propria figura. L'arredamento consisteva in una decina di mobili, tutti in simil-legno plastificato, mobilia economica, con rifiniture grezze e accostamenti cromatici improbabili. Un comodino laccato, che forse un tempo era stato bianco ma che ormai aveva assunto il colore tipico dei medicinali scaduti, stava ai piedi del letto da una piazza e mezza. Tende in parte rovinate e lise dal tempo e dall'incuria, di un colore verde acido, contribuivano a rendere l'illuminazione dell' ambiente in qualche modo claustrofobica.
    Dal soffitto ocra penzolavano alcuni fantocci e maschere, quasi tutti in cartapesta, imitazioni di oggetti tradizionali di qualche parte del mondo, che Joshua si dilettava a costruire durante le sue lunghe notti.

    L'insonnia lo perseguitava da anni, ma negli ultimi tempi non gli dava tregua; disteso sul letto, nell'ennesimo vano tentativo di addormentarsi, Joshua si contorceva, attorcigliando la sua figura alle lenzuola madide di sudore. I capelli, lunghi e crespi, sembravano combattere l'uno contro l'altro, annodandosi dietro le orecchie dell'uomo.

    Chiudere gli occhi, poi riaprirli, chiuderli ancora. Alzarsi e dondolare passivamente verso la cucina, mangiare qualcosa, bere un bicchiere di vino. Fumare una sigaretta, ancora vino e un'altra sigaretta. Ogni tanto a Joshua capitava di inventare qualche sogno, simulacri di ricordi. Quando il reale &#232; talmente rarefatto da sembrare inesistente, anche l'immaginario non pu&#242; essere considerato tale; raccontarsi delle storie, costruire falsi ricordi che per libera associazione di idee si intersecavano con momenti vissuti (da qualcun altro, forse), se non altro lo aiutava a passare il tempo.

    Ore 5.45, squillo che stride nel silenzio mentre il sole timidamente fa capolino.

    "Ma che diavolo...? Il telefono a quest'ora, chi pu&#242; essere?
    Sono io l'insonne, amico. Non cercare di fregarmi; la gloria sar&#224; tutta mia quando il mondo mi scoprir&#224;, non la divider&#242; con te. E' una sfida? Per me quel telefono pu&#242; squillare in eterno; la citt&#224; dorme, io no. Tu sei la citt&#224;. Squilla, squilla...io non mi muovo.

    -Pronto?
    -Ciao Joshua.
    -Ciao Joshua? Telefona alle sei del mattino e quello che mi dice &#232; soltanto: "Ciao Joshua"? Mi sarei aspettato pi&#249; qualcosa del tipo "Scusa per l'ora, Joshua", "Disturbo, Joshua?". Chi &#232; lei?
    -Non ti ricordi di me, Joshua?
    -Dalla voce sembri una donna, mi permetterai di darti dal tu visto che non ti sei fatta scrupoli a farlo per prima, non frequento donne da mesi, forse non ne ho mai frequentate. In ogni caso non mi sembra il momento n&#232; l'ora per fare indovinelli.
    -Che ti succede? Non hai voglia di rivedermi?
    -La conversazione &#232; durata abbastanza, signora. Non credo di conoscerla...di conoscerti e penso di non avere voglia di iniziare a conoscerti adesso.
    -Siamo simili io e te, Joshua.
    -Ah s&#236;? Anche lei &#232; sola come un cane e non pu&#242; godere neanche del breve piacere di una temporanea morte notturna? Anche lei vive in uno stato di dormiveglia perenne, senza mai poter dormire, senza mai poter restare del tutto sveglia? Se &#232; cos&#236; mi dispiace per lei, mi fa pena almeno quanto me ne faccia io stesso. Adesso la saluto, devo iniziare a prepararmi per andare a lavorare.
    -Perch&#232; non ti prendi una giornata di riposo, Joshua? Vieni a trovarmi, passiamo qualche ora insieme, come ai vecchi tempi.
    -Vecchi tempi...mi chiedo di cosa diavolo tu stia parlando. Hai anche un nome?
    -S&#236;, mi chiamo Hope.
    -E' stato un piacere, Hope. Arrived...
    -Aspetta! Senti, facciamo cos&#236;: Io ti do il mio indirizzo ed il mio numero di telefono. Se ti va vieni a trovarmi, oppure chiamami.
    -Oggi non &#232; possibile, sono occupatissimo e...
    -Poco fa mi hai detto che hai problemi ad addormentarti, come mai? Troppi pensieri che ti affliggono?
    -No. Troppo pochi.
    -Non ti piace parlare con me, Joshua?

    L'orologio segnava le sette del mattino, la telefonata era durata pi&#249; del necessario. Pi&#249; di un'ora a parlare di cosa? Di niente. Pi&#249; di un'ora a parlare con chi? Con nessuno.

    A Joshua tornarono in mente le parole del suo amico Trevor. Forse era lei la "voce" della quale gli aveva parlato, forse era quella persona il motivo della sua insonnia. Se si fosse addormentato la sera prima, probabilmente non sarebbe riuscito a sentire il telefono squillare.
    Joshua allontan&#242; questi pensieri, indoss&#242; una camicia porpora, spiegazzata, fatta di una specie di velluto rasato a basso costo, poi una giacca verde di cotone; si infil&#242; infine i jeans larghi e deformati e le scarpe nere lucide che usava per andare in ufficio ed usc&#236; di casa.
    Venti minuti per raggiungere l'ufficio, doveva sbrigarsi. Mentra camminava, Joshua mise una mano nella tasca posteriore dei jeans, estrasse il biglietto sul quale aveva scritto il numero di telefono e l'indirizzo di Hope; lo osserv&#242; a lungo, leggendo ripetutamente e con un filo di voce
    ci&#242; che aveva scritto.
    Non capiva esattamente il motivo, ma quella telefonata aveva in qualche modo oltrepassato l'ideale cancello che lo divideva dal resto dell'umanit&#224;, aveva raggiunto la dimensione pi&#249; intima del suo io, spezzando il suo stato di coma vigile notturno. Era l'unica persona, a parte Trevor, che da tanto tempo aveva deciso di mettersi in contatto con lui, forse era solo questo il motivo della sua curiosit&#224;.

    La voce di Hope, incerta come quella di una persona anziana con gravi problemi di salute, durante la telefonata si era progressivamente trasformata in una voce dolce, giovanile, man mano che passava il tempo. Probabilmente si era trattato di un'impostura dovuta allo stato di Joshua.
    Un uomo che non dorme da cos&#236; tanto tempo ha una percezione alterata della realt&#224; che lo circonda; questo era ci&#242; che Joshua aveva letto in qualche libro riguardante i disturbi del sonno; ma la domanda che gli ronzava in testa era: "La percezione era alterata nella prima parte della telefonata? Oppure nella seconda? Oppure tutta la telefonata era stata un sogno ad occhi aperti, un inganno della sua mente?
    Quello che era certo, era che quella donna lo aveva in qualche modo svegliato. Nonostante il suo problema fosse quello di addormentarsi, Hope aveva acceso la sua curiosit&#224; come non gli capitava da tempo.

    Joshua si stava avvicinando con passo veloce al sottopassaggio tubolare che coordinava il traffico pedonale dal centro della citt&#224; alla prima zona periferica; alz&#242; per un attimo gli occhi al cielo. Era una splendida giornata di sole, come non se ne vedevano da anni. Strinse le palpebre, cercando di abituarsi alla forte luce solare che invest&#236; le sue iridi affaticate, poi si asciug&#242; con il dorso della mano le lacrime che gli avevano riempito gli occhi a causa della luce.
    Imbocc&#242; il sottopassaggio con una sicurezza nel passo che non era tipica della sua andatura; inizi&#242; ad osservare il flusso di persone, formato in gran parte da uomini d'affari giapponesi stretti nei loro abiti grigi; a Joshua sembravano tutti uguali. Le ventiquattrore connesse ai loro polsi da piccole catene costruite in leghe indistruttibili, facevano capire quali fossero le persone pi&#249; importanti, o forse quelle maggiormente paranoiche; la citt&#224; aveva il tasso pi&#249; basso di furti dell'intero paese.
    Sembrava che le persone si muovessero tutte insieme, formando un grande sciame dai movimenti perfettamente coordinati; dopo qualche passo Joshua si accorse che lo sciame si muoveva in direzione opposta alla sua. Lui era l'unico elemento disarmonico in un sistema perfetto; per un attimo pens&#242; di voltarsi, di invertire il suo senso di marcia, pur di non rovinare quello spettacolo di arte urbana che si ripeteva ogni mattina, effimero e perfetto nell'unicit&#224; della combinazione delle forme.

    -No, non &#232; che non mi piace. E' solo che mi sembra tutto cos&#236; strano.
    -Strano? Perch&#232;? Stiamo chiacchierando, come due vecchi amici che si incontrano di nuovo dopo tanto tempo.
    -Gi&#224;, ma noi non siamo vecchi amici.
    -Su, Joshua, vuoi davvero rovinare tutto? Raccontami di te, cosa hai fatto in tutti questi anni? Ti sei sposato, hai figli?
    -No, veramente no. Vivo solo, lavoro come impiegato e...penso che la cosa che mi riesce meglio sia respirare.
    -Respirare? Ah ah ah, vedi che stai recuperando un po' di ironia? Lo sapevo che il vecchio Joshua doveva essersi nascosto da qualche parte!
    -Non ci trovo niente di divertente e non voleva essere ironia. E' la verit&#224;.

    Joshua usc&#236; dall'ufficio un paio d'ore dopo rispetto al solito. Non gli era mai successo, negli ultimi tre anni, di doversi trattenere oltre l'orario di lavoro. Troppi pensieri si affollavano nella sua testa, per permettergli di svolgere il lavoro nel tempo prestabilito. Uno solo a dire il vero, ma era uno pi&#249; del solito.
    Fece qualche passo, dirigendosi per la seconda volta, come tutti gli altri giorni del resto, verso il sottopassaggio tubolare. Estrasse dalla tasca posteriore dei pantaloni un portasigarette di metallo cromato e fece scattare la molla che lo teneva chiuso; era rimasta l'ultima sigaretta.
    Gli piaceva girarsele da solo, le sigarette. Amava l'odore del tabacco mentre veniva fatto respirare prima di essere avvolto nella cartina e amava altrettanto la scia profumata che si imprimeva sulle dita, dopo aver fumato la sua sigaretta, sempre senza filtro.
    Prese lo zippo dal portasigarette, poi la cicca, portandola lentamente alle labbra. Fece due lunghe boccate e il fumo azzurro gli copr&#236; il volto per met&#224;, mentre lo faceva uscire dagli angoli della bocca e dalle narici.

    Era quasi arrivato a casa; prima oltrepassare il portone del palazzo mise distrattamente una mano nella tasca dei jeans, quasi a voler controllare che fosse tutto al suo posto; aveva perso il foglietto con l'indirizzo di Hope. Probabilmente era successo quando aveva estratto il portasigarette nei pressi del sottopassaggio.
    Quasi un riflesso involontario: Joshua inizi&#242; a correre a perdifiato, tornando indietro sui suoi passi. Un senso di angoscia lo assal&#236;, quando si rese conto che non l'avrebbe mai incontrata.

    Non si ricordava di aver conosciuto nessuna Hope in passato, ma ormai il gioco della donna gli stava quasi iniziando a far credere che avesse avuto un contatto con lei, forse da bambino, forse in una vita precedente, oppure in una delle tante diramazioni della propria vita che per puro caso, per necessit&#224; o per sfortuna, non ti capita di imboccare.

    Il sudore inizi&#242; a colargli sugli occhi ed il respiro a rompersi in maniera irregolare; Joshua stava incominciando ad accusare forti doloro al petto ed alla milza mentre ripercorreva il viale.
    I rumori del traffico urbano e l'odore dell'asfalto appena steso sulla strada adiacente, si intersecavano con il respiro affanoso dell'uomo. Le gambe iniziarono a fargli male dopo poche centinaia di metri; il suo corpo, nonostante i trentatre anni compiuti da poco, non era abituato ad uno sforzo del genere. L'ultima volta che aveva corso per andare da qualche parte era stata...forse da bambino, ma non ricordava neanche quando ed in quale occasione.

    -Dai, forza! Non ti buttare gi&#249; cos&#236;. Il vittimismo non mi &#232; mai piaciuto, dovresti saperlo.
    -Io non lo so. Non capisco a quale gioco tu stia giocando.
    -Nessun gioco Joshua, ho soltanto voglia di rivederti.
    -Forse riesco a liberarmi per l'ora di cena, gli impegni si possono rimandare, almeno credo.
    -Che bello! Non vedo l'ora che tu venga. Ci vediamo alle otto, allora.
    -Ok...a dopo.
    -Un bacio, ti aspetto allora!

    Il tramonto.
    Galleggiare in una vasca di liquido amniotico senza saper nuotare.

    Joshua raggiunse l'entrata del sottopassaggio, dove pensava di aver perso il foglietto, in un bagno di sudore.
    La giacca sottobraccio e la camicia sbottonata per met&#224;. Inizi&#242; a scrutare il pavimento ricoperto di mozziconi di sigaretta, di polvere e spazzatura di vario genere trasportata dai tanti passanti; del foglietto sembrava non esserci nessuna traccia. Si pieg&#242; sulle ginocchia, sotto lo sguardo attonito della gente che sgranava gli occhi osservandolo.
    Un leggero colpetto sulla spalla.

    -Cerca questo?
    -S&#236;, ma lei come fa a...grazie.

    Un signore orientale, con capelli bianchi ed un sorriso troppo accentuato, gli porse il biglietto. A Joshua parve piuttosto strano che i vecchio sapesse cosa lui stesse cercando; non era il momento di farsi domande, pens&#242;. Era il momento di correre all'indirizzo segnato, ancora perfettamente leggibile, a differenza del numero di telefono sul quale si era formata una chiazza di unto, proveniente da chiss&#224; quale cibo-spazzatura, gettato a terra da qualche cliente abituale di una qualche fetida rosticceria cinese.
    Il palazzo che corrispondeva all'indirizzo era bianco, sembrava essere molto antico, costruito in modo solido; architettonicamente gli sembr&#242; l'edificio pi&#249; bello che avesse mai visto.
    Le serrande verdi smeraldo erano perfettamente intonate al colore della sua giacca, una buffa coincidenza.

    Joshua si avvicin&#242; lentamente al quadro dei campanelli, scorrendo con lo sguardo i nomi.

    -Lustenhoff, &#232; lei.

    Fece qualche passo indietro, cercando un'automobile parcheggiata per potersi sistemare guardandosi negli specchietti retrovisori. L'incontro al quale si accingeva meritava una preparazione adeguata.

    Osserv&#242; la sua immagine riflessa; i capelli lunghi erano appiccicati alla fronte a causa del sudore, la camicia, ancora semiaperta, era umida. Gli occhi infossati nelle orbite per la carenza di sonno, le labbra spaccate in pi&#249; punti.
    Si avvicin&#242; ancora al quadro dei campanelli, salendo i tre gradini in marmo di fronte a lui. Un senso di tristezza lo assal&#236;, mentre pensava al suo aspetto, alla sua inadeguatezza e all'assurdit&#224; della situazione.

    -Io non ce la faccio...ho paura.

    Joshua si pieg&#242;, sedendosi sull'ultimo gradino in alto, poi mise le mani sulle ginocchia, distendendosi raccolto in posizione fetale.
    Chiuse gli occhi...e dopo qualche secondo di addorment&#242;.




    Ultima modifica di Ren; 8-09-2007 alle 04:19:20

  13. #28
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    @Ren: "palsandosi" e "giaccia"

    devono esserti sfuggiti

  14. #29
    Ren
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    Citazione Imago Storm
    @Ren: "palsandosi" e "giaccia"

    devono esserti sfuggiti
    Grazie mille, non riesco ad individuare il secondo errore, a che punto del racconto &#232;?

    Trovato, grazie per le segnalazioni ^_^
    Spero di non aver fatto troppi errori di questo tipo.
    Ultima modifica di Ren; 7-09-2007 alle 19:12:46

  15. #30
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    Citazione Ren
    Grazie mille, non riesco ad individuare il secondo errore, a che punto del racconto è?

    Trovato, grazie per le segnalazioni ^_^
    Spero di non aver fatto troppi errori di questo tipo.
    bhe, alla fine non son di sicuro quelli che minano un racconto

    ad ogni modo toglimi una curiosità: Joshua è pensato, immagino di sì... mi chiedevo il significato

    (stò cercando di tenermi in pari con le letture, non so se parteciperò, ma almeno vedrò di votare i racconti )

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