Contest letterario #4 - Etica - Pag 4
  • In diretta da GamesVillage.it
    • News
    • -
    • In Evidenza
    • -
    • Recensioni
    • -
    • RetroGaming
    • -
    • Anteprime
    • -
    • Video
    • -
    • Cinema

Pag 4 di 4 PrimoPrimo 1234
Visualizzazione risultati da 46 a 53 di 53

Discussione: Contest letterario #4 - Etica

Cambio titolo
  1. #46
    Utente Didier L'avatar di WolfandKing
    Registrato il
    02-07
    Località
    A casa
    Messaggi
    7.718
    Io dico solo che di tempo ce ne è stato a sufficienza, e prolungare ancora mi sembra un'idea ingiusta. Poi, vabbè, ognuno rimane della sua idea. Rimango contrario.
    Occhio per occhio, ed il mondo diventa cieco.

  2. #47
    dreadful imbroglio L'avatar di the doctor
    Registrato il
    06-03
    Località
    l'isola non trovata
    Messaggi
    2.854
    Citazione Mvesim
    Ti obbietto soltanto che la data è una cosa solamente indicativa e che lo scopo di questo contest è, più che altro, incentivare gli utenti a scrivere e a rapportarsi con altri scritti (col gusto della critica degli altri utenti).
    Prolungarlo tre volte, quindi, per permettere agli altri di poter scrivere ancora non mi pare per niente una buffonata ma garantisce una maggiore sfida e la possibilità di poter leggere un maggiore numero di racconti.

    Se la paura, invece, è che il prossimo contest si ritardi a causa di questo ulteriore proroga voglio mettere il cuore in pace promettendo che il "contest lettarario #5" verrà aperto l'1 settembre (salvo inconveniente) anche se saranno ancora in corso le votazioni.

    ma soprattutto dobbiamo considerare che di contest possiamo farne quanti vogliamo, è proprio l'assenza di premi, di riconoscimenti, di targhe da consegnare che ci permette di poter scrivere con calma, con pazienza e con il giusto impegno, quindi di poter anche posticipare la data di scadenza: se posticipandolo cento volte potessero uscire cento racconti stupendi, considerando soprattutto il tema "imponente" alla base del contest, cento volte chiederei, supplicherei di posticipare la scadenza, anche se non fosse mai per necessità mie. io ho già usufruito delle due modifiche alla data, se l'utente che ne neessita crede possa essere utile, ben venga, che sia posticipata e che tutti gli altri magari riprendano in mano la penna e ricomincino a scrivere, perchè un tema così complesso merita, secondo me, un grande approfondimento e, magari, scrivendo più racconti si può arrivare meglio a capire, addirittura, cosa sia davvero questa etica di cui scriviamo. io, personalmente, un'idea per qualcosa di altro ce l'avrei, magari potrei provare, ma non assicuro niente, a buttare giù qualcosa, in caso lo posto nell'altro thread. la mia l'ho detta.
    nel sangue si è fratelli nella nascita, nel chiaretto si è fratelli anche nella morte

  3. #48
    Mvesim
    Ospite
    Allungherò il contest di altri 5 giorni.
    Il contest chiuderà sabato 25 agosto.


  4. #49
    Utente
    Registrato il
    10-05
    Messaggi
    1.883
    Citazione Mvesim
    Stasera li leggerò con calma con questa breve parafrasi, per cui ti ringrazio tantissimo, e ti faccio sapere; ma conoscendoti non dovrebbero esserci ulteriori problemi per la comprensione del racconto.

    Ho aggiornato il primo post, dimmi se ti va bene come ho inserito il tuo racconto (con paragrafi annessi).

    Perfetto

    i resta un unico dubbio: quando avrai un po' di tempo puoi spiegarmi come avevi interpretato Asterione ? può empre ritornar utile, così capisco che punti possono creare più confusione o se non sia valida anche la tua chiave di lettura

  5. #50
    Il ciclone che ciclo divenne

    Prologo

    Vento, che hai fatto girare la vita su se stessa, puoi sentirmi?
    Mi ascolti se ti dico che alla fine del turbine, s'è sentito il suolo, e poi piu nulla?

    Confessione di due teneri, indisciplinati amanti

    Questa è la storia della guardia, di quello che controlla le cose, che dura da sette decadi, governa col guardo l'arena, e tocca alcune bambine, ed il perchè, nemmeno lui lo sa...
    Questa è la storia di quando lo abbiamo incontrato, ed abbiamo scavato il suo cranio per paura...

    Fugace manualetto sull'arte del non ferirsi mai

    Ogni volta che ti comporti come me, divento inquieto. Poichè io stesso non mi comporto più come me. Adesso io sto facendo quel gioco in cui o ti diverti o perdi, poichè la vittoria non è inclusa nella confezione. Sto facendo, tanto per intenderci, il gioco dell'amore. Tu lo hai gia fatto prima di adesso, ma io non avevo tempo, stavo studiando. Prima la laurea in dolore, e poi tutto il resto. Ed ora sto giocando. E per ogni volta che mi scuoti, mi accorgo del valore del terrore...e non ho piu paura di scuoterti...
    Non te ne rendi nemmeno conto vero? Non si intuiscono certe cose, sono palesi. Quando stai per perdere, lo vedi. Ed è questo il motivo della sconfitta, l'averla vista. Non ci si può tirare indietro, non ci si ritira, si rimane assieme fino alla fine. Se tutto iniziasse a crollare attorno, pochi avrebbero il coraggio di fuggire, sono tutti laureati in dolore, quando si fa questo gioco.

    Intermezzo, ovvero, come la violenza ti fa il lifting al viso.


    Questo è per dire che non ce ne vergognamo affatto. Non temiamo di uccidere per difenderci, questo sia ben chiaro...

    La corsa, le conseguenze e la dichiarazione di un amore concluso.


    Te lo ricordi di quando tutto si è sgretolato, ci pensi a come ne siamo usciti? Lo senti ancora il sudore sui polpastrelli? La polvere tutta attorno, e le scaglie che cambiavano le nostre traiettoie? Ti ricordi della cosa più forte che siamo riusciti a fare? Lo ricordi il momento quando ci siamo staccati...mai lo scorderò

    Il cane abbaiava, a dieci piani dal suolo, l'uomo passeggiava, avanzava verso l'animale, e più che diveniva perpendicolare, più il suono era forte. Assordante prima del tonfo. Ora l'animale giaceva, circondato dal suo stesso sangue, ad un metro dall'uomo. S'era tuffato a farlo suo. E cosi fu. L'uomo rimase immobile tra pensieri e colpe immaginate per il resto del tempo.

    Mai scorderò il momento dopo, quando ho potuto riabbracciarti, quando la busta gialla, su per il vento, ritoccò il grigio della strada, che sempre era stato suo, e mai l'abbandonerà...

    Epilogo


    Il sangue dell'uno metteva a tacere tensioni, lo scorrere dell'altra avrebbe assicurato a quello rimasto la serenità necessaria a continuare, l'altra, difficilmente, anche in futuro avrebbe potuto scordare l'accaduto.

  6. #51
    Ontologicamente polare L'avatar di Spug_Na
    Registrato il
    07-07
    Località
    :àtilacoL
    Messaggi
    1.193
    Scusate ragazzi, ho terminato! Però devo ancora rileggerlo, quindi posterò probabilmente pochi minuti dopo le nove. Non siate fiscali con l'orario, quindi!

  7. #52
    Ontologicamente polare L'avatar di Spug_Na
    Registrato il
    07-07
    Località
    :àtilacoL
    Messaggi
    1.193
    Titolo: LETTO DI SPINE
    Premessa: l'ho scritto in circa tre ore e purtroppo l'ho riletto una sola volta. Non per pigrizia, ma perché sono stato molto impegnato questi ultimi tempi. Penso che se lo rileggessi domani troverei delle rifiniture da fare, e mi riservo di farle se è permesso. Questa sera sarebbe inutile rileggerlo perché non ho la mente fresca e comunque ho altri impegni Comunque lo ritengo un buon lavoro, ed ESIGO che piovano critiche perché è sostanzialmente questo che dovrebbe interessarci. Domani vedrò di leggermi per bene i vostri racconti che ho perso per strada e di commentarli.
    Grazie a tutti anticipatamente per la lettura, spero che il racconto sia di vostro gradimento.


    L'orario delle visite è terminato da almeno venti minuti”, affermò l'infermiera con tono autoritario e un po' stizzito.
    Lance voleva prendere quelle parole come una scusa per alzare i tacchi ed andarsene, per evitare quella mezz'ora di soffocamento e grigiore che ormai gli dava appuntamento fisso ogni sabato pomeriggio, attorno alle cinque, da mesi e mesi, come uno sgradevole incontro di lavoro, un obbligo a cui ci si sottrarrebbe volentieri.
    Stava per pianificare un'espressione di simulato dispiacere, da condire magari con un'esclamazione anche un po' colorita, per poi ruotare il corpo di novanta gradi e procedere a passo spedito in direzione delle grandi porte automatiche in vetro dell'edificio, attraverso cui Lance vedeva la luce del sole, impotente, nel disperato tentativo di dare colore ad un luogo troppo cupo anche per quegli stessi raggi che sanno squarciare il più cinereo dei cieli dopo una tempesta, creando meravigliosi arcobaleni fra le nuvole lattiginose e giocondi riflessi sull'erba bagnata.
    Che piovesse o che fosse bel tempo, che fosse pieno giorno o mezzanotte, sopra la casa di riposo Villa Serena era come se si stagliasse sempre lo stesso scenario tramontano, quel fosco cielo incredibilmente e paradossalmente terso, in cui non brilla più il sole, e non riluce ancora la luna; quella ingiallita pagina di firmamento a cui nemmeno le più spavalde fra le stelle hanno il coraggio di affacciarsi; quell'abbraccio che accoglie e un po' soffoca dolcemente chi ha il mesto privilegio di poterlo contemplare.
    Se Lance non se ne andò, non furono di certo i rimorsi i responsabili: lui, uomo della vergogna nella società della colpa, temeva assai di più l'opinione che i suoi parenti si sarebbero fatta di lui se fossero venuti a sapere che, per pura viltà, disertava il dovere di quell'incontro.
    Con risoluzione pressoché nulla, chiese all'infermiera che un solo istante prima, impermalita, gli aveva risposto in maniera negativa, se solo per quella volta avrebbe potuto fare un'eccezione. Il suo viso mise automaticamente in atto lo “stratagemma del sorrisetto tenero”, senza che Lance ne avesse coscienza o volontà o voglia. Parve funzionare, perché l'infermiera ricambiò e il suo tono di voce sembrò subito meno ruvido:
    Per questa volta, solo per questa volta, puoi andare. Non più di cinque minuti, però”.
    Grazie a Dio.
    Non più di cinque minuti, grazie a Dio.
    Lance si fece coraggio: quello che gli si prospettava come un crudele supplizio si era tramutato magicamente, all'imposizione dell'infermiera, in una sorta di puntura, un dolorino passeggero da affrontare tutto d'un fiato, in apnea, per poi tornare presto in superficie a respirare.
    La donna uscì dal bancone della reception, intimò a Lance di seguirla con un cenno del capo, e si diresse spedita in direzione dell'ascensore, in fondo al corridoio.
    Passo dopo passo, Lance si avviava al macello. Ne sarebbe uscito un po' meno integro.
    Passando, fu incapace di non dare una fugace occhiata all'interno della prima porta aperta fra quelle disposte a fisarmonica lungo le pareti del corridoio. Scorse un vecchio, a letto, sdraiato su un fianco, con il viso rivolto alla porta. Dietro, un infermiera stava probabilmente eseguendo un'iniezione.
    Il vecchio aveva il viso smunto, le guance scavate e segnate dalle macchie di melanina tipiche della vecchiaia; le rughe come solchi gli disonoravano i lineamenti; gli occhi inficcati nelle orbite brillavano di un'opaco colore brunastro. E lo sguardo...
    Quello sguardo.
    Lance incontrò quegli occhi. Fu un attimo, e fortemente infastidito volse gli occhi al pavimento, con l'intenzione di non dare inizio anzitempo al suo supplizio. Fino a quando non raggiunse l'ascensore, guardò il pavimento; ed ebbe modo di notare quanto le stesse piastrelle verdastre che lo ricoprivano fossero impregnate dell'aura malaticcia e fatiscente di quel posto.
    Raggiunse l'ascensore e vi salì. Le porte scorrevoli si chiusero dietro di lui e dell'infermiera.
    Solo in quel momento ebbe modo di constatare le pingui fattezze della corpulenta donna, che stava silenziosa occupando in larghezza una buona metà dello stretto cubicolo in cui i due si ritrovavano. Lance, in compenso, ne occupava i tre quarti in altezza.
    Mentre nel display posto sopra la pulsantiera di controllo dell'ascensore scorrevano i numeri dei piani che il macchinario stava attraversando, l'infermiera volle rompere l'imbarazzo delle circostanze squittendo una domanda a cui Lance non aveva voglia di rispondere.
    Vai a visitare la nonnina, eh?”
    Al ragazzo venne quasi l'istinto di spintonare la badiale figura che gli stava accanto contro la parete dell'ascensore; lo trattenne un residuo di buona educazione e il timore per le sorti dell'ascensore stesso.
    Sì” mormorò, sperando ingenuamente per un attimo che il tono che aveva usato suonasse, alle orecchie di una signorotta forse non tanto stupida quanto si potesse all'apparenza credere, come un invito implicito e fin troppo cortese a non proseguire con l'interrogatorio.
    Ovviamente si era illuso: la sua risposta fu accolta dall'infermiera come il principio di un'altra pausa di silenzio da colmare con chiacchiere inutili.
    Da dove vieni, ragazzo?”
    Lance odiava il silenzio di quel posto; ma era più desiderabile che venisse riempito dalla vocina stridula di una petulante infermiera senza cognizione alcuna dello stato d'animo di chi si trovava davanti? E dire che quello di Lance era piuttosto leggibile, in quel momento.
    Suonò il campanello dell'ascensore, e le porte scorrevoli si riaprivano davanti agli occhi di Lance. Per un attimo, parve scomparire la naturale sensazione di claustrofobia sviluppatasi all'interno della cabina; ma l'istante dopo Lance seppe di averla scambiata con altra claustrofobia, con l'eccezione che stavolta il margine di respiro fisico era decisamente più ampio.
    Glissò sulla domanda dell'infermiera e la congedò bruscamente:
    Grazie, penso di sapere la strada da qui in poi. Può pure andare, arrivederci”.
    La donna rimase chiaramente interdetta; per un attimo tenne la bocca spalancata e la mano come congelata sul pulsante dell'ascensore; poi, forse rammentando di avere altre e più importanti faccende da sbrigare, salutò il ragazzo. Le porte scorrevoli le si chiusero davanti; un altro tintinnio di campanello, e Lance capì che l'infermiera era nuovamente diretta al piano terra.
    Si guardò intorno per un momento; i corridoi degli ospedali si somigliano un po' tutti nel loro squallore. E lui ne aveva conosciuti veramente troppi.
    Tuttavia, con un improvviso ed inaspettato moto d'animo, s'incamminò verso il corridoio alla sua destra.
    Dopo pochi metri, riconobbe la porta che doveva attraversare. Fu un amaro ricongiungimento, quando toccò la maniglia, la piegò con cautela verso il basso e la spinse verso di sé facendo ruotare la leggerissima porticina di legno su perni evidentemente non oliati da lustri; il suono in cui si produssero fu un cigolio quasi caustico, uno stridore di metallo arruginito di cui Lance poteva quasi assaggiare l'acidulo sapore sulla punta della lingua.
    Entrò nella stanza.
    Era illuminata da un'unica finestra, una cornice di legno incrostato e sbiadito con una fragile lastra di vetro incastrata nel mezzo. La lastra vibrava in maniera preoccupante ad ogni folata di vento, e forse faceva anche entrare degli spifferi di aria fredda.
    L'ambiente puzzava di un acre odore di vecchio frammisto a quello nauseabondo di asettico, tipico degli ospedali.
    Faceva caldo, ma quello era un calore umidiccio, febbrile, malsano, chiuso.
    Pochi elementi tentavano invano di colmare l'insulsaggine di quella stanza: un comodino verdastro come le piastrelle sul pavimento; sopra di esso, una busta di plastica trasparente con una serie indistinta di medicinali in capsule, pillole, pasticche, sciroppi, fiale e fialette, bende, bendaggi e cerotti, siringhe, pomate, creme ed unguenti; un attaccapanni metallico rigorosamente scevro d'abiti, dietro la porta; un termosifone di un indistinguibile colore con delle grosse croste rossastre di sporco e ruggine; e infine un letto, un letto di ferro fissato a terra con dei chiodi e dei supporti di legno; un letto ad una piazza, più alto della norma; un letto con ringhiere ai bordi così alte che lo facevano sembrare quasi un box per bambini; un letto con affianco un porta flebo, su cui era incastonata una bottiglietta di vetro con un'etichetta blu piena di scritte a caratteri minuscoli; un letto il cui materasso era leggermente piegato all'insù, dalla parte dei guanciali, grazie ad un meccanismo posto sopra la rete di molle che, collegato ad un grosso telecomando, permetteva al degente di regolare la posizione della schiena.
    Conficcata nel profondo del materasso stava inerme una vecchia.
    La vecchia aveva una piccola testa con pochi capelli canuti, un viso macilento e scavato dalle intemperie della vita, la carnagione grigiastra. Un corpo esile e volubile stava disteso sul letto: delle braccia magrissime e scheletriche e atrofizzate si allungavano ai suoi fianchi, e il braccio sinistro si estendeva quasi naturalmente, a partire dalla piega del gomito, in una cannula trasparente attraverso cui fluiva lentamente il liquido della flebo. Un camice bianco candido e delle lenzuola spiegazzate coprivano quello che più che un corpo appariva come un diafano ectoplasma. Dal fondo delle coperte, emergevano due piccoli piedi nudi, mingherlini, insignificanti ed esangui, pallidi, quasi cadaverici. Il loro colorito brunastro e le macchie di vecchiaia che li ricoprivano li rendevano più simili ad un elemento vegetale, un tronco, un pezzo di una pianta, un tubero che spunta dalla terra.
    Lance notò dello smalto rosaceo sulle unghie, perfettamente curate.
    Non si preoccupò, tuttavia, di un dettaglio come quello. Non si chiese quale delle infermiere potesse aver avuto la maligna idea o il morboso feticismo di mettersi a dipingere le unghie di una vecchia morente sul suo letto di spine. Non rifletté nemmeno un attimo sull'assurdità di tanta cura riposta nei confronti della parte più periferica di un perifericissimo relitto. Al momento, la sua mente era proiettata a cinque minuti dopo, all'obiettivo di uscirsene da lì, da quel covo di piccoli insignificanti marasmi accumulati e dimenticati dalla società. Andare via, e finalmente riprendere a respirare: non aspettava altro, non gli importava altro.
    Si avvicinò al letto; si fermò sul lato sinistro; con un flebile “Ciao” salutò piano il vuoto, poi attese.
    Passarono alcuni interminabili secondi.
    Poi, la vecchia girò lentamente il capo in direzione di Lance. I due sguardi si incontrarono.
    La fitta al cuore di Lance fu ben più forte di quella avuta un paio di piani più sotto; sentì al contempo dolore, disdegno, disgusto, rancore, astio, un bruciante senso di impotenza, vergogna, disagio, pudore; voglia di evadere e bisogno di dimenticare, di sovrascrivere.
    Abbassò gli occhi. Poi li distolse ancora e li puntò fuori dalla finestra, perché la visione del corpo della vecchia gli procurava sensazioni di poco dissimili da quelle appena marchiate a fuoco sulla sua mente.
    La vecchia non rispose: non parlò affatto; si limitò a guardare il ragazzo con occhi vacui e totale assenza. Nessuno avrebbe potuto affermare che la sua espressione era cambiata anche solo di una virgola da quando ancora non aveva notato Lance. Immutabile ed illeggibile come roccia, inconsistente ed anonima come liquame.
    Il silenzio perdurò; la parola, pensò Lance, poteva colmare l'aria satura di opacità e scacciare quel vacuo orrore che sembrava riuscire a permeare il petto del ragazzo, dal momento che respirare si stava facendo sempre più difficile là dentro.
    “Allora...Come va?” mormorò il ragazzo.
    Cominciò un insipido soliloquio in cui parlava del suo rendimento scolastico, della situazione in famiglia e di altre simili facezie, fingendo che ci fosse qualcuno o anche solo qualcosa, lì, che fosse capace di ascoltarlo e di capire cosa dicesse. Riempì il vuoto con ulteriore vacuità.
    Quando ebbe esaurito le idee e si rese conto di non avere più niente da dire, si voltò ancora verso la vecchia. Questa volta, notò, riusciva a sostenere lo sguardo.
    Nulla. Nessun segno di vita.
    Lance prese coscienza del fatto che aveva parlato quattro o cinque minuti da solo; si chiese che senso aveva la sua visita.
    Non andava più in cimitero ad “onorare” i parenti morti sin da quando era bambino: non vedeva il motivo per cui, in quel momento, doveva stare a fissare quella sottospecie di relitto. Solo perché ancora gli mancavano il cero funebre e un banale epitaffio di quelli riservati alle persone mediocri? Solo perché, lungo le sue vene, quel poco sangue malato rimasto, frammisto ai liquidi delle flebo, macinava gli ultimi rantoli?
    Una vampata di odio fece fremere le membra di Lance. Aveva finalmente realizzato che entrando in quel posto non faceva del bene a nessuno, ma soltanto del male a se stesso.
    Fu colto da una rabbia che gli scorreva attraverso i nervi e lo scuoteva ribaltandogli lo stomaco e confondendogli la mente:
    “Come sempre, i nostri incontri sono il massimo dell'interesse, nonnina. Perché non fai un favore al mondo e crepi? Perché non la smetti di torturarci? Perché non ci levi un grande peso dal groppone? Pensi sia piacevole, per me, per Cinzia e per papà, essere costretti a fare ogni settimana la veglia ad uno schifo di cadavere? Ci divertiamo a vederti lì su quel cazzo di letto mezza morta? Sì, ci divertiamo moltissimo; ancor di più quando ti guardiamo in quella merda di faccia e ci viene in mente com'eri dieci anni fa, quando ci insegnavi le filastrocche e ci facevi le torte, quando ci spingevi sull'altalena e giocavi a rincorrerci. Guardati, cazzo. Fatti portare un fottuto specchio da quella grassona di un'infermiera e guardati, Cristo. Sei viva? HAI IL CORAGGIO DI DIRE CHE SEI VIVA, IN QUELLE CONDIZIONI? Ah, giusto: non puoi nemmeno parlare. Non puoi mangiare. Non puoi nemmeno cagare da sola, il tuo culo è diventata cosa pubblica per tutti gli infermieri qua dentro a forza di cambiare i pannoloni. Stai lì, infossata in quella specie di bara...Te l'ho detto, sei morta! Ti mancano i fiori sul tavolino e una bella fotografia in bianco e nero di quando eri giovane. Di quando eri utile. Di quando ci piacevi. Di quando ti amavamo.
    Ora nessuno ti ama, nessuno può avere il coraggio di amare il fardello che sei diventata. Facci un favore, e crepa, Cristo”.
    Lance era paonazzo in viso; la fronte era madida di sudore, i pugni erano stretti in tasca. Sentiva la carotide pulsargli freneticamente, come volesse uscire dal corpo. In gola, aveva il tipico nodo di chi ha urlato troppo e ha perso infine la voce.
    Non seppe mai cosa lo trattenne dall'esternare il furore dei suoi pensieri, di urlarlo in faccia alla vecchia. Seppe solo che a quel punto aprì la bocca e sussurrò:
    “Come si è fatto tardi...E' proprio ora che vada. Ci vediamo la settimana prossima. Cinzia viene lunedì. Ciao...”
    Scorse un'ultima volta lo sguardo della vecchia: aveva le sopracciglia lievemente corrucciate. L'unico segno di vita che gli aveva forse visto fare in mesi di visite. Per un attimo, gli balenò alla mente la malsana idea che la vecchia gli avesse letto nel pensiero.
    Tornato però coi piedi per terra, si diresse in fretta alla porta ed uscì dalla stanza.
    In quel momento, da qualche parte, molto più lontano di quanto si potrebbe credere, una vecchia chiudeva gli occhi.
    Per l'ultima volta.
    Ultima modifica di Spug_Na; 25-08-2007 alle 21:12:45

  8. #53
    Mvesim
    Ospite
    Chiudo il contest letterario e vado ad aprire le votazioni (che saranno leggermente differenti dal solito).

    Next contest: Abbandono (sarà aperto, salvo impegni del sottoscritto, il primo settembre alle ore 21.00 circa)

Pag 4 di 4 PrimoPrimo 1234

Regole di Scrittura

  • Tu non puoi inviare nuove discussioni
  • Tu non puoi inviare risposte
  • Tu non puoi inviare allegati
  • Tu non puoi modificare i tuoi messaggi
  •