Grazie ^^Ornitorinco
Grazie ^^Ornitorinco
What can change the nature of a table shaped like a table?
quasi quasi partecipo anche io. manca solo l'ispirazione ma spero arrivi presto.
Buona ideaMvesim
Eh no, ma così non vale ora gli altri si sono spaventati e non postano piùFrank Drummer
Ottimo lavoro, belle le descrizioni del paesaggio.
Drummer, Andrea, grandissimo, davvero bello.
Omg, did I die?
parteciperò sicuramente, se avrò l'ispirazione
Complimenti a Frank
Sono in periodo esami, però ci tengo a scrivere qualcosa, lo scorso contest andò molto bene
se trovo tempo partecipo sicuramente
Ah, e ovvi complimenti ad andrea con cui ho una conversazione in sospeso
Non ci ho dedicato il tempo che avrei voluto. Ma perlomeno l'ho fatto, non mi sono permesso di dimenticarmene. Ci si accontenti, dunque, di questo pallido componimento di mezzanotte.
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Una notte, un amore.
Ripose il libro sullo scaffale, annoiato. La plastica in rilievo della copertina, in quel momento, si illuminò del riflesso di una fioca lampada da scrivania. La camera da letto, scricchiolante e umida, era soffocata da questo freddo bagliore.
Quel libro era fresco di negozio. Appena acquistato, ennesimo prodotto della penna fluviale di uno scrittore di professione. Scrittore. Di professione. Queste parole, sussurrate con gli occhi chiusi.
Torniamo a casa.
Decise di ritornare ai suoi primi amori, Melville e Cervantes. Lo scintillante dorso di Moby Dick occupava una nicchia a parte, accanto alle folli cavalcate del nobile cavaliere. L’orizzonte buio, il crepitare del vento, lo scricchiolio doloroso e secco delle braccia del gigante del medioevo.
Ma quale?
Era indeciso, come sempre. Li conosceva a menadito, la loro carta aveva da tempo perso la fragranza della stampa, eppure ogni volta era la stessa storia. La stessa storia. Nel dubbio, si affacciò alla finestra aperta, osservò i tetti delle case sotto di lui. Scintillavano sotto la luce della Luna tanto celebrata da sognatori di tutte le età, e nella sua ombra evocò occhi notturni, fuochi eterni e opali gocciolanti di sudori ialini.
Solo questo. Del resto del panorama, poco gli importava. Coglieva solo la poesia, rifuggiva il fumo dei comignoli come la gazzarra del lunedì notte, le corse le follie le illusioni del suo tempo… feticci da cui era stato incantato, in verità, per molto tempo. Che la felicità sia lì?, si chiedeva. Ma senza risposta, e senza il potere di divinarla in chissà quale altare. Fu una cotta passeggera, dal cui crudele abbraccio si era liberato come per insondabile istinto. A quel pensiero, la sua mente fu attraversata da una lontana suggestione, pensò ad una madre costretta a fuggire dalla gelida morsa del proprio figlio defunto. L’aria della notte era fredda, le ultime finestre si chiudevano per sempre.
Tornò sui suoi passi. Chiuse gli occhi, il suo indice sfiorò Don Chisciotte. Aprì una pagina a caso, fu lieto di rivivere le romantiche illusioni del suo eroe.
Quella dama…!
Improvvisamente distratto, tenuto da una morsa interiore, desiderò ardentemente una simile illusione, una passione ideale. Ma le sue passioni erano sempre state senza sbocco, fino a quel giorno. Le dame del suo tempo, le eroine della televisione, le meretrici adepte dell’aperitivo preserale erano aride fonti incapaci di dissetare, dalle cui languide bocche non uscivano che parole ovattate, fantasmi diafani mescolati a numeri e firme. Sabbia.
Appoggiò il volume alla finestra. Gettò di nuovo uno sguardo verso l’esterno, cercando di riesumare i propri sogni da adolescente. Poesie, ricordi, impressioni mai indagate, fiabe, manga, in un indiscriminato flusso. L’astro d’argento tremava, i fiumi della strada correvano sempre più veloce, l’Entrumpelung incalzava. In quella fiumana non riusciva a pescare altro che vertigine d’Infinito, volgeva gli occhi come se costretto a nascondersi dalla luce trapanante di mille soli. Confuso, la mente improvvisamente vuota, dolorante, sublimata nella consapevolezza del fallimento della vita, credette di aver lanciato un grido, un verso grottesco da belva torturata. Da chi, poi?
Tornò a letto, incapace di concentrarsi sui simboli della carta, ma non riuscì a farsi cogliere dalla consolazione di Morfeo. In quel momento la prospettiva di un palliativo lo fece imbestialire, si sentì offeso da sé stesso. Una lacerazione profonda, aperta. Di nuovo, aperta. Per l’ennesima volta.
Quante fughe! Non posso, ma… no, fuggire…
Le passioni di ogni giorno, le partite a calcio, il tempo passato davanti al televisore, le vuote passeggiate in città, le piccole fissazioni quotidiane capaci di sottrarlo dal dominio della coscienza i discorsi i sentieri i sudori il fuoco -
Odiò tutto questo.
Era quasi l’alba. Ancora poco, e sarebbe tornato il sole.
Si rialzò, stanco e dolorante, istupidito dalla frustrazione. Tornò sul davanzale e si costrinse a leggere un altro po’, solo un po’. Un quadro allucinato lo avvolgeva, dentro, fuori le mura. Si rivolse al libro. Lesse, nonostante un viscerale rifiuto alle prime amare pagine.
Dopo molte occasioni andate a vuoto, il buon cavaliere della Mancia riuscì a farlo sorridere. La sua goffaggine lo incantava, i suoi sogni lo deliziavano nonostante tutto. Viveva di sé stesso, viveva senza amore, senza gloria, senza specchi fedeli: la sua passione cavalleresca non era altro che un’ombra, il suo coraggio rivolto alle brume del mattino. Ma passione e coraggio erano veri, sinceri. Non poteva amare gli altri, non poteva affondare nelle dolcissime carezze di un’anima sua gemella, non poteva non rifiutare sé stesso. Alla fine della storia, si sa, il buon cavaliere abbandona questo mondo; come non ammirare la sua forza, come farsi ingannare dalla sua tragica maschera?
E perché Achab dà la caccia alla balena bianca? Per quale destino?
Non era certo per follia, o per consolazione. No, non questa volta. Non era certo una forma di riscatto nei confronti della vita. Era… questa volta per davvero, amore. Non per la propria storia, non per la propria miseria. Amore, per la debolezza. Come si ama un cane, un figlio nella culla, un sognatore che disegna draghi e paesaggi, un innocuo uomo che percorre di striscio, a piccoli passi, le strade della vita.
Le campane battevano le dieci, la madre bussò alla porta per invitare al tavolo della colazione.
Chiuse il libro, lo ripose, e inciampò. Rise.
Sto arrivando.
Anche questa, forse, una consolazione. Un insopprimibile istinto alla vita ed alla sua forma più violenta, più sensata, più ironicamente vera. Amore? Un’altra volta, un’ultima volta. Per favore...
Ultima modifica di Guo Jia; 14-04-2007 alle 02:10:19
"Quanti gioielli dormono sepolti nell'oblio e nelle tenebre, lontano dalle zappe e dalle sonde; quanti fiori effondono il profumo, dolce come un segreto, con rimpianto, nelle solitudini profonde." - Charles Baudelaire
"Bonaire preferisce concentrarsi sull'ondeggiare delle onde piuttosto che su quello delle mie tette." - The legend of Alundra
http://www.youtube.com/user/heita3 - ecco un genio.
Già due opere! Il contest sta proseguendo più che degnamente; ringrazio Guo Jia e Frank Drummer.
Io cercherò di postare il racconto in settimana... speriamo in bene! XD
E la prima vlta che mi cimento in opere romantiche!
LE COUP DE VENTE
Era notte, tarda notte e le dolci stelle illuminavano il suo viso, mentre la candida luna, tutta invidiosa, si stava nascondendo tra le flaccide nubi.
Mi chiesi cosa stavo facendo, ero tutto tremante d’amor, mano nella mano con la mia dama sulle rive della Senna, illuminata da lampioni ottocenteschi.
Vide la torre Eiffel, e si fermò; la guardammo per qualche minuto, era così alta...e così grande…non resistemmo…
“ Tu mi ami?”
Disse tra il secondo e il terzo bacio sfuggente ed io risposi_
“ Certo che ti amo, il nostro amore finirà, quando questa torre cadrà…”
Era tutto così romantico, ma, mentre ci baciavamo appassionatamente, La Senna, increspata dall’alta torre, sembrò che mi stesse consigliando qualcosa di follemente dolce, talmente dolce da far spuntare l’amore nell’odio più puro.
Io, pazzo com’ero in quel momento, accettai il suo prezioso consiglio, e facendo soave forza, ci buttammo dal galeotto.
Arrivammo sott’acqua e ci baciammo, formando un tutt’uno con i nostri corpi attorcigliati… mi ricordo ancora i suoi lunghi capelli…che odore, che sentimento…
Ci rialzammo dall’acqua , bagnati fracidi e tremanti dal freddo pungente, ci baciammo di nuovo e si stringemmo di nuovo per farci calore l’un l’altro.
Era il momento ideale, il momento perfetto, misi la mano nella tasca e prendendo un cofanetto di pelle quadrata, la mostrai alla mia dama; lei incuriosita (anche la luna divenne curiosa, infatti dalle nubi uscì per guardarci meglio) aprì aprendo la bocca per infinito stupore, mi abbracciò come non aveva mai fatto e mi disse sussurrando all’orecchio con sibilline parole
“ Si…e te lo ripeto…si”
Mi baciò in bocca senza che io avessi la possibilità di rispondergli.
Trasportati dalla Senna, arrivammo in una radura verdeggiante, attraccammo e ci spogliammo di tutto, rimanendo nudi e fragili come il nostro cor.
In mezzo ad alcune fragole e cespugli, distesi, l’uno sopra l’altro, si accarezzammo nei fianchi, mentre le nostre labbra si sfioravano delicatamente…sembrava un sogno, un incantevole sogno, dove ogni nostro desiderio romantico sembrava realizzarci….stavamo facendo l’amore nel giardino dell’Eden.
Finito, deliziati, mangiammo qualche fragola selvatica e rivestiti dai nostri ormai asciutti abiti, ritornammo nella città.
Là, passeggiando ancora sulle rive della Senna, vedemmo un locale chiamato “Le coup de vente” e si sedemmo in uno di quei tavolini stilosi.
Mentre una violinista stava suonando melodie incantate, comprai una rosa rossa da un ragazzino, e regalandola alla mia dama, ci ordinammo un cafè, sempre mano nella mano mentre intanto la luna stava scappando perché fra poco il grande sole verrà, risvegliandoci dal nostro appassionato sogno.
TREVOR
- Tu sei qui ma non ci sei. E' soltanto questa la differenza.
- Cosa intendi? Mi fai paura quando parli così.
- Scusa...sono questi attimi di lucidità a rendere tutto più difficile.
Trevor B. Kehl era rimasto seduto, la sua immagine era resa sfocata dalla penombra che avvolgeva la stanza. Un completo in lino, che doveva essere bianco un tempo, si era ingiallito e alcune delle cuciture erano saltate, mostrando brandelli di pelle pallida attraverso la stoffa rovinata. La barba di tre giorni iniziava a pizzicare, e Trevor non poteva fare a meno di grattarsi frequentemente mentre osservava Manila che continuava a parlargli, sorridente come sempre.
- Oggi sei bellissima...
- Solo oggi? Beh...se voleva essere un complimento non ti è riuscito molto bene.
Manila scoppiò a ridere e fece qualche passo in direzione di Trevor. Lo squadrò dalla testa ai piedi un paio di volte, poi mise una mano sulla spalla dell'uomo, facendola scorrere sulla camicia bianca.
- Hai un aspetto che fa veramente schifo Trevor, che ne pensi di cambiarti? Certo...anche una bella doccia non ti farebbe male. Che giorno è oggi? Giovedì?
- Non lo so.
Manila estrasse dalla tasca un'agenda, la copertina grigia era macchiata in più punti, come unta da qualche resto di un pranzo cinese, abbandonato prima di essere stato mangiato. Velocemente voltò la prima pagina, osservando scrupolosamente gli impegni che aveva segnato per la giornata.
- Sì, è giovedì. Quindi ti spetta questo, direi...
La ragazza si tolse lo zaino dalle spalle e lo appoggiò sul pavimento umido. Slacciò il cordino che lo teneva chiuso e tirò fuori un completo avvolto in un doppio strato di cellophane. Lo porse a Trevor che repentinamente lo afferrò, cercando di tirare fuori il vestito dalla busta nel minor tempo possibile. Strappò il cellophane ed estrasse il vestito, perfettamente identico a quello che portava addosso in quel momento. Forse meno usurato, sicuramente più pulito.
- Un altro vestito uguale a tutti gli altri...non hai mai avuto molta fantasia nel fare i regali eh?
- Già, non so mai cosa prenderti. Sembra che tu non abbia mai bisogno di niente. Te ne stai qui tutto il giorno, sembra quasi che tu sia contento così.
- Lo sono infatti, ho te. Quando tu sei qui con me io sono felice. La tua presenza è il miglior regalo che potrei mai ricevere.
- Smettila dai, lo sai che mi metti in imbarazzo quando fai così. Non siamo più al liceo Trevor, non mi devi più conquistare con le tue strategie....puoi chiudere il manuale del perfetto seduttore capitolo quattro. Ormai siamo sposati da dieci anni...
Trevor e Manila risero all'unisono. Entrambi tornarono per un attimo con la mente al momento nel quale si erano conosciuti, molti anni prima. La scuola, il lungo corteggiamento di Trevor, i rifiuti...così tanti, di Manila.
- Beh? Che fai? Non ti cambi? Presto dai, che il vestito che hai addosso serve a qualcun altro, su! Lo devo portare in lavanderia.
- Come scusa?
- Che ti prende? Ti vergogni ancora a cambiarti di fronte a me? Eppure ormai dovresti esserci abituato.
- No...non è questo, solo che...cosa significa che serve a qualcun altro?
- A qualcun altro? Non so a cosa ti riferisci, ma che hai? Hai bevuto amore?
- No...no. Scusa, forse ho capito male.
Trevor si sfilò la camicia senza sbottonarla. Il petto dell'uomo mostrava una muscolatura ben definita. Alcune cicatrici, sparse su tutto il tronco. Lentamente iniziò a far scendere i pantaloni verso i suoi piedi, senza alzarsi. Un imbarazzo ingiustificato lo assalì.
- Puoi girarti per favore?
- Non credo proprio, conosci le regole, su!
Trevor abbassò la testa, e si tolse i pantaloni. Afferrò rapidamente la busta di cellophane da terra, cercando goffamente di coprirsi con quella.
Grande confusione...le regole...
- Ma di quali dannate regole parla?
Trevor pensò tra sè e sè, mentre con movimenti meccanici e faticosi iniziò ad indossare i nuovi abiti, senza abbandonare l'angolo buio della stanza. Manila gli si avvicinò aiutandolo ad abbottonare la camicia; arrivata all'ultimo bottone, sfiorò la guancia di Trevor con la sua.
- Che buon profumo che hai.
- Non si può dire lo stesso di te, amore.
Manila rise, e avvicinò le labbra a quelle di lui. Trevor la baciò con passione stringendola a sè.
- Ti amo Manila...senza di te sarei....morto probabilmente, o forse impazzito.
- Che dici amore? Perchè oggi fai questi discorsi così strani? A cosa stai pensando?
- A niente...penso solo a tutto quello che stai facendo per me. Grazie.
- Stai facendo tutto tu, Trevor. Devi resistere, presto sarai di nuovo libero.
- Tu sei me in questo momento. Voglio dire...sei la libertà per la mia mente, io grazie a te me ne vado ogni giorno da qui.
- Quanto durano i giorni qua dentro Trevor?
- Quando sono vicino a te, durano meno di un secondo.
Trevor pensò alla prima volta che aveva visto Manila, lei aveva sedici anni, lui diciannove. Erano in palestra, le loro classi facevano educazione fisica durante la stessa ora.
Una ragazzina magra, bruna, con un cesto di capelli ricci spettinati. Passava la maggior parte del tempo a giocare a pallavolo con il muro della palestra.
Gli sembrava così dolce e speciale, mentre la osservava divertirsi con la sua solitudine. Il venerdì era diventato il suo giorno della settimana preferito...dopo tre mesi circa era riuscito a rivolgerle la parola.
L'anno dopo si erano sposati, il giorno del diciottesimo compleanno di Manila. Tra il loro primo incontro e il matrimonio, i ricordi erano confusi, dolorosi. Sembrava che un meccanismo di autodifesa nella mente di Trevor avesse voluto cancellare parte dei ricordi, o almeno nasconderla.
Flussi di memoria incoerenti, tavole incise in lingue intraducibili, moltiplicarsi di diramazioni senza la consapevolezza di quale fosse il sentiero effettivamente percorso.
Le certezze erano poche, ma Manila era sempre vicina a lui. Non riusciva a ricordare un solo momento, dei suoi ultimi dieci anni, senza di lei.
Mentre la guardava negli occhi, in silenzio, ripercorreva i momenti terribili della sua prigionia. Le accuse per le quali era stato incarcerato erano rinchiuse in qualche cassetto della sua mente, senza la possibilità di accedervi.
Erano lì; la sua coscienza sapeva che esisteva un valido motivo per il quale si trovava in quella cella, in quel momento....ma non era necessario farsi del male ogni volta, ripensando al suo errore.
Presto sarebbe uscito...presto. Ma quando? Il sapore delle labbra di Manila era ancora impresso sulle sue.
- Manila? Dove sei?
- Sono qui amore, non ti preoccupare, non scappo.
Trevor si guardò intorno, nel buio della cella non vedeva nessuno...ma la voce di Manila lo rassicurava. Un brivido di piacere gli attraversò la schiena, salendo lungo la spina dorsale, nel sentire le frequenze alte e morbide delle parole della moglie.
- Perchè improvvisamente sparisci? Il mio amore non è abbastanza per tenerti qui con me?
- Ti sbagli Trevor, è la tua mente che è forte abbastanza per farti capire...
- Sei dentro di me?
- Cosa Trevor?
- Sei solo nella mia testa...
- Amore?!? Ma cosa ti viene in mente? Io sono qui, sono qui con te.
- Tu sei qui, ma non ci sei. E' soltanto questa la differenza tra te e me.
- Cosa intendi? Mi fai paura quando parli così.
- Scusa, sono questi attimi di lucidità a rendere tutto più difficile.
Dal rapporto del reparto psichiatrico, carcere di Little Tokyo, dottor Meltan Zorinwski
01/06/2101
Detenuto n. 305264
Trevor B. Kehl
"Il detenuto 305264, che risponde al nome di Trevor B. Kehl, incarcerato il 01/06/2086, sembra non costituire più un pericolo per la società. La sua condotta all'interno della struttura, denota la volontà di intraprendere un percorso di reintegrazione. Propongo che i venticinque anni di pena che gli restano da scontare, vengano trascorsi nella clinica psichiatrica di St. Claire da me diretta.
Il soggetto, in isolamento da quindici anni, mostra un drastico calo dell'aggressività, e dal 03/07/2093 non si sono verificati episodi di violenza nei quali il signor Kehl si sia trovato coinvolto.
Nello stesso tempo però, il detenuto ha sviluppato una forma di schizofrenia che lo ha lentamente portato al completo distacco dalla realtà nella quale si trova. La sua incapacità di riconoscere il personale carcerario, unita alla presenza ossessiva, nei pensieri del detenuto, della moglie da lui uccisa quindici anni fa, rende fortemente consigliabile l'immediato trasferimento di Trevor B. Kehl dal reparto psichiatrico del carcere di Little Tokyo.
Nella clinica di St. Claire il detenuto inizierà una terapia, che sarà fondamentale per un eventuale futuro reinserimento nella società e nel mondo del lavoro.
La direzione della clinica si riserva il diritto di modificare la durata del soggiorno del signor Kehl, basandosi sui progressi e sui regressi che il paziente mostrerà sottoponendosi agli stimoli prodotti dalla terapia."
In fede,
Meltan Zorinwski
PROSPETTIVE D'ASSENZA
Prospettive d’assenza
- non amo dire che mi mancherai
- mi mancherà il tuo amore
- non mancherò mai d'amarti
Tre persone diverse.
Gli eventi traducono parafrasi di un concetto troppo complesso.
Similitudini giocano come paradossi alla vita di gente cosi poco cauta.
Eccole allora tutte le cose straordinarie...
Parte prima - La striscia bianca
La prima volta lo abbiamo fatto nel bagno di casa mia. I ricordi sono confusi.
Ricordo solo le bottiglie vuote. Ricordo l'estasi nel sentirti dentro.
Gli occhi spalancati.Orgasmo.
Non riuscivo a spiegarmi la tua fretta.
Io frenetico amante respiravo il tuo entusiasmo.
E ti lasciavo svanire tra i due orifizi.
Svenire dentro tutta quella inconscienza.
Che cosa volevi da me?
Quanto danaro ti devo ancora?
PUTTANA
come puoi farmi questo?
PUTTANA
smettila di consumarmi ogni speranza
PUTTANA
esci dalla mia mente
TROIA
scompari
PUTTANA
eri cosi bella.Anche quel giorno.Soprattutto quel giorno.
avevamo appena parlato. ed eravamo tutti sudati.
sudati di piacere. passarono circa dieci ore.
quando mi rifacciai alla finestra tu eri già sotto.
sopra l'ennesima speranza. a scalare un nuovo stupido illuso.
scesi di corsa,giù per i gradini, e mi fermai di fronte alla macchina.
lo gridai fortissimo.
IO TI AMO
il finestrino scivolo piano, con suoni striduli, dentro la stretta fessura.
.io.non.ti.conosco.
PUTTANA
Che cosa avevo fatto?
Eri veramente tu?
Eri stata cosi veloce a scordarmi?
Eppure t'assomigliava cosi tanto.
Tranne per il naso.
Quello era differente.
Sporco d'una striscia bianca.
Dopo quel giorno non seppi più nulla di te...
TORNA TROIA, NON AMO DIRLO, MA MI MANCHI
- non amo dire che mi mancherai
MI MANCHI
Parte seconda - I teneri amanti e il dramma dei fili trasparenti
-Stasera partirai, voglio che oggi sia il giorno più bello della nostra vita...
-Me lo prometti?
-Si.Te lo prometto.
Uscimmo di casa verso le dieci e un quarto, mano nella mano.
Visitammo tutti quei posti che avevano significato qualcosa.
Tutti legati tra loro da una sottile linea.Il nostro rapporto.
Te la ricordi la spiaggia.
Lo ricordi lui con la testa appoggiata sulle tue gambe.
E i nostri sguardi che valevano più di qualsiasi tocco.
Le ricordi le nostre labbra, viola per il vino, che si sfiorano.
La mia mano pesante sui quei fianchi presi alla sprovvista.
Era nato tutto quella sera, a stento ci avrei creduto.
E quando insieme arrivammo cosi distanti, te lo ricordi?
Cosa significava scappare da dove eravamo, con la scusa d'un amica da non lasciar sola?
Volevamo solo vedere cosa voleva dire "lontananza"
ed osservarci reciprocamente fuori da ogni banalità
da ogni contesto scontato
era stata una giornata fantastica
quando tornammo a casa tua, in macchina, tirai fuori la bustina trasparente
iniziai a baciarti
e tu a sniffare
a sniffare cosi forte da far scoppiare i capillari
e sporca di sangue ti venivo dentro
non capivo nulla
mi ricordo di qualcuno fuori dalla macchina
lui gridava qualcosa
e tu gli rispondevi a tono
lo mandavi via con poche parole
chissà poi cosa voleva da noi quel tizio
- mi mancherà il tuo amore
saprò vivere senza di te.Ti ho amata.Ti ho lasciato amare.
ora lasciami amare
Parte terza - Ode alla mia famiglia
Purtroppo devo partire
non chiedetemi perchè
e non cercate di persuadermi
devo partire
si chiamano circostanze
ma rimarrò qui con voi
sono sempre qui con voi
lo sono per ogni parola scritta
per ogni pallida pennellata
decoro di un opaca tela
Lasciò la lettera sul letto.
Usci di casa.
Suonò alla porta di fronte.
Un uomo apri'.
Scoppiarono a piangere.
Era cosi bella.
Fecero l'amore.
Piansero.
Poi uno squillo sordo decretò la fine di quell'incontro.
Lei raggiunse l'altro, che l'aspettava impaziente sul mezzo di trasporto.
Arrivò la sera.E lei chiese a l'altro di portarla per l'ultima volta li.
Sotto casa sua.
Sanguinava il suo naso.
La bocca recitava parole di dolore.
io.non.ti.conosco.
il suo amore di sempre era li
la guardava fare l'amore con l'altro
e lei guardava lui infrangersi
e lui si infrangeva
pezzi sempre più piccoli
bianche millimetriche scaglie
sempre più piccole
una striscia di polvere bianca.
era diventato una striscia di polvere bianca.
Rimarrà nell'aria fino al suo ritorno.
Cosi l'avrebbe aspettata.
Domani o per sempre, statene certi, rimarrà nell'aria.
Fino al suo ritorno
- non mancherò mai d'amarti
ecco cosa c'era scritto alla fine della lettera.
http://francescodipietro.wordpress.com/
http://fdp82.deviantart.com/
http://www.superpandaland.it/ Un platform indiependente
Io sono la gomma, tu la colla!
Molto bello, mi piace il ritmo sostenuto che hai dato al testo, la prima parte in particolare.
Quando ho letto la parola "orgasmo" per un attimo ho pensato ad altro , trovata geniale
Ho letto i racconti postati finora, complimenti a tutti, anche se ho già un mio preferito spero di poter abbozzare qualcosa stasera al ritorno dal lavoro, continuate così!
Frank vi owna tutti