Donna
Frattaglie putride, destini marci,
Perdite di sangue senza lavarsi;
Odore di figa e culi lerci;
Ansimare leggero alternarsi.
«Buono, buono», con il pene avanti
Parlo, capisco di esser infetto.
Divini i coglioni galoppanti,
Portan morte, amore e diletto.
Una goccia di merda nella marea:
Salmastra palude, peli e fango.
Rantolar contento, nero delirio,
Vomito, piedi, osceno ludibrio.
Ad ammirarti assorto rimango,
Nel folle circo della mia idea.
Oh mia dea,
sporca
ma donna!
Alessio G. Gobbi (Skop’s)
12/07/2009
Prima Revisione: 1/08/2009
Seconda Revisione: 05/12/2009
Grasso (o, più propriamente, Pasquale, felice come una Pasqua)
Pasquale era indubbiamente un brutto ragazzo, ma neppure tra i peggiori; l’aggravante, cioè ciò che lo rendeva ancor più brutto di quelli più brutti di lui era la sua obesità. Fin da ragazzino, si era abituato agli scherni dei suoi compagni, specialmente durante le ore di educazione fisica o al campetto. Tuttavia, non visse una dura infanzia, in quanto era sostanzialmente una buona e socievole persona e sapeva stare agli scherzi. I problemi iniziarono durante l’adolescenza; in questa età, Pasquale capì di essere davvero inferiore agli altri. Le risatine iniziavano ad essere molto più cattive, non veniva più invitato alle partite di calcetto, a scuola rimaneva relegato al suo banco, dove puntualmente la mattina trovava del formaggio o degli avanzi di pollo come scherno. Ma le cose peggiorarono ulteriormente quando lui e i suoi compagni iniziarono ad interessarsi delle ragazze. Gli amici di Pasquale si narravano delle prime uscite e delle prime avventure, vantandosi e pompando i racconti. Pasquale stava ad ascoltare nei primi tempi, ma poi iniziò a venire interrogato con sorriso beffardo dai compagni: arrossendo, batteva in ritirata. Nel giro di poco tempo, divenne lo zimbello della classe.
In terza superiore, durante un convegno sull’energia eolica, i compagni, dal dietro, iniziarono a tirargli palline di carta, urlandogli frasi come «Ciccione dimmerda», «Faccio prima a saltarti che a girarti intorno», «Pasquale banane», «Pasquale mangia le uova, MANGIAMERDA». Pasquale era quasi in lacrime; pensava: “Perché il mondo mi fa questo?”, “Sono proprio così schifoso, da meritarmi questa vita?” e frasi del genere. Il suo processo di umiliazione giunse a compimento ed iniziò a pensare di essere il peggiore, una merda, uno schifo d’uomo. Soffriva nella sua condizione, ingrassando sempre più; smise di lavarsi. Il suo ruolo sociale, era ormai quello di reietto, di rifiuto.
In quarta superiore, cercò di reagire a questo destino gramo, ma era troppo tardi. Durante l’utilissima ora di religione (utile naturalmente per sbeffeggiare Pasquale), i suoi compagni iniziarono a schernirlo, come loro solito, dicendo che puzzava, che si pisciava addosso, che passava le notti a mangiare tonno Rio Mare, macchiando il materasso di unto. Pasquale si sentì sempre più afflitto ed umiliato, ma questa volta notò scorrere in lui più rancore che frustrazione: si girò, guardando male il capetto di turno, di nome Mattia. Uno degli scagnozzi di Mattia urlò eccitato: «Si sta incazzando!»; questo voleva dire “continuiamo ad offenderlo sempre più, per vedere cosa combina (ah, le profonde dinamiche che regolano la società umana!). Pasquale si girò e proseguì a leggere la Bibbia, meditando sugli errori del Dio del Vecchio Testamento, quando un pezzo di scamorza gli finì nei capelli, lanciato da Antonio, uno smilzo coi capelli rossi e i denti gialli. Pasquale odiava che gli lanciassero cibo, anche perché poi gli veniva fame: ma soprattutto, odiava con tutto il cuore la scamorza. Si alzò quindi di scatto e sollevò la sedia verso Antonio, rimanendo così per un interminabile secondo, quale una statua greca, opera di uno scultore ubriaco, che non conosceva il canone di Policleto. Tutta la classe si zittì e suor Rosamunda, anziana settantenne quasi del tutto sorda e cieca, che ignorava tutti gli scherni che il ragazzo era solito subire, si mise le mani sulle guance, dicendo « MISERICORDIOLA, cosa ti prende!». Pasquale tentennò, pensando “Ma così mi metto al loro livello” e, sbollitosi, abbassò la sedia, tra le fragorose risate della classe: Pasquale ormai era bollato. Questo non gli evitò di prendere una nota e il suo voto in condotta da 9 passò a 7, tanto più che sua madre, che teneva molto alla scuola, gli sottrasse i barattoli di Nutella™ dalla sua camera. Questo fatto (cioè l’umiliazione scolastica, ma anche la Nutella™ nascosta) influirono pesantemente sul suo comportamento ed iniziò ad isolarsi da tutti, passando le domeniche a giocare in rete senza neppure più andare a messa. Iniziò ad ascoltare musica tremenda (cioè i Beatles e i Queen, che fanno proprio schifo), trascurandosi ancor più. Non guardava più in faccia la gente, pensando che chiunque avesse il ruolo di torturarlo, di ricordargli quanto fosse grasso, brutto e stupido.
La gita di quinta superiore fu fatta assieme alle classi del liceo. Pasquale fu letteralmente costretto dalla madre ad andarci; la signora era infatti preoccupata dal fatto che suo figlio si vestiva di nero, indiscutibile segno di satanismo secondo i Santissimi dogmi di Famiglia Cristiana. Sul pullman assistette a un bello spettacolo comico, solo che la vittima era -come sempre- lui. I ragazzi, guidati dalla fantasia adolescenziale di Mattia, cantarono cori del tipo «Se facciamo l’incidente muore solo Pasquale e la pasta al dente!», «Pasquale vieni a pescare con noi, ci manca la balena!». Le cose cambiarono in albergo; Pasquale conobbe Concetta, una ragazza del liceo bellissima, bruna e con il fisico da modella. Concetta si dimostrò davvero molto affettuosa con Pasquale, che nel giro di un giorno e tre birre, se ne innamorò. In realtà non si innamorò della sua bellezza; Pasquale si sarebbe innamorato pure di uno scorfano in avanzato stadio di decomposizione, se solo gli avesse dimostrato un po’ di affetto, quell’affetto che gli era stato precluso fino ad ora. Concetta gli metteva la testa sulla spalla, lo prendeva a braccetto, ma non lo baciava mai; Pasquale sapeva che avrebbe dovuto fare la prima mossa, ma come?
Durante il terzo giorno della gita, Pasquale venne invitato in camera da Concetta, vestita in modo molto provocante e ammiccante: era bellissima, un angelo dai profondi occhi neri, dal profumo di seta d’oriente, dalla bocca invocante baci. Sudando come un Inuit in vacanza in Camerun, Pasquale entrò nella stanza e si tolse dubito la tuta macchiata di sugo, non per velocizzare il tutto, ma per via del caldo che stava patendo. Concetta era sdraiata sul letto con i capelli legati da una molletta, proprio da strappare coi denti per liberarglieli, come tutto l’amore che il Buon Pasquale si era tenuto dentro per anni. Ma esternamente, Pasquale tremava, chiedendosi “Ma perché proprio io? Lei potrebbe avere chiunque!”. La risposta arrivò presto: da dietro i due letti e dall’armadio uscirono molti ragazzi, tra cui i suoi compagni di scuola con una videocamera, con festoni carnevaleschi e con pezzi di cibo tipo torrone, formaggio, patatine, vino, salame: tutto il cibo gli fu riversato addosso con gioiosa crudeltà. Pasquale uscì piangendo dalla camera, ancora sporco di cibo e con la maglietta degli Iron Maiden impregnata di sudore; fuori si erano radunate altre ragazze, che lo deridevano e lo additavano, perfino sua cugina Rosaria Fiorella, una ragazza brufolosa e flaccida che faceva abbastanza schifo, ma evidentemente non quanto Pasquale, che era ormai la feccia senza dignità. Il ragazzo raggiunse la sua camera e si chiuse dentro, fingendo un malore fino alla fine della gita. Tornato a casa, non parlò più con nessuno, tranne nelle occasioni in cui era obbligato a comunicare.
Diplomatosi con pessimi voti, Pasquale iniziò a lavorare in officina. Era sereno perché aveva a che fare con poche persone e non era obbligato a socializzare; in più, poteva permettersi di non lavarsi. Nell’officina, gli operai erano solo tre: gente fallita, tra cui il puttaniere del capo e Maurizio, un uomo sulla quarantina, pezzente e fallito. Essi erano comunque superiori a lui e non solo per via del loro ruolo all’interno della ditta. Pasquale era solito subire scherzetti e sfottò, comunque non cattivi; quindi gli stava bene così, beatamente rassegnato a questa sua nuova vita: poteva andargli peggio. Inoltre, Pasquale era sottopagato, ma lavorava 13 ore al giorno come un negro ed era, per forza di cose, dimagrito un po’, rimanendo comunque sempre tondo e brutto: dal viso sensibilmente più magro sbucavano degli occhi a palla, in tutto simili a quelli di un pollo, in quanto sinonimi di pochezza intellettuale.
La sera del 25 dicembre 2008, a 23 anni compiuti, Pasquale si trovava al teatro dell’oratorio ad ascoltare un concerto di musica classica, le solite cose proposte dagli oratori: stesso repertorio musicale, stessa banda paesana, stesso spettacolo; ma a Pasquale piaceva, non chiedeva molto dalla vita. La cosa brutta, però, fu che nei posti a sedere dietro sentì schiamazzi, che gli fecero riemergere brutti fantasmi dal pozzo di liquame del suo passato. Pasquale si girò verso loro: era proprio Mattia e la sua banda, accompagnati dalle morose di turno. A 23 anni, Mattia era un bel ragazzo con la Mini Cooper S, abituato alla discoteca e all’amata cocò (cocaina), con le sopracciglia curate dall’estetista e i capelli in piedi, vestito secondo l’ultima moda, quindi esteticamente all’avanguardia. Lo smilzo Antonio, che possedeva degli occhiali da sole di Dolce e Gabbana dal costo di 350 €, considerati molto fighi, si era invece fatto un fisico a suon di steroidi, risultando quindi piacente alle ragazze, che non chiedevano altro; aveva ancora i denti gialli e i capelli rossi, ma aveva anch’egli acquistato una Mini, anche se non Cooper S, in quanto prerogativa del capobranco. Concetta, dopo essersi concessa a molti trentenni incontrati in discoteca, per alcune dosi di crack o popper, era diventata ormai da due anni la ragazza più o meno stabile di Mattia. Era ancora molto bella, seppur ipertruccata e vestita in modo volgare; si era rifatta il naso perché, a seguito di un brutto trip, il suo ex di nome Diego (trentaduenne, agente immobiliare, dipendente fortemente da cocaina ed extasy, molto lampadato e dal bel sorriso) le aveva lanciato una bottiglia di birra Peroni, che era la birra della borghesia cittadina, in faccia, fratturandole quel bel nasino. Per pagarsi l’intervento oneroso, aveva avvelenato la nonna ottuagenaria con il veleno per topi nel tè, brindando poi alla sua eredità e piangendo al funerale, seriemente pentita. Il pentimento cessò la sera stessa, in discoteca, dopo il secondo giro di Campari e popper che gli era stato offerto da un albanese davvero molto figo (perché aveva le braccia palestrate) e dal nome sconosciuto, con cui aveva passato poi un’ottima notte sui sedili ritraibili della Renault 5, venendo peraltro filmata con il videofonino e messa su internet.
Ma torniamo a noi: seduto sulla sua poltroncina, Pasquale sperò di non essere riconosciuto, dato che erano passati anni e lui era pure dimagrito un po’, stempiandosi pure. Ma non fu così. Antonio lo smilzo, durante una carente esecuzione di Stille Nacht, urlò, rivolgendosi a Mattia «Eh vecchio, figa guarda chi c’è, il bombo… cazzoffiga, ti ricordi?» e Mattia lo riconobbe, così come gli altri ragazzi lì presenti, più o meno dello stesso loro giro, accompagnati da ragazze in tutto simili a Concetta, anche se convinte di avere una propria identità. Dopo tutto questo tempo, i ragazzi convennero che ci si poteva divertire in memoria dei vecchi tempi scolastici, quindi iniziarono a lanciargli cose. Dapprima i volantini appallottolati del concerto, poi fazzolettini pregni di muco; il tutto sotto gli occhi accondiscendenti di don Fabrizio, un prete gay che odiava Pasquale perché non si era più fatto vedere a messa e amava segretamente Mattia.
Pasquale non era più abituato a tutto questo ma, stoicamente, resistette. Il lancio finì. Felice, Pasquale si apprestò a sentire il restante concerto, con canzoni cantante a messa, inserite come riempitivo, quando gli arrivò sui capelli qualcosa: toccò e vide che era scamorza. Non ci vide più dall’ira: si alzò di scatto, brandendo la sedia e correndo come un bisonte verso il gruppetto, cinque file dietro. Loro lo guardavano sogghignando, memori dello spettacolo in quarta superiore. I loro sorrisi di scherno fecero inferocire ancor più Pasquale, che cercò di pensare a freddo, convenendo che non aveva più nulla da perdere e poteva farlo. Colpì due volte Antonio con la sedia, spaccandogli i denti gialli. Le ragazze iniziarono a urlare frasi sconnesse, il massimo a cui potevano attingere dalle loro risorse cerebrali e i ragazzi dissero frasi un po’ preoccupate, un po’ strafottenti, del tipo «E zio che ti prende, si scherzava fffiga», «Oh oh, ha sbroccato, chiamate la neuro», «Eh ma si scherzava solo, anche a te ti piace. Stacci dentro Bro!». Don Fabrizio intervenne con un tono di voce alterato ma pacato «Misericordiola, non farai del male a Mattia, cattivone». Pasquale era fermo, con la sedia alzata in una mano, riflessivo: non si curava di loro, ma stava assaporando la sete della vendetta, inebriato dalla potenza che sentiva di avere. Come una fiamma, come una meteora, come una tempesta nell’oceano, sentiva di avere una nuova forza in sé e capiva di averla sempre avuta. Guardava Antonio sputarsi i denti in mano, nella mano scarlatta, e sapeva che gli altri non avevano ancora capito cosa stava avvenendo, ma l’avevano solo intuito: poveri stolti. Ormai lui era Dio, era Thor, era l’Omino Michelin, sì ma di Ghostbusters quando, ingigantito ed indemoniato, distruggeva la città. Il fuoco lo divorava dentro e lui si faceva divorare, abbandonandosi a quel piacere proibito, abbeverandosi di quel peccato primigenio. Ecco com’era la vita, adesso l’aveva capito: il più forte, vince. Adesso era lui il più forte.
Prese per una spalla Mattia, che si era alzato per mettersi al sicuro, lo girò verso sé e gli disse: «Sono proprio io, Pasquale. Mi riconosci?» e gli spaccò il sopracciglio curato con un pugno altrettanto curato, ma in senso opposto. Mattia cadde bestemmiando, già fuori combattimento. Sbuffando, Pasquale lo calpestò spaccandogli una costola e corse verso Concetta, che si stava mettendo in salvo, spintonando gente e atterrando con un calcio pure Giovanni, un anziano pizzaiolo che non aveva fatto niente e a cui Pasquale non avrebbe mai fatto del male, in quanto era solito preparargli delle piadine alla Nutella™ negli anni bui dell’adolescenza, dopo la punizione della madre. Ma Pasquale, spinto dalla foga, non vedeva nemmeno il povero Giovanni, che non aveva ancora capito di trovarsi al momento sbagliato, nel punto sbagliato. Concetta, urlando andò a finire contro il muro del teatro e non trovava la porta, dato che aveva degli occhiali Rayban che non gli permettevano di vedere bene nella semioscurità del teatro. Quando capì di toglierseli, era ormai troppo tardi: Pasquale la girò e restarono faccia a faccia. A questo punto una voce interiore disse al ragazzo “Che aspetti, guarda com’è bella! Baciala, ora è tua, l’hai vinta, non ti potrà scappare! Dai, baciala! Riprenditi ciò che ti hanno negato” e in effetti anche Concetta pensava “Adesso mi bacia. Ma va bene, è il più forte. Saprò farlo diventare un figo e tutti ci invidieranno! Poi chissà con il popper come scoperà bene! Yuuuum già ci penso… sì dai baciami. Già l’altra volta ci sarei stata, sono proprio una puttana!”.
Ok, capite che Pasquale ascoltò questa vocina, ma nella sua mente udì anche un’altra voce, che era proprio la sua: vi serve proprio sapere cosa disse?; io penso di no, lo capirete con i fatti.
Pasquale rifilò una testata in pieno viso a Concetta, sfondandole il naso (l’unica parte del suo bel corpo non ancora sfondata): stavolta il chirurgo plastico non avrebbe saputo ricostruirlo. «Piaciuto il concerto, PUTTANA?», questo disse, sogghignando. Lasciatola sanguinante, uscì dal teatro fischiettando Stille Nacht.
Eh sì, la vita è proprio bella. Anche più di Concetta. Ora sì che Pasquale era felice come una Pasqua!
AGG, prima revisione 05/12/2009.
Seconda revisione, dopo la visione di E. e I. 10/12/2009.