Le Recensioni di GamesRadar - Pag 3
  • In diretta da GamesVillage.it
    • News
    • -
    • In Evidenza
    • -
    • Recensioni
    • -
    • RetroGaming
    • -
    • Anteprime
    • -
    • Video
    • -
    • Cinema

Pag 3 di 7 PrimoPrimo 123456 ... UltimoUltimo
Visualizzazione risultati da 31 a 45 di 94

Discussione: Le Recensioni di GamesRadar

Cambio titolo
  1. #31
    Kelvan
    Ospite
    Dredg - Catch Without Arms
    Rock Progessivo
    2005





    1. Ode to the Sun
    2. Bug Eyes
    3. Catch Without Arms
    4. Not That Simple
    5. Zebraskin
    6. Tanbark Is Hot Lava
    7. Sang Real
    8. Planting Seeds
    9. Spitshine
    10. Jamais Vu
    11. Hung Over on a Tuesday
    12. Matroshka (The Ornament)

    Gavin Hayes: voce e chitarra
    Mark Engles:
    chitarra
    Drew Roulette:
    basso
    Dino Campanella:
    batteria


    Definire questo album un capolavoro sarebbe davvero troppo facile!
    Lo si deve ascoltare almeno due o tre volte dall'inizio alla fine senza mai interromperlo per comprendere e quindi apprezzare lo stile che gli caratterizza, e notare quanto sia fluido e compatto il loro sound, ma nello stesso tempo ricercato ed accurato in ogni minimo dettaglio, impacchettato davvero come si deve.
    Le dodici tracce dell'album alternano momenti dai ritmi più serrati a momenti decisamente più "slow", muri di chitarra elettrica, dove più sinfonie in contemporanea si disperdono per poi ritrovarsi in uno stesso nodo di accordi, lasciano spazio alla voce solida e densa del cantante, accompagnato solo dal piatto della batteria e dagli accordi del pianoforte.
    Tra i dodici brani si possono distinguere alcuni pezzi di carattere più spinto, paragonabili ad un singolo, come "Ode to the sun", "Spitshine" oppure "The tanbark is hot lava" ,e pezzi di maggiore ricercatezza ed intimità quali "Planting seeds" o "Jamais vu". Riguardo il genere, sebbene prevalga il rock, non mancano spezzettoni dove si può apprezare un misto di pop e metal.
    All'interno della copertina si trovano tutti i testi delle canzoni in lingua originale, ed anche il prezzo del CD è decisamente accessibile.

    Io l'ho gia comprato e vi garantisco che non vi pentirete per l'acquisto di questo album, che saprà regalarvi ore ed ore di buona musica. Insomma, un buon album, anche per chi non ama lo stereotiparsi degli stili. Il mio consiglio?? Correte a comprarlo, subito!

    Ultima modifica di Kelvan; 12-11-2005 alle 17:09:02

  2. #32
    Kelvan
    Ospite
    Meshuggah - Destroy Erase Improve
    Techno Thrash
    1995






    1. Future Breed Machine
    2. Beneath
    3. Soulburn
    4. Transfixion
    5. Vanished
    6. Acrid Placidity
    7. Inside What’s Whitin Beneath
    8. Terminal Illusions
    9. Suffer In Truth
    10. Sublevels

    Tomas Haake: Drums, Voice
    Jens Kidman: Lead Vocals
    Frederick Thordendal: Rhytm Guitar, Solo guitar & Synthesizers
    Marten Hagstrom: Rhytm guitar
    Peter Nordin: Bass guitar


    Dopo il promettente EP “None”, con questo secondo album i Meshuggah fanno il botto che li consacrerà come una delle band più geniali degli ultimi anni.
    Le canzoni dell’album seguono un filo comune, un argomento molto caro alla fantascienza, o ad altri gruppi post-thrash come i Fear Factory (infatti il genere è lo stesso): la lotta fra uomini e macchine, o più generalmente temi claustrofobici e deliranti. Ma le canzoni riusciranno ad esprimere non solo questo concetto, ma MOLTO di PIU’, quasi una lotta per la sopravivenza, un abbattimento delle proprie certezze e emozioni: il masterpiece in questione è capace di catapultarvi in un mondo parallelo, farvi girare vorticosamente sulla follia mentale di questo cd, la tensione, l’incapacità e impotenza dell’uomo davanti a un qualcosa più grosso di lui…I testi e l’artwork aiutano non poco. Già, perché dopo un ascolto approfondito di D.E.I. non potrete che assaporare nuove emozioni nella vostra mente. “Future breed machine”, “Vanished”, “Terminal Illusions”, “Suffer in Truth” e “Sublevels” trasmettono sensazioni forti, per certi versi sensazioni simili alla lettura di un libro horror o alla visione di qualche puntata di X-Files, per intenderci.
    Ma come riescono i Meshuggah,(o meglio Frederick Thordendal, l’autore di quasi tutte le tracce del cd) nell’impresa di coinvolgerci in questa realtà distorta? Beh, sicuramente sono scelte vincenti la voce agghiacciante di Kidman, l’uso di un sintetizzatore, l’alternanza di momenti “pesanti e ritmati” a assoli di straordinaria bellezza dal punto di vista compositivo, essendo profondi e malati. Già, perché gli assoli di Thordendal si distinguono non tanto per la loro indubbia tecnica, ma per la loro componente “sentimentale”: non a caso, non seguono il canone comune, ma sono abbastanza originali nel loro genere.
    E’ per questo che,dopo tuttaquesta attenzione nella composizione e nei particolari, dalla strumentale “Acrid placidity ” mi aspettavo molto, ma le speranze sono state in parte disattese. Io speravo in un qualcosa di molto emotivo, caratterizzato da quella follia psichica che accomuna tutto il cd. Invece, si rivela esattamente cioè che il titolo esprime, cioè un momento di calma piatta…certo, la tensione e una nota di disperazione e disagio si avvertono, ma tutto sommato è una canzone abbastanza tranquilla, in attesa delle ultime 4 deliranti canzoni, i momenti migliori di un disco eccellente.
    Insomma, cos’è alla fine questo “Destroy Erase Improve” ? Un disco dove rabbia, urla che gelano il sangue, cattiveria, esecuzione tecnica impeccabile, assoli particolari e testi suggestivi forgiano un disco unico. Consigliato a tutti gli amanti del metal più moderno o sperimentale.


  3. #33
    Kelvan
    Ospite
    Dream Theater - Six Degrees of Inner Turbulence
    Prog Metal
    2002





    1. The Glass prison
    2. Blind Faith
    3. Misunderstood
    4. The Great Debate
    5. Disappear
    6. Six Degrees of Inner Turbulence:

    • I Overture
    • II About to crash
    • III War inside my head
    • IV The test that stumped them all
    • V Goodnight kiss
    • VI Solitary shell
    • VII About to crash (reprise)
    • VIII Losing Time/Grand Finale
    James LaBrie: Voce
    John Petrucci: Chitarre
    John Myung: Basso
    Jordan Rudess: Tastiere
    Mike Portnoy: Batteria



    First Degree: The Glass Prison
    Un rumore gracchiante di una radio o tv mal sintonizzata: il primo Cd comincia proprio in questo modo, esattamente come era finito l'album precedente. Lentamente entrano tutti gli altri strumenti, poi la chitarra da sola fa partire un riff travolgente e gli altri strumenti la seguono a ruota: la prima voce che sentiremo sarà quella di Mike Portnoy, protagonista di un breve duetto con James. Più tardi la canzone raggiunge una violenza sonora insolita per un gruppo come i DT...violenza che si sposa bene col testo, che narra della lotta disperata di un uomo (proprio il nostro Mike) per uscire dall'alcolismo.Al decimo minuto Petrucci si inventa un assolo a dir poco geniale, e la canzone viene chiusa da una parte più calma che mostra la luce della speranza, rappresentata da una porta che si apre...
    Una prestazione fantastica di tutti e cinque i membri e un testo stupendo; indubbiamente questa canzone entrerebbe in una mia ideale top 3 dei Dt.

    Second Degree: Blind Faith
    Ladies and Gentlemen, he's the keyboard wizard...Jordan Rudess! E senza dubbio l'eccentrico tastierista a farla da padrone nella seconda traccia. Sin dall'inizio comprendiamo che la violenza di prima è scomparsa, e infatti le strofe sono lente e dolci, e il ritornello estremamente coinvolgente ma il meglio deve ancora venire perchè dopo l'assolo di chitarra è proprio Rudess a intonare una melodia semplicemente da brividi. Anche stavolta il risultato complessivo è ottimo.

    Third Degree: Misunderstood
    Una canzone che mi crea diversi problemi, a essere sincero. Inizia come una ballad e si presenta come un brano piuttosto easy listening. Le melodie e il ritornello sono ottimamente costruiti, non c'è che dire; sono i minuti finali della canzone che mi lasciano abbastanza perplesso: si tratta infatti di un folle sfogo del duo Petrucci/Rudess, decisamente “sick”, apprezzabile nel complesso ma completamente slegato dal resto del brano, nato probabilmente da una voglia di autocelebrazione che esploderà negli assoli di Train of Thought.

    Fourth Degree: The Great debate
    ”Most people don't even know what stem cells ARE.”
    “The end justifies the means.”
    “These embryos were produced in an artificial environiment...it's not God's will.”

    Sono queste le voci che ci introducono, accompagnate prima dall'accoppiata basso/tastiere, poi dalla batteria e infine dalla chitarra, al quarto brano: come avrete capito, tratta del delicatissimo tema della ricerca sugli embrioni, mostrando sia il punto di vista dei religiosi che quello degli scienziati. La voce di Labrie ci giunge attraverso filtri che la rendono inquietante e distaccata, ma poi torna il James che conosciamo in un brano non velocissimo ma dalla carica emotiva notevole. Al nono minuto parte l'assolo di Rudess, seguito da quello di Petrucci per poi sfociare in un vortice di note ed emozioni incredibile...infine, a condurci fuori da questo brano sono voci simili a quelle che avevamo sentito all'inizio.

    Fifth Degree: Disappear
    E a chiudere il CD 1, last but not least, è Disappear. Indubbiamente ci troviamo davanti al pezzo più triste di tutti e due i CD: sono delle note evanescenti, suonate da un pianoforte fantasma, che accompagnano una voce altrettanto triste. Anche gli altri strumenti non mancano di farsi sentire e ci guidano lentamente attraverso la desolazione di un'anima, l'anima di un uomo che ha visto la sua storia d'amore appassire e morire, e che infine non può far altro che accettare la fine.

    Sixth Degree: Six Degrees of Inner Turbulence
    Una piccola precisazione: il CD 2 era stato concepito come una traccia unica, ma è stato diviso in otto parti per la comodità dell'ascoltatore: in questi “sei livelli” verranno affrontati sei diversi disturbi mentali. E' la maestosa Overture a darci il benvenuto, un brano totalmente strumentale di gran qualità in cui la band di New York viene accompagnata da strumeti di musica classica. Successivamente passiamo ad About to Crash, un brano piuttosto orecchiabile in cui possiamo notare un gran lavoro alle tastiere di Rudess, ma il meglio deve ancora venire. L'accoppiata War inside my head/The test that stumped them all è il punto più alto di questo CD 2; entrambi sono aggressive e oscure e vantano degli ottimi ritornelli, grazie anche al solito Portnoy. Goodnight Kiss è una ballad forse troppo sdolcinata, ma viene riscattata da un bell'assolo di Petrucci nel finale. Anche Solitary Shell è una ballad ma è decisamente più vivace, sopratutto grazie a Rudess che qui sembra particolarmente ispirato. About to crash (reprise) riprende il tema musicale dell'originale in versione rockeggiante: il risultato è buono, ma inferiore all'originale. Purtroppo il CD 2, che finora si è mantenuto su livelli alti scade proprio all'ultimo, con una Losing Time/Grand Finale decisamente sottotono; ma, anche se inferiore al primo, questo CD 2 è davvero pregevole.

    A mio giudizio quest'album è davvero ottimo, anche se non il migliore dei Dream Theater; lo sconsiglio a chi non li ha mai ascoltati, perchè non è certo un album facile. Six Degrees è un'opera controversa, c'è chi lo ama e chi lo odia; ma ad ogni modo è difficile restare indifferenti davanti a esso.


  4. #34
    Kelvan
    Ospite
    Led Zeppelin - Led Zeppelin III
    Rock/Hard Rock
    1970





    1. Immigrant Song
    2. Friends
    3. Celebration day
    4. Since I've been loving you
    5. Out on the tiles
    6. Gallows Pole
    7. Tangerine
    8. That's the way
    9. Bron-Yr-Aur Stomp
    10. Hats off to (Roy) Harper

    Robert Plant: vocals
    Jimmy Page
    : guitars
    John Paul Jones:
    bass guitar & keyboards
    John Henry "Bonzo" Bonham:
    drums


    Led Zeppelin III, come dice il titolo stesso, costituisce il terzo volume di una discografia, quella dei Led Zeppelin, che sarà ricordata per sempre nella storia della musica. Questo album é un manifesto della grande versatilità, dell'aura di mistero, della metafora del viaggio targata Zeppelin, che riscuoterà tanto successo nei 70s, destinata a restare immortale nel corso degli anni, incurante dello scorrere del tempo.
    Si parte con il graffiante inno del Dirigibile, "Immigrant Song", che al grido di "Valhalla, I'm coming" trasmette tutta la carica erotica ed adrenalinica dei vocalizzi di Robert Plant, con il fuoco in gola in questo pezzo, e la batteria squassante di Bonzo, che si trascina tutti gli avversari, terribile ariete che sfonda le mura dei timpani, saggiamente orchestrato dal vortice di oscurità dello stregone Page e dal tranquillo equilibrio di Jones. Il biondo cantante prosegue nei suoi vocalizzi sofisticati in "Friends", canzone del sapore orientale, che Page orna di arpeggi drammatici, tragici, che si accompagnano ad un testo sull'amore, di fratellanza, che rispetta in pieno la filosofia "hippie" di Robert Plant. Interessante anche l'accompagnamento di archi, piccola interferenza di Jones nell'album che, a tutti gli effetti, é un prodotto di Plant & Page.
    Interessante anche l'accompagnamento di archi, piccola interferenza di Jones nell'album che, a tutti gli effetti, é un prodotto di Plant & Page. L'atmosfera del Galles, del "seno d'oro" gaelico di Bron-Yr-Aur farà sentire le sue onde rilassanti durante il completo ascolto di quest'opera, bagno rigenerante dopo gli eccessi di Led Zeppelin II. Si prosegue con "Celebration Day", fino a giungere a quello che é il pezzo da novanta del disco, una canzone, questa, da molti indicata come la vera concorrente di Whole Lotta Love e la successiva Stairway to Heaven, alla palma di miglior canzone Zeppelin. "Since I've been loving you" é una delle gemme del Dirigibile di capitan Page, un pezzo nel quale é possibile intravedere tutte le radici musicali dei Led Zeppelin, alla ricerca del miglior blues, con un testo che parla di abbandono, di vita affettiva disillusa, di un amore strascicato, vissuto, vicino alla rottura, che si trascina stanco, verso la disperazione e il tradimento. Il brano parte con un inizio malinconico, accompagnato da note appena accennate da Page, per prorompere nel pianto straziante di Plant, che erompe in tutta la sua carica emotiva per trasmettere senzazioni uniche a chi ascolta. Ed é un amore vissuto, che si sviluppa sul rapporto Page/Plant, che avviluppa le note di una chitarra più umana che mai, ad una voce che di umano a poco, avvicinandosi così ai canoni del divino.
    E' perfino difficie proseguire nell'ascolto, irretiti come si é dalla bellezza di questa canzone. Si prosegue a fatica, pensando che non sia facile andare avanti, pensando che non si sia in grado di trovare canzone più bella nello stesso album. In effetti é vero, ma in relazione alla canzone appena descritta, le altre non raggiungono tali picchi, ma non sfigurano assolutamente. Si prosegue con "Out on the tiles", una buona canzone che servirà per l'album successivo (Black Dog, Led Zeppelin IV), che più non é che un progetto futuro, architettato dall'ingegner Page e dal demolitore Bonzo. L'ascolto continua con "Gallows Pole", una vecchia ballata gaelica che viene riarrangiata da Page. Il risultato é una buona canzone, con il solito magico ritmo impresso da Page, mai banale e scontato, e da un Plant che si può esprimere nei suoi ghirigori espressivi, senza lanciarsi in lancinanti acuti, ma con il sorriso sulle labbra, questa canzone sembra una filastrocca rock, in cui ci si diverte ad impersonare il boia che vede il condannato penzolare dalla forca. Da notare il banjo, elemento nuovo per i Led Zeppelin, ma questo album é completamente diverso dagli altri che sono stati e saranno.
    Si prosegue con "Tangerine", ballata anche questa da un forte sapore americano, altra perla infilata nella collana del 1970.
    Poi tocca a "That's way", canzone spesso utilizzata nella scaletta degli show del Dirigibile, che rispecchia ancora una volta la filosofia hippie di Plant, l'atmosfera bucolica gallese, i prati, l'aria pulita, i boschi di Bron-Yr-Aur, evocati anche nella successiva canzone, "Bron-Yr-Aur Stomp", spesso dedicata da Plant al suo cane, simbolo di empatia con il mondo animale, dunque, per il bel cantante inglese. L'album si chiude con una canzone, che io ritengo ininfluente ai fini dell'album "Hats off to (Roy) Harper", una canzone strimpellata da Page su un'accenno di idea di Roy Harper, un menestrello inglese che faceva parte della "comitiva" dei Led Zeppelin, che Jones, Bonzo e Peter Grant non potevano sopportare, ma che era nelle simpatie del comandante Page e dello splendido solista Plant.
    Sono i primi tre gradini della scala del paradiso che sta per arrivare, sono i primi gioielli Zeppelin che ascenderanno nel successo fino a "Houses of the Holy", album del massimo successo dei Led Zeppelin. Gli anni dell'abbandono sono lontani e anche se la proposta musicale sarà sempre elevata, Page e soci non saranno più gli stessi, distrutti negli affetti e nel corpo. L'unico ad uscirne indenne sarà John Paul Jones. Secondo la leggenda, sarebbe stato lui l'unico a non aver firmato il patto con Satana, a non aver ceduto la sua anima al diavolo in cambio di successo. Il Faust più moderno vede Jones unico superstite morale. Page sarà distrutto nel corpo (che purificherà con grossi sacrifici), Plant vedrà distruggersi la sua famiglia, Bonzo perderà la vita. Jones avrà l'ultima parola con "In through the out door". Ma questa é un'altra storia.
    Questo é l'album del rinnovo per i Led Zeppelin. Quest'opera terza rappresenta il momento in cui gli Zeppelin staccano la spina e si rifugiano lontano dagli eccessi e dalle frenesie rock dei primi due album. Sono lontani i forti echi blues di Led Zeppelin I, sono lontani i ritmi graffianti ed assordanti di Led Zeppelin II. Questo é l'album che svela una vena nuova nel Dirigibile, una vena melodica, malinconica, tesa a creare anche attraverso la voce e gli strumenti un equilibrio tra uomo e arte che ben si concilia con il luogo, l'approccio e la filosofia con cui Page e Plant si accostarono a questo progetto. Questo album rappresenta anche una pausa di riflessione con il pubblico, che si aspettava tutt'altro dopo Led Zeppelin II, e un punto di rottura con la stampa, che smise di diffidare dei Led Zeppelin e cominciò a violentarne la reputazione.
    L'eclettismo non era al tempo contemplato, ma i Led Zeppelin furono precursori. Dribblarono i dubbi dei fan e si mostrarono coerenti e fiduciosi del proprio prodotto. Il disco si colorò d'oro solo con le prenotazioni e il resto é storia...


  5. #35
    Kelvan
    Ospite
    Exodus - Shovel Headed Kill Machine
    Thrash Metal
    2005






    1. Raze
    2. Deathamphetamine
    3. Karma's Messenger
    4. Shudder to Think
    5. I Am Abomination
    6. Altered Boy
    7. Going Going Gone
    8. Now Thy Death Day Come
    9. 44 Magnus Opus
    10. Shovel Headed Kill Machine

    Rob Dukes: Vocals
    Gary Holt: Guitar
    Lee Altus: Guitar
    Jack Gibson: Bass
    Paul Bostaph: Drums


    "Esce il nuovo cd degli Exodus... mah, hanno cambiato troppo, secondo me non potranno mai eguagliare Tempo of the Damned, mi sa che fanno una brutta fine...".

    Ecco cosa pensavo prima dell'uscita di questo album. Diciamoci la verità: Tempo of the Damned è una gemma del Thrash nel 2004, come può riuscire a non deludere le aspettative una band che ha cambiato tre membri su cinque?
    Può, può. E questa ne è la prova lampante. I cambiamenti sono stati molti, e nemmeno poco significativi. Se ne va Steve "Zetro" Souza ed entra Rob Dukes (che faceva l'aiutante della strumentazione degli Exodus durante i loro concerti). Se ne va Rick Hunolt, che con Gary Holt ha formato per vent'anni una coppia schiaccia sassi, ed entra Lee Altus (ex-Heathen, mica bruscolini). Ottimo chitarrista, ma come si troverà con Holt? Riuscirà a ricreare quell'intesa magica? Questo album ci risponde con un secco "Si".
    Se ne va Tom Hunting, arriva Paul Bostaph, che tanto mi aveva deluso in God Hates Us All degli Slayer. Ebbene, questo signore sembra essere tornato indietro nel tempo, picchia forte sulla sua batteria, come ai tempi dei gloriosi Forbidden. Eccome se picchia.

    Il cd sembra essere diviso in tre parti. La prima, formata da Raze, Deathamphetamine e Karma's Messenger. L'inizio della distruzione, l'inizio del massacro. Le chitarre tagliano, non suonano alla Tempo of the Damned, ma alla Fabulous Disaster. E' un pregio: un tuffo nel passato abbinato alla pulizia sonora moderna. Il basso va, duro, forte, ad innalzare quel muro sonoro che tanto ci farà scatenare dal vivo e non. Rob Dukes alla voce è una sorpresa. Meno stridulo di Zetro, ma altrettanto cattivo, violento e "bastardo", per certi versi più adatto a questo suono. Diciamo che si è indurito il suono e di conseguenza si è indurito il cantante. Ottimo.
    La batteria di Bostaph. E' questa la sopresa. E' allucinante, non sbaglia un colpo, preciso come l'esattore delle tasse alla fine del mese. Incredibile, assolutamente incredibile. Questo è un batterista che ha dimostrato di saper ancora suonare, di saper ancora pestare, di saper ancora farci pestare!

    La seconda parte del disco è quella composta da Shudder to Think, I Am Abomination, Altered Boy. Qui i ritmi si calmano, si passa a dei mid-tempo di ottimo thrash incazzoso e cupo, duro, martellante. I nostri ragazzi ci fanno vedere come si fa ad essere pesanti anche a tempi lenti.

    Passiamo alla terza parte, ovvero Going Going Gone, Now Thy Death Day Come e 44 Magnus Opus. Qua si torna a pestare, si torna a far casino. I riff tornano serratissimi, la batteria va che è un piacere, il basso ci riempie le orecchie di note cupe e dure, la voce di Rob torna indiavolata. Ecco tornare gli Exodus da pogo, quelli che tanto amiamo.

    No ragazzi, non ho dimenticato la title track, Shovel Headed Kill Machine. L'ho volutamente tenuta al di fuori delle tre sezioni perchè qui è la furia totale. I testi, le chitarre, la voce, la combo batteria-basso. Qui è tutto portato al massimo, è la furia finale.

    In definitiva, un cd che non dovrebbe mancare a nessun amante del thrash. Un cd che ci dimostra come, nel 2005, si possa ancora fare dell'ottimo thrash. Un cd che per molti anni sarà il paragone per tutte le uscite di questo genere musicale.
    E soprattutto, un cd che insegna a band ben più famose ed osannate come si possa ancora fare "del gran casino" alla soglia dei 40 anni. Da avere assolutamente!


  6. #36
    Kelvan
    Ospite
    The Haunted - rEVOLVEr
    Death/Thrash
    2004






    1. No Compromise
    2. 99
    3. Abysmal
    4. Sabotage
    5. All Against
    6. Sweet Relief
    7. Burn to a Shell
    8. Who Will Decide
    9. Nothing Right
    10. Liquid Burns
    11. My Shadow

    Peter Dolving: vocals
    Anders Bjorler:
    guitars
    Jonas Bjorler:
    bass
    Jensen:
    guitars
    Per Moller Jensen:
    drums



    Al giorno d’oggi il Thrash non è forse il genere più in forma nel mondo del Metal, sono poche le nuove band che gli si dedicano con risultati apprezzabili, ma c’è una cosa che questo genere ha insegnato al popolo Metal negli anni passati: l’attitudine è tutto.
    Revolver non è a dir la verità un disco propriamente Thrash, ma Death-Thrash con indubbie influenze Hardcore, soprattutto per quanto riguarda il cantante Peter Dolving, al suo ritorno nelle fila dei The Haunted. Non un disco Thrash ma carico dell’attitudine tipica dei mostri sacri del genere, la voglia di suonare pura e semplice musica spaccaossa e senza troppi fronzoli, senza ricercatezze inutili con il solo intento di devastare l’ascoltatore.
    Il combo svedese centra perfettamente l’obiettivo, rEVOLVEr è adrenalinico, devastante, coinvolgente, non può che spingere qualsiasi metallaro ad un vorticoso headbang; non c’è quasi un attimo di pausa, un momento per riprendersi, sono poche infatti le decelerazioni da parte dei 5 scandinavi, pochi secondi all’inizio di un paio di canzoni, tutto il resto è un assalto all’arma bianca.
    Riff taglienti come rasoi e comunque massicci e pesanti come macigni, il lavoro di guitar riffing è davvero impeccabile e si sente l’influenza degli Stayer su questo gruppo
    I The Haunted dimostrano che creare riff memorabili è ancora possibile come in 99 o All Against All, il repertorio chitarristico include tutti i canoni del Thrash classico: ritmiche granitiche e compatte, armonizzazioni e soprattutto velocità ritmica, il tutto condito con qualche assolo di indubbio gusto e discreta perizia tecnica.
    I momenti melodici sono quasi del tutto assenti se non per gli intro di Abysmal e Burn To A Shell e parte della conclusiva My Shadow, e non si può di certo parlare di melodia in senso stretto quanto di piccole sezioni arpeggiate, che conservano comunque oscurità e cattiveria.
    Il drumming di Per Jensen è abbastanza, veloce, preciso e compatto, non lascia mai uno spiraglio o un buco, crea un muro di suono impenetrabile, ciò che gli si richiede insomma.
    Il singer Dolving catalizza quasi tutta l’attenzione su di se, offrendo una grande prova in termini di “interpretazione” dei pezzi, selvaggio e sporco ricorda quasi Phil Anselmo; nella conclusiva My Shadow dimostra anche una certa versatilità a passare dal cantato “pulito” all’urlato e ad aspri scream in falsetto.
    La produzione è semplicemente ottima, i suoni di chitarre e batteria sono perfetti, unica pecca è la poca udibilità del basso, troppo amalgamato col suono delle chitarre, ma del resto non è di certo una novità per un disco di questo genere.
    Apici del disco sono 99, Sabotage, la divertente All Against All, la opener No Compromise (fantastico l’intro) e la conclusiva My Shadow.

    Un disco veramente ottimo, una boccata d’ossigeno per chiunque voglia solo scatenarsi per un’oretta, per chiunque voglia ascoltare un po’ di sano e puro Metal senza troppe pretese e senza ghirigori.
    rEVOLVEr è questo, un disco divertente e adrenalinico che offre una sana dose di riff old school puri e semplici, da subire passivamente così come arrivano e lasciarsi colpire in pieno volto da questo vero e proprio pugno in faccia.

    Ultima modifica di Kelvan; 9-11-2005 alle 15:01:01

  7. #37
    Kelvan
    Ospite
    Britney Spears - B In the Mix
    Dance/Pop
    2005






    1. Toxic - Peter Rauhofer Reconstruction Mix
    2. Me Against the Music - JUSTICE REMIX
    3. Touch Of My Hand - Bill Hamel Remix
    4. Breathe On Me - Thin White Duke Mix
    5. ...Baby One More Time - Davidson Ospina 2005 Mix
    6. And Then We Kiss - Junkie XL Remix (inedito)
    7. Someday (I Will Understand) - Hi-Bias Signature Radio Remix
    8. Everytime - Valentin Remix
    9. I'm A Slave 4 U - Dave Aude Club Mix
    10. Don't Let Me Be The Last To Know - Hex Hector Club Mix (Edit)
    11. Early Mornin' - Jason Nevins Remix

    Dopo la pausa di un anno presa per maternità dalla nuova reginetta del Pop, ecco che per accontentare i fan, in attesa del nuovo album previsto per fine 2006, e per divorziare dalla Jive Britney Spears lancia un nuovo Greatest Hits, questa volta però non sono i suoi maggiori succesi a far parte della tracklist, ma bensì i remix migliori delle sue canzoni.
    B in the Mix può essere valutato come un nuovo CD di Britney? Bè in parte sì e in parte no. No, perchè 10 traccie le si possono ascoltare, in versione originale, nei precedenti album; sì, invece, perchè questo album contiene una canzone inedita e inoltre i remix all'interno non sono mai stati pubblicati.
    Come già scritto sopra, questo CD si presenta come una raccolta dei migliori remix fatti sulle canzoni di Britney. La maggiorparte di questi sono tratti dalle basi musicali del CD "In The Zone", infatti i suoi ritmi tribali e sensuali sono stati molto utili per creare degli ottimi mixaggi. Il remix più forte è quello di Bill Hamel sotto le note di "Touch of My hand". Grazie alle basse tonalità di voce e ai fantastici accordi techno si è riuscita a creare una melodia talmente sexy che pervaderà i vari sensi dell'ascoltatore. Al secondo e terzo posto si piazzano il remix di Jason Nevins su "Early Morning" e quello di Jacques Lu Cont's Thin White Duke su "Breathe on Me". Questi due bravissimi Dj sono riusciti a trasformare queste canzoni dal ritmo lento e respirato in delle melodie che faranno muovere ogni muscolo del nostro corpo. Altri ottimi remix che possiamo ascoltare all'interno del CD sono quelli delle ballate "Someday" e "Everytime". Meno riusciti sono stati i mix applicati alle canzoni "Me Against the Music" e "Toxic", sarà che le canzoni erano già movimentate di loro, ma il mixaggio si sente poco e, anche se ben realizzati, non arrivano ai livelli degli altri remix.
    Quanto alla canzone inedita, "And then we Kiss", possiamo notare come Britney Spears se la sia cavare in modo abbastanza sufficiente anche nel comporre le proprie canzoni, insomma fino ad oggi si è limitata solo a scrivere le musiche di varie ballate, come Everytime e Someday, ma con questa canzone è riuscita a fare vedere che anche con ritmi più veloci se la sa cavare.

    Insomma questo CD è sicuramente un acquisto obbligatorio per i fan di Britney Spears, ma anche di chi sstima le sue canzoni. Ma è anche consigliato molto anche agli amanti della musica dance, fra gli ottimi Dj che hanno remixato queste 11 traccie, troviamo nomi molto interessanti come Jacques Lu Cont e Hex Hector.


  8. #38
    Kelvan
    Ospite
    Al Di Meola - Elegant Gipsy
    Jazz/Fusion
    1976





    1. Flight Over Rio (7:16)
    2. Midnight Tango (7:28)
    3. Mediterranean Sundance (5:14)
    4. Race With Devil On Spanish Highway (6:18)
    5. Lady Of Rome Sister Of Brazil (1:46)
    6. Elegant Gypsy Suite (9:16)

    Al Di Meola: guitars
    Paco De Lucia: acoustic guitar
    Jan Hammer: guitar
    Anthony Jackson: bass guitar
    Barry Miles: keyboards
    Lenny White: drums
    Mingo Lewis: percussions



    Si potrebbero passare ore a parlare di questo disco la cosa più facile è invece ascoltarlo e basta per rendersi conto dello splendore di quest'opera, un lavoro sopraffino, alla tenera età di 22 anni Al Di Meola produce un capolavoro incredibile.
    Ci vorrebbero tantissime altre ore e fiumi di parole per descrivere un genio come Al Di Meola, un musicista che mette davanti a tutto la musica e la passione, dotato di una tecnica al di la di termini di paragone, lui stesso è il termine di paragone ancora oggi per i chitarristi di tutto il mondo; e di un gusto per le melodie come pochi; proprio per questo non scade mai in semplici esercizi di stile (come altri illustri colleghi) nonostante esibisca tutto ciò ci cui sia capace durante i suoi assoli, anzi si preoccupa soprattutto di tutto il mondo sonoro che circonda le sue canzoni e di ciò che con esse voglia esprimere.
    Una delle tante peculiarità di Di Meola è proprio la ricerca sonora, adopera una grande quantità di effetti e suoni diversi, a volte è difficile credere che usasse una Les Paul, ricerca sonora ma anche stilistica: Di Meola, infatti, combina Jazz,Rock, Prog. Flamenco, Tango e Bossa Nova per creare qualcosa di unico in ogni canzone.

    La prima canzone è Flight Over Rio: dopo una breve intro “d’atmosfera” sopraggiungono le percussioni e infine all’improvviso parte la chitarra di Al a tessere un groove incalzante per poi lanciarsi a capofitto in un duetto con il tastierista Barry Miles. A questa fase segue un intermezzo degli altri strumentisti veramente gradevole e dal ritmo sostenuto; la canzone sfuma con la ripresa dell’intro iniziale. Ottima Midnight Tango si apre invece con un dolce giro di tastiera che lascia subito spazio ad una lieve melodia di chitarra ,lenta, appena accennata, uno dei trademark di Di Meola. Il tutto è molto rilassante, quasi da ascoltare unicamente come sottofondo, ma di nuovo all’improvviso dopo due minuti e mezzo la calma apparente viene squarciata da una serie di virtuosismi di Al, ma è solo una piccola parentesi. La canzone si avvia verso la conclusione accompagnata da un ultimo riff, quando tutto sembra finito parte un solo di percussioni, che testimonia ancora una volta come l’interesse del buon guitar hero non sia solo quello di far sfoggio delle sue tecniche ma lasciar sfogare anche i propri strumentisti.

    Che dire di Mediterranean Sundance? Duetto per chitarra acustica e classica: Di Meola da una parte, Paco De Lucia dall’altra a tessere riff e melodie in continuazione in un crescendo di emozione e tecnica.
    A mio modesto parere non c’è nient’altro da dire su questa canzone, l’unica cosa possibile è ascoltarla e rimanerne estasiati.

    Race With Devil On Spanish Highway: viene aperta da un’intro di basso seguito a ruota da una serie di scale velocissime, ancora un cambio di suono per la chitarra di Al, qui più distorta e aggressiva che mai..
    Questa canzone è tutta costruita su un tema portante sviluppato in vari modi, una volta più frenetico una volta più controllato, tutte queste ripartente e accelerazioni evocano veramente le immagini di una corsa, una fuga in un’autostrada in mezzo al deserto; stop and go tipici del progressive e della Jazz Fusion.

    Questo virtuoso italo-americano ha davvero fatto scuola, i suoi giri e le sue accelerazioni echeggiano negli assoli di tantissimi chitarristi, in una parola Maestro.
    Rimane solo un breve intermezzo prima della Suite conclusiva: Lady Of Rome Sister Of Brazil breve intervallo acustico, molto leggero e gradevole.

    Elegant Gypsy Suite: l’inizio acustico è accompagnato da ritmi latini, tutto il resto della canzone è difficile da descrivere, non c’è un vero e proprio filo conduttore lungo tutta la Suite se non quello della sperimentazione.
    E’ tutta una successione di digressioni strumentali di vario genere, sono tante le variazioni ora Jazz, ora Rock, ora Prog, ogni cambio è accompagnato da un cambio di pedale per la chitarra del Jazzista, alcuni di questi suoni sono veramente pazzeschi, rendono davvero arduo pensare che sia “solo” una chitarra elettrica. Come di consueto il motivo iniziale della canzone porta anche alla sua epica conclusione.
    Un disco stupendo, impeccabile sotto tutti i punti di vista, composizione ad alti livelli, tecnica di standard elevatissimo e tanta tanta varietà e originalità, quello che si chiede ad un disco di Jazz Fusion insomma, e l’ascolto di questo capolavoro non può che lasciare soddisfatti, nessuna delle sei canzoni ha un minimo punto debole.
    Due parole solamente: Capolavoro assoluto.


  9. #39
    Kelvan
    Ospite
    Nile - Annihilation Of The Wicked
    Epic Brutal Death Metal
    2005






    1. Dusk Falls Upon The Temple Of The Serpent On The Mount Of Sunrise
    2. Cast Down The Heretic
    3. Sacrifice Unto Sebek
    4. User-Maat-Re
    5. The Burning Pits Of The Duat
    6. Chapter Of Obeisance Before Giving Breath To The Inert One In The Presence Of The Cresent-Shaped Horns
    7. Lashed To The Slave Stick
    8. Spawn Of Uamenti
    9. Annihilation Of The Wicked
    10. Von Unaussprechlichen Kulten

    Dallas Toler-Wade: voce e chitarra
    Karl Sanders: voce e chitarra
    Gorge Kollias: batteria



    Con “Annihilation Of The Wicked” i deathsters statunitensi Nile si ripresentano sulle scene, a distanza di 3 anni dal fortunato “In Their Darkened Shrines”, e lo fanno nel migliore dei modi possibili, ovvero sfornando un album all’altezza delle aspettative. Fuori Tony Laureano e dentro George Kollias, greco, dietro le pelli. C’è da dire che ero un po’ perplesso riguardo a questo avvicendamento. Laureano, infatti, è probabilmente il batterista più veloce attualmente sulla scena. Nutrivo dubbi, quindi, sul contributo che Kollias (un perfetto sconosciuto, almeno a questi livelli) avrebbe potuto dare alla causa dei Nile. Dopo l’atmosferica “Dusk Falls Upon The Temple Of The Serpent On The Mount Of Sunrise”, “Cast Down The Heretic” esplode in tutta la sua furia.
    I riff veloci e cattivi, la batteria precisissima e violenta, i tre growl di Sanders, Vesano e Toler-Wade che si intrecciano. Da subito, appare chiaro che i Nile hanno optato per uno snellimento delle canzoni, ora meno infarcite di elementi etnici e più dirette e brutali.
    Da qui in poi, l’ascoltatore riceverà solo violenza. Analizzando ogni singolo aspetto, possiamo dire che la produzione (targata Neil Kernon) finalmente rende giustizia alla precisione chirurgica della band, che mostra appieno le doti tecniche del combo americano. Il buon Kollias non fa affatto rimpiangere i suoi illustri predecessori, e, anzi, si dimostra un vero portento dietro al drumkit, dotato di velocità, estro, tocco, fantasia. Le chitarre, come da consuetudine in casa Nile, si intrecciano in spettacolari riff ultratecnici, esplorando di volta in volta soluzioni nuove e inusuali. Da sottolineare il fatto che la band, stavolta, proverà anche qualche rallentamento, come nelle song “User-Maat-Re” o “Lashed To The Slave Stick”.

    In definitiva, i Nile si riconfermano la band di punta del movimento Brutal Death di questi ultimi anni, unendo tecnica e fantasia in una miscela esplosiva e dannatamente originale. Volendo trovare a tutti i costi un difetto a questo album, potremmo dire che le parti etniche, presenti nel sound sin dal primo “Amongst The Catacombs Of Nephren-Ka”, sono pressoché scomparse, ma c’è da dire che l’epicità e le suggestioni evocate dal sound dei Nile sono rimaste inalterate.


  10. #40
    Kelvan
    Ospite
    Gamma Ray - Skeletons In The Closet
    Power Metal
    2003






    1. Welcome
    2. Gardens Of The Sinner
    3. Rich And Famous
    4. All Of The Damned
    5. No Return
    6. Armageddon
    7. Heavy Metal Universe
    8. One With The World
    9. Dan's Solo
    10. Razorblade Sigh
    11. Heart Of The Unicorn
    12. Last Before The Storm
    13. Victim Of Fate
    14. Shine On
    15. The Silence
    16. Heaven Or Hell
    17. Guardians Of Mankind
    18. New World Order

    Kai Hansen: voce, chitarra
    Henjo Richter: chitarra, cori
    Dirk Schlächter: basso, cori
    Daniel Zimmermann: batteria, cori
    Axel Mackenrott: tastiere, cori (membro esterno al gruppo)
    Le canzoni sono state registrate in due concerti: Barcellona, Strasburgo.



    L'album comincia con Welcome, vera e propria introduzione che riesce bene nell'intento di scaldare l'atmosfera. La prima canzone vera e propria è con Gardens of the sinner, pezzo tratto dall'album Powerplant. Le (già) ottime prestazioni di Kai Hansen e di Henjo Richter fanno ben sperare per il resto dell'album. L'esecuzione è inappuntabile. Kai canta molto bene questo pezzo. Subito dopo Rich and Famous! un brano molto semplice, dotato di un ritornello di facile memorizzazione e molto divertente; ancora buone le prestazioni di tutti i componenenti. Segue All of the Damned, non eseguita proprio al meglio ma comunque molto orecchiabile. Dopo si fa un bel balzo indietro con gli anni con No return, canzone che poteva essere evitata dalla band. Si sente la mancanza del primo cantante del gruppo: Ralf Scheepers che, nei live, eseguiva alla perfezione questo brano. Segue un brano fantastico (uno dei capolavori affarmati dei Gamma Ray), Armageddon, caratterizzato da bellissimi cambi di melodia e ritmo. Il brano è
    eseguito perfettamente e finalmente riconosciamo Dan Zimmermann per quello che è, fino ad ora era stato abbastanza impreciso. Poi tocca ad Heavy metal universe, brano concepito per essere eseguito in pubblico. Kai si dimostra straordnario! Specialmente nel duetto col pubblico! La succesiva è One with the world pezzo sempre molto apprezzato dal pubblico sin dalla pubblicazione. Ottimo l'assolo. Zimmermann stranamente impreciso. Ma Dan ci sorprende con un bellissimo assolo di batteria. Pregevole! proprio niente da appuntare. Il secondo cd 2 è aperto Razorblade sigh, tra le canzoni più belle di entrambi i cd. Potente, melodica, caratterizzata da due due assoli fantastici e cantata ottimamente. Segue The heart of the unicorn. L'unico brano cantato male da Kai! Un urlo continuo! Alla lunga questo brano risulta noioso. Peccato perchè le chitarre si sono esibite ottimamente. Poi è la volta della storica Last beforse the storm. Stranamente l'assenza di Scheepers non si sente affatto; gran merito a Hansen che -apparte in un paio di occasioni- si sta dimostrando un ottimo cantante. Da notare che il brano è stato leggermente rivisitato. E' il turno di Victim of fate, brano originariamente degli Helloween. Kai interpreta magnificamente questa canzone! Sia come cantante sia come chitarrista. E finalmente riroviamo Dan Zimmermann come lo conosciamo,impreccabile! Segue Shine on/Rising star. Il brano è abbastanza lungo e rischia di annoiare presto il pubblico. Meno male che sia eseguito molto bene. E' il turno di una ballad, The silence. E qui Ralf Scheepers è stato soppiantato proprio alla grande! Grande Kai! Impeccabile! Heaven or hell e la successiva The guardians of mankind sono due canzoni banali ma anche efficaci (insomma il pubblico non si è annioato). Notare la prova di Henjo Richter nella seconda delle due. Chiude New world order, brano nato per essere eseguito in Live. caratterizzato da un ritornello semplice. Canzone che parte molto lenta, che poi si velocizza sempre di più. Il pubblico è ancora protagonista nel finale (dopo l'assolo). il tutto si chiude con un finale lunghissimo in sintonia con New world order.
    Da sottolineare l'eccelsa prova di Hansen e la dimistichezza di Dirk con la seconda voce. Zimmerman non era evidentemente in serata e, apparte che in un paio di occasioni (Colossale!), non si è distinto per bravura. Henjo Richter (in grande spolvero!) riesce nell'impresa di non far avvertire la mancanza di Schlächter alla seconda chitarra.

    In definitiva... I Gamma Ray sono stati veramente bravi e, apparte in qualche situzione non proprio felice, si sono dimostrati perfetti!! Da comprare e a collezionare!!


  11. #41
    Kelvan
    Ospite
    Edguy – Rocket Ride
    Power Metal
    2006






    1. Sacrifice
    2. Rocket Ride
    3. Wasted Time
    4. Matrix
    5. Return To The Tribe
    6. The Asylum
    7. Save Me
    8. Catch Of The Century
    9. Out Of Vogue
    10. Superheroes
    11. Trinidad
    12. Fuckin’ With Fire (Hair Force One)

    Tobias Sammet: vocals
    Jens Ludwig: guitar
    Dirk Sauer: guitar
    Tobias "Eggi" Exxel: bass
    Felix Bohnke: drums

    Eccoci qua, arriva uno dei dischi più attesi nella scena Power di questo 2006 appena iniziato.
    Sono gli Edguy ad aprire l'annata, che tornano forti di una maggiore esperienza e con la consapevolezza di essere ormai entrati nel giro delle band "che contano".
    Se Hellfire Club era stato una novità poichè, eccezion fatta per qualche pezzo, il combo tedesco aveva tirato fuori un disco molto power, questo è a sua volta una sopresa ma per la ragione inversa. Eh gia, questa volta il disco è molto probabilmente il meno power e quello più influenzato da altri generi...

    Si parte alla grande, forse troppo, con il primo gioiello: Sacrifice, lunga canzone con una buonissima alternanza di pezzi lenti a pezzi più aggressivi che sfociano in un grande ritornello. Per quanto mi riguarda questa è sicuramente la canzone più bella che il "tedeschino" abbia mai composto. Segue la title track, Rocket Ride, pezzo power con riff di chiaro stampo Hard Rock abbastanza coinvolgente, raggiunge il proprio apice nel refrain e nel break centrale molto evocativo. Arriviamo quindi ai primi mid-tempo: Wasted Time e Matrix; la prima, sicuramente di grande fattura, è melodica e quel poco aggressiva che basta per coinvolgere a pieno l'ascoltatore per poi sfociare come al solito in un bel ritornello orecchiabile e semplice, e sfido molti di voi a non canticchiarlo; la seconda, purtroppo, è invece l'anello debole dell'album a mio avviso, sulla falsa-riga della precedente non riesce però a convincere a pieno; unico punto buono la fase solistica al centro e un ritornello che è sì buono, ma non abbastanza almeno se paragonato al livello medio del disco.
    Non fai in tempo a pensare: << per&#242;, per ora manca una vera e propria canzone power... >> che gli Edguy ripartono velocissimi con Return to the Tribe, che riprende il discorso interrotto con Hellfire Club e che sicuramente non avrebbe sfigurato in nquell'albium come stile. Da sottolineare il simpaticissimo assolo di voce fatto da Sammet a met&#224; canzone per imitare una chitarra, usando proprio la stessa distorsione. Un lento arpeggio di chitarra ed un Tobias molto ispirato ci portano ad un altro mid-tempo, sicuramente quello meglio riuscito: The Asylum; la voce energica di Sammet la fa da padrone e la conduce egregiamente al coro molto potente che rappresenta sicuramente la parte migliore della song. Non da meno per&#242; &#232; il break, dove un giro di basso e due chitarre con un effetto che strizza molto volentieri un occhio all'Hard Rock fanno sognare. A far sognare per&#242; ci riesce perfettamente dall'inizio alla fine la ballata del disco, Save Me, che con le sue pesanti influenze AOR e la voce molto sentimentale di Tobias scalder&#224; non poco i cuori delle giovani fanciulle tanto innamorate del giovane leader della band di Fulda...
    Quello che i nostri sembrerebbero aver imparato molto bene &#232; fondere l'Hard Rock con il metal, e lo rifanno ancora una volta ( con prevalenza di HR per&#242; ) in Catch of the Century; ancora una volta ritornello azzeccato e strofe semplici ma mai banali caratterizzano il pezzo. Divertentissimo il finale dove Tobi continua a urlare sopra la canzone anche quando finisce la sfumatura di volume e una voce lo averte che la canzone &#232; finita e non ha pi&#249; ragione di cantare... da sentire! Ormai &#232; cos&#236;, dopo una ballata ed un pezzo roccheggiante non pu&#242; che esserci un pezzo molto heavy... ed infatti &#232; cos&#236;, ed arriva Out of Vogue a dimosrazione che gli Edguy pur non essendo dotati di qualit&#224; tecniche elevatissime sanno fare bene tutto: dalle ballad ai mid-tempo, dalle canzoni power pi&#249; melodiche a quelle heavy pi&#249; cattive.
    Se pensavate che in nove canzoni le sorpese potessero essere finite vi sbagliavate di grosso. Ad aprire la fase finale del cd ci pensa la hit Superheroes, gia presente sull'omonimo singolo uscito lo scorso Settembre. Prendete un giro di basso, una chitarra roccheggiante, un ritornello allegro e spensierato e l'energia di Sammet... et voil&#224;, eccovi Superheroes! Questa canzone sar&#224; banale quanto vi pare ma vi sfido a non canticchiarla anche dopo un solo ascolto, e poi chi lo dice che una cosa banale debba per forza essere brutta? Bene quella che viene adesso &#232; sicuramente una cosa "strana" che nessuno si sarebbe aspettato... s&#236; perch&#232; tante canzoni anche se molto influenzate dall'Hard Rock tutto sommato nel disco potevano starci, molti di voi ascoltando Trinidad si chiederanno cosa diamine ci faccia. Eh gi&#224;, l'undicesima traccia del disco ha fatto discutere non poco la critica dividendola tra chi la trova una squallida canzone pop adatta come sigla per un telefilm e tra chi invece dice che il metal non &#232; solo facce dure e incazzate, ma anche spensieratezza, voglia di divertirsi. Sicuramente gli Edguy non si annoiano quando fanno un disco, e io personalmente apprezzo moltissimo la canzone in questione anche se ammetto che molti possano sorcere il naso. Come definitiva conclusione giunge Fuckin' with Fire, ancora una volta &#232; uno stile molto HR a fare dettare la legge, ma un testo ai confini del glam e un cantato decisamente Heavy rendono questa canzone speciale, riassumendo in parte tutto quello che abbiamo avuto modo di sentire in questi 59 minuti di grande musica.

    La band ha dimostrato di volere e saper uscire dagli standard del Power, aggiungendo un qualcosa che li rende quasi unici. Sicuramente &#232; una via difficile, perch&#232; in un mondo chiuso e prevenuto com'&#232; quello del metal di oggi proporre qualcosa di diverso ( non innovativo ma diverso, perch&#232; sicuramente non hanno inventato niente di nuovo ) non &#232; per niente semplice; forse &#232; quasi impossibile. Complimenti a loro che hanno avuto le palle di far uscire dal cilindro un album un p&#242; fuori dai canoni metallari con una naturalezza veramente soprendente. Eh gi&#224;, perch&#232; la naturalezza con cui questo &#232; album &#232; stato scritto e registrato &#232; veramente disarmante; i tedeschini vogliono quindi fare quello che li piace, senza mezze misure o compromessi... prendere o lasciare quindi.
    Gli Edguy hanno tirato fuori il loro miglior album proprio quando si sono allontanati dal classico Power, quindi per quanto mi riguarda possono continuare su questa strada senza per&#242; fare il grave erore di rinnegare completamente il passato.


  12. #42
    Kelvan
    Ospite
    Theory Of A Deadman - Gasoline
    Rock, Post-Grunge
    2005






    1. Haiting Hollywood - 3:25
    2. No Way Out - 3:29
    3. No Surprise - 3:40
    4. Quiver - 2:51
    5. Santa Monica - 4:06
    6. Better Off - 2:51
    7. Say Goodbye - 3:04
    8. Hello Lonely (Walk Away From This) - 4:21
    9. Me and My Girl - 3:40
    10. Since You've Been Gone - 4:19
    11. Hell Just Ain't The Same - 1:05
    12. Save The Best For Last - 4:14
    13. In The Middle - 3:36

    Tyler Connoly: Voce e Chitarra
    Dave Brenner: Chitarra
    Dean Back: Basso
    Tim Hurt: Batteria


    Correvano i titoli di coda di Fahrenheit, il primo gioco in grado di commuovermi, di emozionarmi: la colonna sonora, Santa Monica, ti rimaneva nelle orecchie. Convinto che il loro genere (pensavo un rock molto leggero, vista la canzone che mi ha stupito) mi sarebbe piaciuto, mi procurai il loro ultimo album, in cui è presente Santa Monica: Gasoline. Dopo la notevole apertura con Haiting Hollywood, una canzone energica che riflette in pieno lo stile dei TOAD, vi sono due canzoni che tardano a far decollare l'album, No Way Out e No Surprise (peccano di originalità).Poi si entra nel vivo dell'album con la splendida Quiver e con Santa Monica, col suo ritornello impossibile da dimenticare è il primo capolavoro dell'album.
    Better Off poi, con il suo ritornello molto orecchiabile, potrebbe essere scelta come secondo singolo. Say Goodbye apre una serie di quattro canzoni molto belle, tra cui Hello Lonely, la mia preferita, che parla della fine di un amore molto triste, con una melodia che ti rimane nel cervello per mesi e mesi. La traccia finale In The Middle riesce a emozionare come poche altre, anche grazie all'abilita' di Tyler Connoly di variare timbro vocale a seconda delle caratteristiche del brano. Insomma questo Gasoline, nel suo piccolo, rappresenta un capolavoro a cui dovrebbero tutti dare un ascolto, perche' potrebbe stupire


  13. #43
    Kelvan
    Ospite
    System Of A Down – Hypnotize
    Crossover
    2005






    1. Attack
    2. Dreaming
    3. Kill Rock ‘n Roll
    4. Hypnotize
    5. Stealing Society
    6. Tentative
    7. U-Fig
    8. Holy Mountains
    9. Vicinity of Obscenity
    10. She’s Like Heroin
    11. Lonely Dat
    12. Soldier Side

    Serj Tankian: Voce,Tastiera
    Shavo Odadjian: Basso
    Daron Malakian: Chitarra,Voce
    John Dolmayan: Batteria



    I quattro armeno - losangelini con i loro precedenti lavori avevano dimostrato di saperci fare con il crossover.Prima l'omonimo album,appunto System of a Down,con tonalità grezze e dure;
    Toxicity,vera pietra miliare del genere;poi Steal This Album! un album che non sembrerebbe essere composto da scarti,anzi tutt'altro.
    Arrivati nel 2005 pubblicano Mezmerize,valutato come la maturazione del suono dei SOAD. Ora tutti si aspettavano calma piatta magari fino al 2006,ma non contenti pubblicano un altro CD: Hypnotize.
    Si parte con un pezzo adrenalinico tipico dei System of a Down,Attack,composto da parti melodiche e lente a parti tiratissime e veloci. Si procede con la cupa Dreaming,un vero capolavoro di sovrapposizioni di voci tra il chitarrista dei SOAD,Daron Malakian,dalla voce più fine rispetto al cantante,Serj Tankian,con una voce calda e particolare. Il terzo pezzo è Kill Rock 'n Roll,una vera bomba ad orologeria pronta a scoppiare,peccato per la breve durata del brano. La title track,Hypnotize,dura poco piu' di 3 minuti ma riesce a prendere l'ascoltatore facendo ripetere il ritornello già dalla prima volta che si ascolta.
    I successivi brani sono Stealing Society,Tentative e U-Fig,pezzi con testi pungenti,come da tradizione, ma che continuano la striscia positiva delle canzoni dell'album. L'ottavo brano dell'album è Holy Mountains,caratterizzata dal ritornello tagliente rispetto a tutto il brano.Passiamo all'ironica e matta Vicinity of Obscenity,piena di cambi di tempo che la caratterizzano,davvero geniale.L'album si chiude con She's Like Heroins,Lonely Day,da cui è stato tratto l'ultimo video e la splendida Soldier Side,presente come formato ridotto in Mezmerize.

    Come giudizio finale,Hypnotize è un ottimo album,al livello di Toxicity e dà una boccata d'aria al campo del Crossover,i quali gruppi sembrano a corto d'ispirazione.


  14. #44
    Kelvan
    Ospite
    Faith No More - Angel Dust
    Crossover
    1992






    1. Land Of Sunshine
    2. Caffeine
    3. Midlife Crisis
    4. RV
    5. Smaller And Smaller
    6. Everything's Ruined
    7. Malpractice
    8. Kindergarten
    9. Be Aggressive
    10. A Small Victory
    11. Crack Hitler
    12. Jizzlobber
    13. Midnight Cowboy
    14. Easy


    L’album che mi appresto a recensire mi ha accompagnato in un periodo piuttosto difficile e particolare della mia vita,quindi si può facilmente cogliere che ho qualche favoritismo verso questo cd.Comunque cercherò di essere obbiettivo al massimo,anche se,ovviamente,terrò conto del fatto che questo cd può scatenare diverse emozioni.Ah,ancora una piccola premessa: ho la versione senza la cover di Easy(per fortuna…l’altra edizione la reputo una mera trovata commerciale per permettere all’album di avere un suo singolo da sbandierare…).

    Innanzitutto andiamo ad analizzare la copertina,poiché ci dice già molto di ciò che ci aspetta al momento dell’ascolto: sul davanti vi è un meraviglioso cigno che tende le sue ali,e si mostra in tutto il suo splendore.
    Tutto ciò potrebbe portarci alla mente pensieri superbi,dove la maestosità regna sovrana.Ma cosa ci aspetta nel retro?Nel retro ci aspetta la visione di diversi animali scuoiati e appesi a testa in giù.Un immagine freddissima,che,contrapposta a quella del cigno,si presenta assolutamente cruda.

    Cruda come quest’album,d'altronde!Ma non pensate che questo sia un difetto,poiché questo cd è impregnato di una crudezza avvolgente,intrisa di emozioni.Una crudezza che si può manifestare in risate sarcastiche,come nel caso della canzone d’apertura,Land Of Sunshine,che ci proietta in un mondo fatto di tristezza,depressione e rabbia.Un mondo freddo e caldo allo stesso tempo.Un mondo sporco e pulito.Un mondo soffocante.Le risate malefiche e psicopatiche,i “does life seems worthwide to you?” domandati ripetutamente,le richieste di aiuto…bhè,tutto ciò congela anche il cuore più caldo,e ci fa capire che questo cd non ci lascerà scampo.La canzone successiva è anch’essa terribilmente depressa.Mika Patton ,con un camaleontismo più unico che raro,difficilmente è riconoscibile rispetto a quello di The Real Thing,e in questa canzone,come in quasi tutte di questo cd,da sfogo alle sue immensa abilità canore,utilizzando anche urla sguaiate (“I’m warning youuu!!!”)d’effetto.
    Finita Caffeine,è il turno di Midlife Crisis,il quale titolo dice già tutto e può essere usato per rappresentare tutto il cd.Un crossover non lontanissimo da quello classico dei Faith No More,ma non per questo monotono,anzi!
    Andando avanti,ecco che si presenta quello swing rockeggiante di R.V.,che parla della monotonia e pericolosità che può assumere un matrimonio.L’album continua con le splendide Smaller And Smaller e Everithing’s Ruined,poi ecco arrivare Kindergarten e Be Aggressive,quest’ultima con tanto di cori di ragazze pon pon che inneggiano all’essere aggressivi,e Malpraticte,ricca di effetti e dominata dalla voce,qui quasi degna del Death Metal,dello sempre splendido Mike.Immancabile pure Kindergarten,forse la più melodica del cd.Ma una menzione particolare la merita A Small Victory,forse l’unica canzone che lascia un po’di speranza e di ottimismo(“I might beat you”).Questa canzone non è affatto la mia preferita(non ho mai canzoni preferite),però la innalzo rispetto alle altre per il messaggio che esprime.Infatti,se tutto l’album è impregnato di tristezza,ed è portavoce dell’ineluttabile sconfitta dell’uomo,questa canzone invece mostra che una vittoria,seppur piccola,la si può sempre ottenere.Non pensiate che questo sia buonismo o mera ipocrisia moralista,poiché è tutto al di fuori di questo.E’ una specie di giornata di sole dopo 2 mesi di tempesta…
    Ma,approposito di tempesta,ecco che Crack Hitler torna ai fasti di un tempo,con una musica cupa e (quasi) sgradevole,arricchita addirittura da cori nazisti.Finita questa,arriva una canzone incredibile.Se A Small Victory era l’apice dell’ottimismo Angeldustiano, Jizzlobber(questo il titolo della traccia 12) è sicuramente il culmine pessimistico.Una canzone aspra,selvaggia,dominata dalle urla dal contenuto Freudiano (“I am what i have done!”) del solito Patton.Inoltre è una delle poche canzoni di quest’album a lasciare un po’ di spazio al buon Jim Martin(chitarra),che per tutto l’album ha avuto un ruolo quasi marginale.Conclusa la canzone,ci si sente spezzati,presi a pugni,distrutti.Rimane un senso di depressione aspra,incurabile…Ma la tempesta è finita,ora è il tempo di rilassarsi con la strumentale Midnight Cowboy,che ci culla fino a quando il cd non smetterà di girare nel nostro stereo.

    Che dire,il mio giudizio finale non può che essere STRAPOSITIVO.Angel Dust è,a parer mio,un capolavoro,che tratta di argomenti molto profondi con una maestria ammirevole.Un concept album che ci presenta un dramma umano,dove il buonismo e i teneri coniglietti non trovano spazio.E’ il ritratto aspro e crudo della depressione cronica.Forse,in questa recensione ho analizzato poco la bellezza “musicale” del cd,soffermandomi molto di più sui testi e sul significato di ogni canzone.Bhè,sappiate che musicalmente non delude affatto.Mike Patton è il leader indiscusso di questo cd,e ci permette di apprezzarlo al massimo.Una sola precisazione:se cercate il motivetto fischiettabile,statene lontani.O sennò,prendetevi la versione con Easy(phua…).


  15. #45
    Kelvan
    Ospite
    Angelica Sauprel Scutti - Pomeriggi Similabissali
    Rock/Trip-Hop
    2006






    1. Make Love With (Allumettes Muller Version)
    2. Allumettes
    3. Par Avion
    4. Alien Taxi
    5. Init
    6. E' Tempo
    7. A.M.
    8. Accalappiacani
    9. Poco Importante
    10. Penny Arcades
    11. Al Docks
    12. Guarda, Impara, Ricorda
    13. White-Hole Hortensia
    14. Alien Taxi (versione strumentale)

    Angelica Sauprel Scutti: voce; cori; chitarre; pianoforte; flauto; noises; sintetizzatori; organo, programmazione strumenti a corde e Sequencer.
    Alessandro D. Canini: basso; batteria.



    Se descrivere un album che segue i canoni normali di un genere è difficile, descriverne uno che si allontana, ma che allo stesso tempo attinge un po’ da tutti, lo è ancora di più. Questo è il caso di “Pomeriggi Similabissali” di Angelica Sauprel Scutti: il suo primo vero lavoro (ha pubblicato il singolo “In Una Città” nel 2004) si presenta così alla scena Italiana, portando praticamente tutto ciò che i così detti “grandi” artisti nostrani del periodo attuale non sono in grado di dare: sperimentazione. L’album, suddiviso in ben 14 brani, propone tanta di quella varietà che sarebbe necessario un’attenta analisi brano per brano, ma cercherò di esprimere un po’ quello che è il senso generale.

    Come è facile notare subito, la nostra artista si dedica a tutti i campi della propria musica (anche se approfitta in qualche pezzo della partecipazione di alcuni musicisti): voce, chitarre, pianoforte, sintetizzatore, insomma, una vera Artista dalla A maiuscola. Non ha infatti, necessariamente bisogno di cantare per farci entrare in quello che è il suo mondo, il suo pomeriggio similabissale che può essere rappresentato perfettamente da un vortice in continuo movimento, caratterizzato da correnti forti e da altre più lente. Così si dischiude la melodia di “Allumettes” e “Par Avion” (traccia che, al primo ascolto, mi ha fatto pensare subito a “Mojo Pin” di Jeff Buckley), tra giochi di suoni che si fondono con la sua voce calda e giri di chitarra molto easy listening. Per quanto il risultato sia del tutto nuovo, è facile notare come ci siano alcuni artisti ad ispirare particolarmente Angelica: primi fra tutti Bob Dylan e Nick Cave a farla da padroni in brani quali “Accalappiacani” o “Poco importante”, per passare poi ai Cure; ma probabilmente chi è più facilmente ritrovabile tra le note della Scutti è l’Islandese Bjork: melodie oniriche e altalenanti che si mescolano a particolari effetti sonori e di voce. Un grande pregio però la discosta dalla cantante Islandese: Angelica da sfogo alla propria vena rock senza troppi problemi. E’ così che nascono “E’ Tempo” e “Penny Arcades”, senza dimenticare le differenti influenze del periodo psichedelico percepibili a sprazzi insieme al Trip-Hop di stampo europeo in diversi brani come “Ai Docks” e “Alien Taxi” (presente anche come traccia solo strumentale alla fine del disco).

    Insomma, il senso complessivo dell’album è più che positivo e la prima prova di quest’artista risulta superata con voti abbastanza alti. Se però bisogna muoverle una critica, l’unica possibile è quella di avere un pubblico generale troppo attaccato agli standard musicali che difficilmente potrebbe accettare un disco tanto vario quanto bello come “Pomeriggi Similabissali”. Così come mi auguro che riceva i giusti onori e meriti per questo disco (e i prossimi se mantenuti su questo livello di qualità), allo stesso tempo spero che una “Par Avion” o “Penny Arcades” non diventino hit da radio per la loro semplicità e ritmo orecchiabile. Senza volerle sminuire chiaramente, visto anche che sono due delle mie preferite dell’album.
    Un disco da ascoltare attentamente quindi, almeno per chi vuole gustarselo nel profondo e perdersi nei pensieri di chi ha veramente molto da dire.


Pag 3 di 7 PrimoPrimo 123456 ... UltimoUltimo

Regole di Scrittura

  • Tu non puoi inviare nuove discussioni
  • Tu non puoi inviare risposte
  • Tu non puoi inviare allegati
  • Tu non puoi modificare i tuoi messaggi
  •