[1]Un topoc un po' Blues & Surreale - Pag 30
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Discussione: [1]Un topoc un po' Blues & Surreale

Cambio titolo
  1. #436
    Ultimamente mi sono chiesto quanto possa cambiare la visione soggettiva della poesia nel corso del tempo. Ho quindi ripreso in mano una vecchia poesia qui postata e l'ho riscritta come la scriverei adesso.

    Spoiler:
    Sorridente il cadavere giace I Versione [22 dicembre 2006]
    E’ l’esplosione del buio.
    Sorridente il cadavere giace sotto la pioggia provocata dalla Lunaaaaaaa!
    Triste il suo CAMMINO, triste il suo cammino, sorridente il suo cammino.
    Prego, Madama, tu che in alto stai e risplendi sulla città
    Prego, Falce di Morte, l’infinità con te.
    Gocce che cadono e rimbombano nel silenzio là vicino al morto che ride con gli occhi rivoltati.
    Bagnata, bagnata, la tua figa bagnata, e lasciata, lasciata, dalla luna baciata.
    E triste nella condizione di ridente cadavere cadaverica danza macabra di gocce che ridono nel pianto angosciato
    la Luna, la Luna ci guarda; guarda la Luna ci guarda!
    Sorridente il cadavere
    giace
    sotto la pioggia e guarda all’insù, con gli occhi rivol... ributtanti rivoltanti rivolti all’insù.
    Bianco il tuo viso senza lacrima o sorriso in eternafinta oscurità.
    E sorridente il cadavere giace sotto la pioggia provocata dalla Luna, sorridente mi sente venire, e sorridente la Luna chiude gli occhi.
    Sorridente il cadavere ascolta le sua urla e sorridente sorride (alla Luna) all’esplosione del buio.


    Sorridente il cadavere giace II Versione [22 marzo 2009]
    Sorridente il cadavere giace
    Esplosione nel buio, quieta morte
    Chi mai potrà essere più forte
    Della pioggia che non conosce pace?

    Triste ed oscuro il tuo cammino,
    Madama Luna, che bieca risplendi,
    Nel delirio l’arrivo attendi
    Il cadavere, sempre più vicino.

    Le gocce cadono e nel fetore
    Una danza macabra ti scandisce
    Il tramonto della nera vittoria.

    Ma il cadavere abbi in gloria!
    Che sotto gli occhi seccati gioisce
    Nel trionfo del tuo scuro bagliore.
    La pazzia dilagherà... un giorno...

  2. #437
    Hebes
    Ospite
    bei momenti, nella valle...


    io ho avuto questa sensazione: la prima versione mi ricorda più una visione che una poesia. l'ho immaginata nudo sul tetto della sua casa, mentre agitava le mani nel vano tentativo di afferrare dei grilli invisibili. una visione mistica o un'allucinazione. ieri per esempio cossi il semolino nel brodo e durante la cottura aggiunsi della salsa indiana estremamente piccante, una salsa che ho scoperto grazie a claudio chianese. il vapore sprigionato dalla cottura era allucinogeno e respirarlo rendeva allegri.

    la seconda versione, invece, è una vera e propria poesia. è bella, ma non mi ha emozionato come la prima versione, credo che il semolino abbia influito.

  3. #438
    Surrealismo Esasperato; Baby Lemonade
    Il sole sta lentamente calando. Le ultime case in cima sono ancora dorate, ma fra pochi minuti saranno nella tenebra, il loro meritato scenario. Non si sente alcun rumore, mentre attorno a me fantasmi di bambini giocano a palla per strada: sono i miei ricordi.
    Nel paese non c’è quasi più nessuno; rimangono gli ultimi vecchietti, sempre più pochi. Rimango io, che non parlo con nessuno perché non so più parlare. E non voglio imparare, non è necessario.
    Il vento tra i miei capelli è caldo, è tipico vento di estate, ma dentro sento un brivido. Sono spariti i fantasmi dei bambini, è giunta la sera. Sempre più vicino è il loro arrivo.
    So che fra poco non ci sarà nessuno a conservare la storia di questo paese, la storia delle vite che si sono succedute e che hanno camminato su queste strade, ormai dismesse, e che hanno vissuto in queste case, ormai ridotte a ruderi. Presto arriveranno e porteranno via anche noi. La cosa che più mi fa paura è questa, il fatto che la storia ci inghiottirà senza lasciare traccia. Chi verrà dopo di noi? Non mi è dato saperlo. Ma chiunque arriverà non potrà che presumere ciò che ci è capitato, e non credo che indovinerà, dato che non rimarranno testimonianze visibili.
    Per prima cosa hanno portato via i maschi e le femmine sani tra i venti e i trent’anni, poi hanno ampliato sempre più il limite d’età, tenendo per ultimi i vecchi ed io, che dapprima ero stato scartato e poi mi ero rifugiato in un eremo in montagna, riuscendo a nascondermi dai loro mezzi per via del fatto che ero coperto da rocce piene di ferro, che probabilmente mi hanno schermato dalle apparecchiature.
    Dalla cima dello spuntone di roccia dove ero nascosto vedevo le orrende astronavi di metallo scendere velocemente, seguite da una marea di globi, navicelle che arpionavano la gente con i loro artigli di ferro. Tutte e quattro le volte che sono venuti, la prima venticinque anni fa, era praticamente impossibile fuggire: calavano in massa. Le astronavi risucchiavano, i globi rapivano. Da lontano i globi sembravano mosche che ronzavano attorno ai falchi rilucenti. In terra gli alieni sbarcati sterminavano chi cercava di lottare, i bambini ed i malati, che non servivano. In due ore o poco meno riuscivano a portare nello spazio tantissima gente, destinata chissà dove, chissà per quale scopo. Dall’altra parte della montagna, vedevo anche l’altro paesino, di quattromila abitanti. La modalità era la stessa: i mezzi di meno. Gli attacchi erano sincronizzati.
    Posso essere felice per la terra, levata dal gravoso peso dell’umanità, ma malinconico per l’umanità stessa ed anche per il mio destino. Ma non ne ho paura; la storia è l’unica paura. Mi piacerebbe essere questo eremo per poter vedere cosa cambierà nelle albe a venire e per vedere se qualcuno prenderà il nostro posto, anche se spero di no; tuttavia spero che loro, i clowns, non si siederanno sul nostro trono. Noi l’abbiamo guadagnato lottando e distruggendo solo in seguito, loro lo usurperebbero in maniera ancor più tremenda.
    Se i miei calcoli sono giusti i clowns arriveranno tra pochi giorni, o tra pochi mesi, non che cambi molto. La quinta discesa. Stavolta temo che non rimarrà nessuno, neanche io. Ho scelto che non potrò stare qua; se abbiamo meritato questo, e se così è stato profetizzato millenni or sono, il mio posto non potrà essere questo. Ho già rimandato molte volte, ma ormai è scesa l’ultima notte anche per me. Distrutto, freddo, malato, andrò con loro ed accetterò il destino riservato alla razza umana. Il destino che si è meritata nel corso della storia.
    La pazzia dilagherà... un giorno...

  4. #439
    L’angelo
    La gente pensa d'essere più di ciò che è; in questo modo non raggiunge la serenità.
    Questo pensavo, mentre stavo seduto su una vecchia panca di legno nella basilica di San Lorenzo. Avevo perso il conto degli anni, ma ricordavo bene moltissime cose. La basilica era una delle costruzioni che non erano state distrutte; mi chiedevo se fosse stata la mano di Dio ad averla protetta. Sant’Ambrogio, il Duomo, la metropolitana, la stazione, tutto distrutto anni fa. La vita divelta: San Lorenzo no, rimaneva in piedi portandosi dentro la storia, portandosi dentro i suoi misteri ed i milleseicento anni.
    Lei soffriva ma non mi aveva scelto. Ne ebbi la conferma definitiva una sera di luglio, mentre con l’armonica dipingevo note sgangherate e stonate, volendo sputarle in faccia agli angeli. A lei.
    In effetti per me era proprio un angelo, ma si trasformò in diavolo parecchie volte, ricomparendo come un angelo: confuso, non capivo, perdevo tempo a guardare le nuvole vedendo lei. La verità invece non riuscivo e non volevo vederla. Tutto tempo perso.
    La felicità, mi diceva, la felicità non la trovava, la felicità era per lei l’amore. Cercavo di avvicinarmi e si ritraeva. Mi mettevo davanti ma non mi vedeva.
    Io pensavo che si potesse chinare il capo ai propri sogni dorati per ritagliarsi un proprio umile spazio sereno, lei mi dimostrò che era invece possibile rimanere legati a catene d’acciaio, urlando e piangendo, gridando e pregando.
    Certo non ero uno stilnovista, e certo non ero uno sveglio. Dopo aver capito la sua decisione mi fermai a riflettere su un prato. Non avevo le braccia forti, ero brutto ed abbastanza incurante del mondo che mi circondava: il mio microcosmo era una palla di vetro con nuvole, erba, alberi e cose del genere. Troppo deprecabile; non avevo neanche una Mini Cooper S!
    Soffrendo capii infine che in effetti ero sereno così, ma non mi toglievo dalla testa quel diavolo. Anzi, si può proprio dire che soffrivo più per il fatto che non riuscivo a togliermela dalla testa, più che per il fatto che non l’avrei posseduta.
    Poi arrivò la guerra, il mondo cambiò. Non cambiò certo il pensiero umano, non cambiarono nemmeno i miei sentimenti. Lei, da quel che so, partì per Milano dopo aver conosciuto un ragazzo con le braccia grosse, io me ne restai sulle montagne. Lei crepò sotto i bombardamenti, io mi salvai senza nemmeno desiderarlo più di tanto. Il fatto che tutto stava mutando non m’importava poi molto: dormivo in un vecchio convento ed ogni tanto sentivo gli aerei passare sopra. Non buttavano giù niente, anche se mi avvistavano, non colpivano. Chi mai può fregarsi di un convento dell’XI secolo e di un tizio con le braccia non grosse che camminava con un bastone?
    Passarono gli anni ed anche chi ci conquistò perì sotto le bombe altrui, e così via. Ormai di gente ce n’era poca. Fui fatto prigioniero perché mi trovarono in paese, ma non mi fecero fare lavori pesanti perché non avevo le braccia grosse, o una Mini Cooper S, o gli occhiali neri di chissà quale marca.
    Ma alla fine mi ritrovai libero, perché la malattia non mi colpì. Devo proprio pensare che pure la grande malattia non voleva avvicinarsi ad uno con le braccia non grosse e senza la Mini Cooper.
    Ed anche la morte non ricambiò il mio amore. Neanche un po’. E facevo l’accostamento, mentre camminavo per Milano (ironia della sorte, mi portarono proprio lì) sotto la pioggia acida. Pensavo che era certo brutto non essere ricambiati, ma quel neanche un po’ era proprio una mazzata. E poi anche il fatto che non si era preoccupata di come ci rimasi, ma del fatto che non amava queste situazioni. Ma questo lo venni a sapere dopo, più o meno quando morì.
    Nella basilica di San Lorenzo vedevo il mio nome intagliato sulla panca e pensavo a queste cose, un po’ come quando pensavo a lei guardando le nuvole. Non pensavo ai rumori che sentivo, neanche quando l’intonaco mi si posò sugli stracci di vestito.
    Pensavo invece alla reazione che ebbi al tempo, cioè di scegliere la mia natura anziché correre dietro ad angeli ignobili, pieni di tristezza in cui si beavano. Erano gli angeli della tristezza, le loro ali battevano piano, perché sotto quelle spoglie si trovavano esseri senza essenza.
    Sorridevo quando mi crollò la basilica addosso: finalmente la morte mi aveva accettato, finalmente avevo smesso di pensare all’angelo.
    La pazzia dilagherà... un giorno...

  5. #440
    Cicileo Marioli L'avatar di ciciLEO!!
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    parecchio blues quest'ultimo brano

  6. #441
    Prometto che recupero qualche racconto, Bob's. A costo di diventare come lei:

    [YOUTUBE]h6DhdV8Q_wQ[/YOUTUBE]

    "Vesto assai elegante" [cit.]

  7. #442
    Donna

    Frattaglie putride, destini marci;
    Perdite di sangue senza lavarsi.
    Odore di figa e culi lerci,
    Ansimare leggero alternarsi.

    Buono, buono, vai col pene avanti!
    Trema e capisci che sei infetto!
    Divini i coglioni galoppanti,
    Porta morte dallo scroto al letto.

    Una goccia di merda nella marea;
    Salmastra palude, peli e fango,
    Rantolar contento, nero delirio;

    Vomito, piedi, osceno ludibrio.
    Ad ammirarti assorto rimango
    Nel folle circo della mia idea

    Oh mia dea,
    sporca
    ma donna!
    Alessio G. Gobbi (Skop’s)
    12/07/2009
    Revisione: 1/08/2009
    La pazzia dilagherà... un giorno...

  8. #443
    Idiots are taking over... L'avatar di ThaniloMatahard
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    ...profonda
    Non vi è libertà ogni qual volta le leggi permettono che in alcuni eventi l'uomo cessi di essere persona e diventi cosa
    Cesare Beccaria



  9. #444
    Citazione ciciLEO!! Visualizza Messaggio
    parecchio blues quest'ultimo brano
    Però c'è anche la Mini Cooper S
    Citazione ThaniloMatahard Visualizza Messaggio
    ...profonda
    Aahahahahahaha devo aspettare ottobre e poi vedrò le reazioni di alcune ragazze cittadine alla lettura di questo sonetto non molto ortodosso.
    Missà che ho cannato due endecasillabi o_O

    Una goccia di merda nella marea descrive pienamente la condizione dell'uomo e della donna, oltre ai giochi sessuali con la merda.

    Il verso 7 in realtà era "vieni in culo ai tirocinanti", ma era fuori contesto. Tuttavia noto ora che adesso il legame con il verso 8 non va bene perché poi sembra che si parli dei coglioni, quindi bisognerebbe mettere "portano" anziché porta. Solo che io intento proprio la persona in sé, il verso 7 l'ho messo solo per togliere un verso fuori contesto che faceva entrare nel sonetto dei personaggi che non c'entravano per niente.
    Ultima modifica di Lord Skop's; 1-08-2009 alle 14:17:43
    La pazzia dilagherà... un giorno...

  10. #445
    Cicileo Marioli L'avatar di ciciLEO!!
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    Lei è maledetto Skop's, maledetto ora e sempre.

  11. #446
    Mr.November L'avatar di andr3a22
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    Frattaglie putride, destini marci;
    Perdite di sangue senza lavarsi.
    Odore di figa e culi lerci,
    Ansimare leggero alternarsi.

    Buono, buono, vai col pene avanti!
    Trema e capisci che sei infetto!
    Divini i coglioni galoppanti,
    Porta morte dallo scroto al letto.

    Una goccia di merda nella marea;
    Salmastra palude, peli e fango,
    Rantolar contento, nero delirio;

    Vomito, piedi, osceno ludibrio.
    Ad ammirarti assorto rimango
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    strana, ma bella

    Chapapa!

  12. #447
    Adiyiah vincitore morale L'avatar di piercarmelo
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    Frattaglie putride, destini marci;
    Perdite di sangue senza lavarsi.
    Odore di figa e culi lerci,
    Ansimare leggero alternarsi.

    Buono, buono, vai col pene avanti!
    Trema e capisci che sei infetto!
    Divini i coglioni galoppanti,
    Porta morte dallo scroto al letto.

    Una goccia di merda nella marea;
    Salmastra palude, peli e fango,
    Rantolar contento, nero delirio;

    Vomito, piedi, osceno ludibrio.
    Ad ammirarti assorto rimango
    Nel folle circo della mia idea

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    Alessio G. Gobbi (Skop’s)
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    Immagino scenari epici in qusta poesia, e mi sento come un divin coglione galoppante.
    Toccante.

  13. #448
    Villano L'avatar di Jurambalco
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    Surrealismo Esasperato; Baby Lemonade
    Il sole sta lentamente calando. Le ultime case in cima sono ancora dorate, ma fra pochi minuti saranno nella tenebra, il loro meritato scenario. Non si sente alcun rumore, mentre attorno a me fantasmi di bambini giocano a palla per strada: sono i miei ricordi.
    Nel paese non c’è quasi più nessuno; rimangono gli ultimi vecchietti, sempre più pochi. Rimango io, che non parlo con nessuno perché non so più parlare. E non voglio imparare, non è necessario.
    Il vento tra i miei capelli è caldo, è tipico vento di estate, ma dentro sento un brivido. Sono spariti i fantasmi dei bambini, è giunta la sera. Sempre più vicino è il loro arrivo.
    So che fra poco non ci sarà nessuno a conservare la storia di questo paese, la storia delle vite che si sono succedute e che hanno camminato su queste strade, ormai dismesse, e che hanno vissuto in queste case, ormai ridotte a ruderi. Presto arriveranno e porteranno via anche noi. La cosa che più mi fa paura è questa, il fatto che la storia ci inghiottirà senza lasciare traccia. Chi verrà dopo di noi? Non mi è dato saperlo. Ma chiunque arriverà non potrà che presumere ciò che ci è capitato, e non credo che indovinerà, dato che non rimarranno testimonianze visibili.
    Per prima cosa hanno portato via i maschi e le femmine sani tra i venti e i trent’anni, poi hanno ampliato sempre più il limite d’età, tenendo per ultimi i vecchi ed io, che dapprima ero stato scartato e poi mi ero rifugiato in un eremo in montagna, riuscendo a nascondermi dai loro mezzi per via del fatto che ero coperto da rocce piene di ferro, che probabilmente mi hanno schermato dalle apparecchiature.
    Dalla cima dello spuntone di roccia dove ero nascosto vedevo le orrende astronavi di metallo scendere velocemente, seguite da una marea di globi, navicelle che arpionavano la gente con i loro artigli di ferro. Tutte e quattro le volte che sono venuti, la prima venticinque anni fa, era praticamente impossibile fuggire: calavano in massa. Le astronavi risucchiavano, i globi rapivano. Da lontano i globi sembravano mosche che ronzavano attorno ai falchi rilucenti. In terra gli alieni sbarcati sterminavano chi cercava di lottare, i bambini ed i malati, che non servivano. In due ore o poco meno riuscivano a portare nello spazio tantissima gente, destinata chissà dove, chissà per quale scopo. Dall’altra parte della montagna, vedevo anche l’altro paesino, di quattromila abitanti. La modalità era la stessa: i mezzi di meno. Gli attacchi erano sincronizzati.
    Posso essere felice per la terra, levata dal gravoso peso dell’umanità, ma malinconico per l’umanità stessa ed anche per il mio destino. Ma non ne ho paura; la storia è l’unica paura. Mi piacerebbe essere questo eremo per poter vedere cosa cambierà nelle albe a venire e per vedere se qualcuno prenderà il nostro posto, anche se spero di no; tuttavia spero che loro, i clowns, non si siederanno sul nostro trono. Noi l’abbiamo guadagnato lottando e distruggendo solo in seguito, loro lo usurperebbero in maniera ancor più tremenda.
    Se i miei calcoli sono giusti i clowns arriveranno tra pochi giorni, o tra pochi mesi, non che cambi molto. La quinta discesa. Stavolta temo che non rimarrà nessuno, neanche io. Ho scelto che non potrò stare qua; se abbiamo meritato questo, e se così è stato profetizzato millenni or sono, il mio posto non potrà essere questo. Ho già rimandato molte volte, ma ormai è scesa l’ultima notte anche per me. Distrutto, freddo, malato, andrò con loro ed accetterò il destino riservato alla razza umana. Il destino che si è meritata nel corso della storia.
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    L’angelo
    La gente pensa d'essere più di ciò che è; in questo modo non raggiunge la serenità.
    Questo pensavo, mentre stavo seduto su una vecchia panca di legno nella basilica di San Lorenzo. Avevo perso il conto degli anni, ma ricordavo bene moltissime cose. La basilica era una delle costruzioni che non erano state distrutte; mi chiedevo se fosse stata la mano di Dio ad averla protetta. Sant’Ambrogio, il Duomo, la metropolitana, la stazione, tutto distrutto anni fa. La vita divelta: San Lorenzo no, rimaneva in piedi portandosi dentro la storia, portandosi dentro i suoi misteri ed i milleseicento anni.
    Lei soffriva ma non mi aveva scelto. Ne ebbi la conferma definitiva una sera di luglio, mentre con l’armonica dipingevo note sgangherate e stonate, volendo sputarle in faccia agli angeli. A lei.
    In effetti per me era proprio un angelo, ma si trasformò in diavolo parecchie volte, ricomparendo come un angelo: confuso, non capivo, perdevo tempo a guardare le nuvole vedendo lei. La verità invece non riuscivo e non volevo vederla. Tutto tempo perso.
    La felicità, mi diceva, la felicità non la trovava, la felicità era per lei l’amore. Cercavo di avvicinarmi e si ritraeva. Mi mettevo davanti ma non mi vedeva.
    Io pensavo che si potesse chinare il capo ai propri sogni dorati per ritagliarsi un proprio umile spazio sereno, lei mi dimostrò che era invece possibile rimanere legati a catene d’acciaio, urlando e piangendo, gridando e pregando.
    Certo non ero uno stilnovista, e certo non ero uno sveglio. Dopo aver capito la sua decisione mi fermai a riflettere su un prato. Non avevo le braccia forti, ero brutto ed abbastanza incurante del mondo che mi circondava: il mio microcosmo era una palla di vetro con nuvole, erba, alberi e cose del genere. Troppo deprecabile; non avevo neanche una Mini Cooper S!
    Soffrendo capii infine che in effetti ero sereno così, ma non mi toglievo dalla testa quel diavolo. Anzi, si può proprio dire che soffrivo più per il fatto che non riuscivo a togliermela dalla testa, più che per il fatto che non l’avrei posseduta.
    Poi arrivò la guerra, il mondo cambiò. Non cambiò certo il pensiero umano, non cambiarono nemmeno i miei sentimenti. Lei, da quel che so, partì per Milano dopo aver conosciuto un ragazzo con le braccia grosse, io me ne restai sulle montagne. Lei crepò sotto i bombardamenti, io mi salvai senza nemmeno desiderarlo più di tanto. Il fatto che tutto stava mutando non m’importava poi molto: dormivo in un vecchio convento ed ogni tanto sentivo gli aerei passare sopra. Non buttavano giù niente, anche se mi avvistavano, non colpivano. Chi mai può fregarsi di un convento dell’XI secolo e di un tizio con le braccia non grosse che camminava con un bastone?
    Passarono gli anni ed anche chi ci conquistò perì sotto le bombe altrui, e così via. Ormai di gente ce n’era poca. Fui fatto prigioniero perché mi trovarono in paese, ma non mi fecero fare lavori pesanti perché non avevo le braccia grosse, o una Mini Cooper S, o gli occhiali neri di chissà quale marca.
    Ma alla fine mi ritrovai libero, perché la malattia non mi colpì. Devo proprio pensare che pure la grande malattia non voleva avvicinarsi ad uno con le braccia non grosse e senza la Mini Cooper.
    Ed anche la morte non ricambiò il mio amore. Neanche un po’. E facevo l’accostamento, mentre camminavo per Milano (ironia della sorte, mi portarono proprio lì) sotto la pioggia acida. Pensavo che era certo brutto non essere ricambiati, ma quel neanche un po’ era proprio una mazzata. E poi anche il fatto che non si era preoccupata di come ci rimasi, ma del fatto che non amava queste situazioni. Ma questo lo venni a sapere dopo, più o meno quando morì.
    Nella basilica di San Lorenzo vedevo il mio nome intagliato sulla panca e pensavo a queste cose, un po’ come quando pensavo a lei guardando le nuvole. Non pensavo ai rumori che sentivo, neanche quando l’intonaco mi si posò sugli stracci di vestito.
    Pensavo invece alla reazione che ebbi al tempo, cioè di scegliere la mia natura anziché correre dietro ad angeli ignobili, pieni di tristezza in cui si beavano. Erano gli angeli della tristezza, le loro ali battevano piano, perché sotto quelle spoglie si trovavano esseri senza essenza.
    Sorridevo quando mi crollò la basilica addosso: finalmente la morte mi aveva accettato, finalmente avevo smesso di pensare all’angelo.
    Queste due alla fin fine le vedo molto simili, anche se mi è piaciuta di più la seconda, più uniforme forse. Va da se che effettivamente i temi sono diversi, però ho trovato molti passaggi e molti ragionamenti similari, n maniera gradevole.

    Non mi viene altro da dire, vorrei commentare rigo per rigo ma ho un po' di travagli per la testa. Suona un po' come una scusa, forse lo è.

    Citazione Lord Skop's Visualizza Messaggio
    Donna

    Frattaglie putride, destini marci;
    Perdite di sangue senza lavarsi.
    Odore di figa e culi lerci,
    Ansimare leggero alternarsi.

    Buono, buono, vai col pene avanti!
    Trema e capisci che sei infetto!
    Divini i coglioni galoppanti,
    Porta morte dallo scroto al letto.

    Una goccia di merda nella marea;
    Salmastra palude, peli e fango,
    Rantolar contento, nero delirio;

    Vomito, piedi, osceno ludibrio.
    Ad ammirarti assorto rimango
    Nel folle circo della mia idea

    Oh mia dea,
    sporca
    ma donna!
    Alessio G. Gobbi (Skop’s)
    12/07/2009
    Revisione: 1/08/2009
    Mi ricorda molto i pagliericci del circo con i pidocchi saltellanti e i trapezisti che si scopano le cammelle.

  14. #449
    Iride L'avatar di LowGmaN
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    Ora vi faccio leggere un dialogo spassoso che scrissi ad Alexander 11 in risposta alle sue offesse via MP:

    ASDRACAN BELOSANGUE
    Assasassamelz! Riguarda questa scopa ch'io pel suo manico nella destra stringo!

    ASSASASSAMELZ III
    Notabile daddovero! Onde la traesti?

    ASDRACAN BELOSANGUE
    La tolsi pagandola a caro prezzo in quel luogo ove mercatura fassi, dagli strani e dai terrazzani nomato Ipercoop

    ASSASASSAMELZ III
    Acquistandola io in altro loco ebbi modo di rispiarmar alcuni denari; e nondimeno non stette guari ch'essa si ruppe

    ASDRACAN BELOSANGUE
    Ehh, chi sparambia spreca...Orsù, poni giuso cotesta tua timoranza e ingiegnamoci di principar la lotta; io sono ad essa sempre mai apparecchiato

    ASSASASSAMELZ III
    la tua richiesta trova l'animo mio concorde, diasi pure inizio all'aspra battaglia


    FINE

  15. #450
    Grasso

    .....Pasquale era indubbiamente un brutto ragazzo, ma neppure tra i più brutti; l’aggravante, cioè ciò che lo rendeva ancor più brutto di quelli più brutti di lui era la sua obesità. Fin da ragazzino, si era abituato agli scherni dei suoi compagni, specialmente quando si faceva sport. Non visse una dura infanzia, in quanto era sostanzialmente una buona e socievole persona e sapeva stare agli scherzi. I problemi iniziarono durante l’adolescenza; in questa età, Pasquale capì di essere davvero da meno degli altri. Le risatine iniziavano ad essere molto più cattive, non veniva più invitato alle partite di calcetto, a scuola rimaneva relegato al suo banco, dove puntualmente la mattina trovava del formaggio o degli avanzi di pollo come scherno. Ma le cose peggiorarono ulteriormente quando lui e i suoi compagni iniziarono ad interessarsi delle ragazze. Gli amici di Pasquale si narravano delle prime uscite e delle prime avventure, vantandosi e pompando i racconti. Pasquale stava ad ascoltare nei primi tempi, ma poi iniziò a venire interrogato con sorriso beffardo dai compagni: arrossendo, batteva in ritirata. Nel giro di poco tempo, divenne lo zimbello della classe.
    .....In terza superiore, durante un convegno sull’energia eolica, i compagni, dal dietro, iniziarono a tirargli palline di carta e a urlargli frasi come «Ciccione dimmerda», «Faccio prima a saltarti che a girarti intorno», «Pasquale banane», «Pasquale mangia le uova, MANGIAMERDA». Pasquale era quasi in lacrime; pensava: “Perché il mondo mi fa questo?”, “Sono proprio così schifoso, da meritarmi tutto questo?” e frasi del genere. Il suo processo di umiliazione giunse a compimento ed iniziò a pensare di essere il peggiore, una merda, uno schifo d’uomo. Soffriva nella sua condizione, ingrassando sempre più; smise di lavarsi. Il suo ruolo sociale, era ormai quello.
    In quarta superiore, cercò di reagire a questo destino gramo, ma era troppo tardi. Durante l’utilissima ora di religione (utile naturalmente per sbeffeggiare Pasquale), i suoi compagni iniziarono a schernirlo, come loro solito, dicendo che puzzava, che si pisciava addosso, che passava le notti a mangiare tonno Rio Mare, macchiando il materasso di unto. Pasquale si sentì sempre più afflitto ed umiliato, ma questa volta notò scorrere in lui più rancore che frustrazione: si girò, guardando male il capetto di turno, di nome Mattia. Uno degli scagnozzi di Mattia urlò eccitato: «Si sta incazzando!»; questo voleva dire “continuiamo ad offenderlo sempre più, per vedere cosa combina (ah, le profonde dinamiche della società maschile!). Pasquale si girò e proseguì a leggere la Bibbia, meditando sui errori del Dio del Vecchio Testamento, quando un pezzo di scamorza gli finì nei capelli, lanciato da Antonio, uno smilzo coi capelli rossi e i denti gialli. Pasquale odiava che gli lanciassero cibo, anche perché poi gli veniva fame: ma soprattutto, odiava la scamorza. Si alzò quindi di scatto e sollevò la sedia verso Antonio, rimanendo così per un interminabile secondo, quale una statua greca, opera di uno scultore ubriaco, che non conosceva le proporzioni del corpo dell’uomo vitruviano. Tutta la classe si zittì e suor Rosamunda, anziana settantenne quasi del tutto sorda e cieca, che ignorava tutti gli scherni che il ragazzo era solito subire, si mise le mani sulle guance, dicendo « MISERICORDIOLA, cosa ti prende!». Pasquale tentennò, pensando “Ma così mi metto al loro livello” e, sbollitosi, abbassò la sedia, tra le fragorose risate della classe. Questo non gli evitò di prendere una nota e il suo voto in condotta da 9 passò a 7, tanto più che sua madre, che teneva molto alla scuola gli sottrasse i barattoli di Nutella™ dalla sua camera. Questo fatto (cioè l’umiliazione scolastica, ma anche la Nutella™ nascosta) influirono pesantemente sul suo comportamento ed iniziò ad isolarsi da tutti, passando le domeniche a giocare in rete senza neppure più andare a messa. Iniziò ad ascoltare musica satanica (cioè i Beatles e i Queen, satanica nel senso che fa schifo), trascurandosi ancor più. Non guardava più in faccia la gente, pensando che chiunque avesse il ruolo di torturarlo, di ricordargli quanto fosse grasso, brutto e stupido.
    ..... La gita di quinta superiore fu fatta assieme alle classi del liceo. Pasquale fu letteralmente costretto dalla madre ad andarci; la signora era infatti preoccupata dal fatto che suo figlio si vestiva di nero, indiscutibile segno di satanismo secondo Famiglia Cristiana. Sul pullman assistette a un bello spettacolo comico, solo che la vittima era -come sempre- lui. I ragazzi cantarono cori del tipo «Se facciamo l’incidente muore solo Pasquale e la pasta al dente!», «Pasquale vieni a pescare con noi, ci manca la balena!», insomma, i tipici cori dei ragazzi non molto colti, opera della fantasia poco feconda di Mattia. Le cose cambiarono in albergo; Pasquale conobbe Concetta, una ragazza del liceo bellissima, bruna e con il fisico da modella. Concetta si dimostrò davvero molto affettuosa con Pasquale, che nel giro di un giorno e tre birre, se ne innamorò. In realtà non si innamorò della sua bellezza; Pasquale si sarebbe innamorato pure di uno scorfano in malora, se gli avesse dimostrato un po’ di affetto, quell’affetto che gli era stato precluso fino ad ora. Concetta gli metteva la testa sulla spalla, lo prendeva a braccetto, ma non lo baciava mai; sapeva che avrebbe dovuto fare la prima mossa, ma come?
    .....Durante il terzo giorno della gita, Pasquale venne invitato in camera da Concetta, vestita in modo molto provocante e ammiccante: era bellissima, un angelo dai profondi occhi neri, dal profumo di seta d’oriente, dalla bocca invocante baci. Sudando come un Inuit in vacanza in Camerun, Pasquale entrò nella stanza e si tolse dubito la tuta macchiata di sugo, non per velocizzare il tutto, ma per via del caldo. Concetta era sdraiata sul letto con i capelli legati da una molletta, proprio da strappare coi denti per liberarglieli, come tutto l’amore che il Buon Pasquale si era tenuto dentro per anni. Ma esternamente, Pasquale tremava, chiedendosi “Ma perché proprio io? Lei potrebbe avere chiunque!”. La risposta arrivò presto: da dietro i due letti e dall’armadio uscirono molti ragazzi, tra cui i suoi compagni di scuola con una videocamera, con festoni carnevalizi e con pezzi di cibo tipo torrone, formaggio, patatine, vino, salame: tutto il cibo gli fu riversato addosso. Pasquale uscì piangendo dalla camera, ancora sporco di cibo e con la maglietta impregnata di sudore; fuori si erano radunate altre ragazze, che lo deridevano e lo additavano, perfino sua cugina Rosaria Fiorella. Pasquale si chiuse nella sua camera e finse un malore fino alla fine della gita. Tornato a casa, non parlò più con nessuno, tranne nelle occasioni in cui era obbligato a comunicare.
    ..... Diplomatosi con pessimi voti, Pasquale iniziò a lavorare in officina. Era sereno perché aveva a che fare con poche persone e non era obbligato a socializzare; in più, poteva permettersi di non lavarsi. Nell’officina, gli operai erano solo tre: gente fallita, tra cui il puttaniere del capo, ma comunque superiori a lui e non solo come ruolo sociale. Pasquale era solito subire scherzetti e sfottò, comunque non cattivi; quindi gli stava bene così, beatamente rassegnato a questa sua nuova vita: poteva andargli peggio. Inoltre, Pasquale era sottopagato, ma lavorava 13 ore al giorno come un negro ed era, per forza di cose, dimagrito un po’, rimanendo comunque sempre grasso.
    ..... La sera del 25 dicembre 2008, a 23 anni compiuti, Pasquale si trovava al teatro dell’oratorio ad ascoltare un concerto di musica classica, le solite cose proposte dagli oratori: stesso repertorio musicale, stessa banda paesana, stesso spettacolo; ma a Pasquale piaceva, non chiedeva molto dalla vita. La cosa brutta, però, fu che nei posti a sedere dietro, sentì schiamazzi, che gli fecero riemergere brutti fantasmi dal pozzo di liquame del suo passato. Pasquale si girò verso loro. Era proprio Mattia e la sua banda, accompagnati dalle morose di turno. A 23 anni, Mattia era un bel ragazzo con la Mini Cooper S, abituato alla discoteca e all’amata cocò (cocaina), con le sopracciglia curate dall’estetista e i capelli in piedi, vestito alla moda. Lo smilzo Antonio si era invece fatto un fisico a suon di steroidi, risultando quindi piacente alle ragazze, che non chiedevano altro; aveva ancora i denti gialli e i capelli rossi, ma portava degli occhiali neri di Dolce e Gabbana dal costo di 350 €. Naturalmente, questi suoi occhiali lo elevavano al rango di figo indiscusso, anche perché aveva anch’egli una Mini, anche se non Cooper S, in quanto prerogativa del capobranco. Concetta, dopo essersi data a molti trentenni incontrati in disco, per alcune dosi di crack o popper, era diventata ormai da due anni la ragazza stabile di Mattia. Era ancora molto bella, seppur ipertruccata e vestita in modo volgare; si era rifatta il naso perché durante un brutto trip il suo ex di nome Diego (trentaduenne, agente immobiliare, dipendente fortemente da cocaina ed extasy, molto lampadato e dal bel sorriso) le aveva lanciato una bottiglia di birra Peroni (la birra della borghesia) in faccia, lesionandoglielo. Per pagarsi l’intervento oneroso, aveva avvelenato la nonna ottuagenaria, brindando poi alla sua eredità e piangendo al funerale, seriemente pentita. Il pentimento cessò la sera stessa, in disco, dopo il secondo giro di Campari e popper che gli era stato offerto da un albanese davvero molto figo e dal nome sconosciuto, con cui aveva passato poi un’ottima notte sui sedili ritraibili della Renault 5, venendo peraltro filmata con il videofonino.
    ..... Pasquale pensò che magari non l’avrebbero riconosciuto, dato che erano passati anni e lui era pure dimagrito un po’, stempiandosi pure. Ma non fu così. Antonio lo smilzo, durante una carente esecuzione di Stille Night, urlò, rivolgendosi a Mattia «Eh vecchio, figa guarda chi c’è, il bombo… cazzoffiga, ti ricordi?» e Mattia lo riconobbe, così come gli altri ragazzi lì presenti, più o meno dello stesso loro giro, accompagnati da ragazze in tutto simili a Concetta, anche se convinte di avere una propria indentità. Dopo tutto questo tempo, i ragazzi convennero che ci si poteva divertire con malinconia, quindi iniziarono a lanciargli cose. Dapprima i volantini appallottolati del concerto, poi fazzolettini pregni di muco; il tutto sotto gli occhi accondiscendenti di don Fabrizio, un prete gay che odiava Pasquale perché non si era più fatto vedere a messa e amava segretamente Mattia.
    ..... Pasquale non era più abituato a tutto questo ma, stoicamente, resistette. Il lancio finì. Felice, Pasquale si apprestò a sentire il restante concerto, con canzoni cantante a messa, inserite come riempitivo, quando gli arrivò sui capelli qualcosa: toccò e vide che era scamorza. Non ci vide più dall’ira: si alzò di scatto, brandendo la sedia e correndo come un bisonte verso il gruppetto, cinque file dietro. Loro lo guardavano sogghignando, memori dello spettacolo in quarta superiore. I loro sorrisi di scherno fecero inferocire ancor più Pasquale, che cercò di pensare a freddo, convenendo che non aveva più nulla da perdere e poteva farlo. Colpì due volte Antonio con la sedia, spaccandogli i denti gialli. Le ragazze iniziarono a urlare frasi sconnesse, il massimo a cui potevano attingere dalle loro risorse cerebrali e i ragazzi dissero frasi un po’ preoccupate, un po’ strafottenti, del tipo «E zio che ti prende, si scherzava fffiga», «Oh oh, ha sbroccato, chiamate la neuro», «Eh ma si scherzava solo, anche a te ti piace. Stacci dentro Bro!». Don Fabrizio intervenne urlando «Misericordiola, non farai del male a Mattia, cattivone». Pasquale era fermo, con la sedia alzata in una mano, riflessivo: non si curava di loro, ma stava assaporando la sete della vendetta, inebriato dalla potenza che sentiva di avere. Come una fiamma, come una meteora, come una tempesta nell’oceano, sentiva di avere una nuova forza in sé e capiva di averla sempre avuta. Guardava Antonio sputarsi i denti in mano, nella mano scarlatta, e capiva che gli altri non avevano ancora capito cosa stava avvenendo, ma l’avevano solo intuito. Ormai lui era Dio, era Thor, era l’Omino Michelin, sì ma di Ghostbusters quando, ingigantito, distruggeva la città. Il fuoco lo divorava dentro e lui si faceva divorare, abbandonandosi a quel piacere proibito, abbeverandosi di quel peccato primigenio. Ecco com’era la vita, adesso l’aveva capito: il più forte, vince. Adesso era forte.
    ..... Prese per una spalla Mattia, che si era alzato per mettersi al sicuro, lo girò verso sé e gli disse: «Sono proprio io, Pasquale. Mi riconosci?» e gli spaccò il sopracciglio curato con un pugno altrettanto curato, ma in senso opposto. Mattia cadde bestemmiando, già fuori combattimento. Sbuffando, Pasquale lo calpestò spaccandogli una costola e corse verso Concetta, che si stava mettendo in salvo, spintonando gente e atterrando con un calcio pure Giovanni, un anziano pizzaiolo che non aveva fatto niente e non aveva ancora capito di essersi trovato al momento sbagliato, nel punto sbagliato. Concetta, urlando andò a finire contro il muro del teatro e non trovava la porta, dato che aveva degli occhiali Rayban che non gli permettevano di vedere bene nella semioscurità del teatro. Quando se li tolse era troppo tardi, Pasquale la girò e restarono faccia a faccia. A questo punto una voce interiore gli disse “Che aspetti, guarda com’è bella! Baciala, ora è tua, l’hai vinta, non ti potrà scappare! Dai, baciala! Riprenditi ciò che ti hanno negato” e in effetti anche Concetta pensava “Adesso mi bacia. Ma va bene, è il più forte. Saprò farlo diventare un figo e tutti ci invidieranno! Poi chissà con il popper come scoperà bene! Yuuuum già ci penso… sì dai baciami. Già l’altra volta ci sarei stata, sono proprio una puttana!”.
    ..... Ok, capite che Pasquale ascoltò questa vocina, ma nella sua mente udì anche un’altra voce, che era proprio la sua: vi serve proprio sapere cosa disse?, io penso di no, lo capirete con i fatti.
    ..... Pasquale rifilò una testata in pieno viso a Concetta, sfondandole il naso (l’unica sua parte non ancora sfondata). Stavolta il chirurgo plastico non avrebbe saputo ricostruirla. «Piaciuto il concerto, PUTTANA?». Lasciatola sanguinante, uscì dal teatro fischiettando Stille Night.
    ..... Eh sì, la vita è proprio bella. Anche più di Concetta.
    La pazzia dilagherà... un giorno...

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