Lord Skop's
L’angelo
La gente pensa d'essere più di ciò che è; in questo modo non raggiunge la serenità.
Questo pensavo, mentre stavo seduto su una vecchia panca di legno nella basilica di San Lorenzo. Avevo perso il conto degli anni, ma ricordavo bene moltissime cose. La basilica era una delle costruzioni che non erano state distrutte; mi chiedevo se fosse stata la mano di Dio ad averla protetta. Sant’Ambrogio, il Duomo, la metropolitana, la stazione, tutto distrutto anni fa. La vita divelta: San Lorenzo no, rimaneva in piedi portandosi dentro la storia, portandosi dentro i suoi misteri ed i milleseicento anni.
Lei soffriva ma non mi aveva scelto. Ne ebbi la conferma definitiva una sera di luglio, mentre con l’armonica dipingevo note sgangherate e stonate, volendo sputarle in faccia agli angeli. A lei.
In effetti per me era proprio un angelo, ma si trasformò in diavolo parecchie volte, ricomparendo come un angelo: confuso, non capivo, perdevo tempo a guardare le nuvole vedendo lei. La verità invece non riuscivo e non volevo vederla. Tutto tempo perso.
La felicità, mi diceva, la felicità non la trovava, la felicità era per lei l’amore. Cercavo di avvicinarmi e si ritraeva. Mi mettevo davanti ma non mi vedeva.
Io pensavo che si potesse chinare il capo ai propri sogni dorati per ritagliarsi un proprio umile spazio sereno, lei mi dimostrò che era invece possibile rimanere legati a catene d’acciaio, urlando e piangendo, gridando e pregando.
Certo non ero uno stilnovista, e certo non ero uno sveglio. Dopo aver capito la sua decisione mi fermai a riflettere su un prato. Non avevo le braccia forti, ero brutto ed abbastanza incurante del mondo che mi circondava: il mio microcosmo era una palla di vetro con nuvole, erba, alberi e cose del genere. Troppo deprecabile; non avevo neanche una Mini Cooper S!
Soffrendo capii infine che in effetti ero sereno così, ma non mi toglievo dalla testa quel diavolo. Anzi, si può proprio dire che soffrivo più per il fatto che non riuscivo a togliermela dalla testa, più che per il fatto che non l’avrei posseduta.
Poi arrivò la guerra, il mondo cambiò. Non cambiò certo il pensiero umano, non cambiarono nemmeno i miei sentimenti. Lei, da quel che so, partì per Milano dopo aver conosciuto un ragazzo con le braccia grosse, io me ne restai sulle montagne. Lei crepò sotto i bombardamenti, io mi salvai senza nemmeno desiderarlo più di tanto. Il fatto che tutto stava mutando non m’importava poi molto: dormivo in un vecchio convento ed ogni tanto sentivo gli aerei passare sopra. Non buttavano giù niente, anche se mi avvistavano, non colpivano. Chi mai può fregarsi di un convento dell’XI secolo e di un tizio con le braccia non grosse che camminava con un bastone?
Passarono gli anni ed anche chi ci conquistò perì sotto le bombe altrui, e così via. Ormai di gente ce n’era poca. Fui fatto prigioniero perché mi trovarono in paese, ma non mi fecero fare lavori pesanti perché non avevo le braccia grosse, o una Mini Cooper S, o gli occhiali neri di chissà quale marca.
Ma alla fine mi ritrovai libero, perché la malattia non mi colpì. Devo proprio pensare che pure la grande malattia non voleva avvicinarsi ad uno con le braccia non grosse e senza la Mini Cooper.
Ed anche la morte non ricambiò il mio amore. Neanche un po’. E facevo l’accostamento, mentre camminavo per Milano (ironia della sorte, mi portarono proprio lì) sotto la pioggia acida. Pensavo che era certo brutto non essere ricambiati, ma quel neanche un po’ era proprio una mazzata. E poi anche il fatto che non si era preoccupata di come ci rimasi, ma del fatto che non amava queste situazioni. Ma questo lo venni a sapere dopo, più o meno quando morì.
Nella basilica di San Lorenzo vedevo il mio nome intagliato sulla panca e pensavo a queste cose, un po’ come quando pensavo a lei guardando le nuvole. Non pensavo ai rumori che sentivo, neanche quando l’intonaco mi si posò sugli stracci di vestito.
Pensavo invece alla reazione che ebbi al tempo, cioè di scegliere la mia natura anziché correre dietro ad angeli ignobili, pieni di tristezza in cui si beavano. Erano gli angeli della tristezza, le loro ali battevano piano, perché sotto quelle spoglie si trovavano esseri senza essenza.
Sorridevo quando mi crollò la basilica addosso: finalmente la morte mi aveva accettato, finalmente avevo smesso di pensare all’angelo.